Carlotta,Volontaria SCN, ci racconta questi giorni di emergenza in Ecuador

Notte. Ore 00.37. Cuenca. Seduta alla scrivania in camera mia accompagnata da un sottofondo musicale e da luci soffuse, fuori pioviggina. Ecco il mio momento di pace dopo la tempesta che queste giornate comportano.
Una mezz’oretta per fermarmi un attimo, stare con me stessa, raccogliere ed elaborare le esperienze, emozioni, e sensazioni che questo periodo mi sta presentando davanti agli occhi. E’ difficile renderlo a parole, ma desidero, in qualche riga, farvi arrivare cosa sto vivendo direttamente.
Il tempo sta volando incredibilmente. Sono già passati quasi sette mesi dal mio arrivo a Cuenca, dove sto prestando servizio di volontariato nella Fondazione Marìa Amor con donne e bambini vittime di violenza, principalmente inter familiare. E se i primi tre mesi sono stati i più duri perché ho iniziato a costruire da zero la mia vita in un nuovo paese, una nuova città con una nuova cultura e così lontano dagli affetti; gli ultimi quattro vorrei passassero con il conta gocce perché sento che stiano volando. Giorno per giorno mi sto rendendo sempre più conto di come quest’ esperienza sia unica dal punto di vista umano e professionale e desidero sfruttare in profondità di ogni momento.
Come sapete sto facendo quello che desideravo: sto lavorando sul campo accompagnando donne, vittime di violenza, nel loro cammino verso l’autonomia all’interno di un ‘equipe multidisciplinare che ha saputo accogliermi da subito e darmi la fiducia per poter lavorare e sperimentarmi. Mi sento molto fortunata: alzarsi la mattina per prestare servizio e lavorare in ciò che davvero credo e lottare al fianco delle donne per una vita libera della violenza è una grande fortuna. Le giornate sono super intense e tutte diverse e le responsabilità tante, ma in ognuna vedo sempre un’opportunità per crescere e migliorarmi come donna ed operatrice sociale.
Lo scorso mese è stato bello movimentato: ho avuto la formazione di metà servizio con gli altri volontari di servizio civile nel paesino andino Salinas de Guaranda,esempio di sviluppo sostenibile ed equo con forti basi solidaristiche attraverso i progetti che la comunità ha sviluppato; ho avuto l’opportunità di svagarmi e viaggiare al vulcano Chimborazo e sulla costa di Esmeraldas; e pian piano sentirmi sempre più integrata qui a Cuenca, impresa che inizialmente sembrava impossibile.
Da inizio aprile ho incominciato a prendermi più tempo per me stessa, per fare ordine alle idee e pensare al futuro prossimo con la prospettiva di ricominciare a mettermi in rete e cercare lavoro in quest’ ambito; ma allo stesso tempo restando con corpo e mente ben presenti nella mia attività quotidiana con le donne per portare avanti questo progetto. Complessivamente un periodo costruttivo e produttivo. Desidero continuare così.
Adesso mi tocca la parte più tosta, la parte più difficile da esprimere a parole perché raccontarvi del terremoto di magnitudo 7,8 che ha colpito lo scorso sabato 16 di aprile alle 18.58 ora locale la parte settentrionale dell’Ecuador, ha causato ad oggi 587 morti accertati, ancora centinaia i dispersi e più di 25.000 sfollati. E’ una tragedia che emotivamente mi sta toccando in profondità e mi fa sentire impotente come essere umano. Fisicamente il terremoto ha colpito le terre Esmeraldas e Manabì, ma è il paese intero ad essere stato letteralmente distrutto.
Sabato scorso stavo passeggiando al Malecòn, il famoso e moderno lungo fiume di Guayaquil. La scossa mi ha fisicamente spostata, e contemporaneamente l’illuminazione pubblica è saltata. Per quanto nella mia vita non avessi mai sentito prima una scossa così forte e di lunga durata, lì per lì non ho avuto il tempo di spaventarmi perché ero totalmente impreparata. Ho subito ringraziato di essermi trovata al posto giusto ed al momento giusto perché dove ero io non è crollato nulla. Solo successivamente quando ho iniziato a sentire rumore di sirene di ambulanza e polizia ho incominciato a sospettare che fosse successo qualcosa di grave, e spaventata ho incominciato a preoccuparmi. Ma mai pensavo ad una tragedia così.
Tempo un’ora e mezza ed in televisione, alla radio, e sui social networks sono incominciati a comparire immagini delle zone colpite, le ore passavano e le immagini e le notizie erano sempre più disastrose. Domenica, dalle notizie dei numeri di morti, dalle immagini e dalle interviste delle persone sembrava di assistere al post di un bombardamento nell’area dell’Ecuador più povera. Nella notte di sabato la mia prima preoccupazione è stata quella di avvisare la mia famiglia ed i miei affetti che stavo bene ed ero sana e salva senza far troppo trasparire il duro impatto che ricevevo nel seguire le notizie. Il secondo pensiero immediato è stato quello di pensare a quanto la vita sia davvero preziosa, è incredibile e spesso questo lo sottovalutiamo.
La domenica mattina per Guayaquil ho potuto vedere con i miei occhi come nei quartieri la gente aveva incominciato volontariamente ad attivarsi per preparare pacchi di viveri di prime necessità, bottiglioni d’ acqua, materassi, medicinali da far partire per le zone colpite.La solidarietà dimostrata dal popolo ecuatoriano a qualsiasi ora del giorno e di qualsiasi età ti lascia senza parole. E continuano ininterrottamente.
Rientrando a Cuenca e passato il momento di paura, mi sono detta: “Noi non possiamo restare a guardare!” né come essere umani e tanto meno come volontari. Il senso di impotenza che ho provato è davvero frustante. D’istinto mi veniva di prendere lo zaino, il necessario e partire ed andare là ad aiutare. Di pancia e di cuore questo è il primo pensiero; ma la testa dice no a tutto questo. In questo momento di estrema emergenza servono soccorritori, medici, psicologi, tecnici per sgombrare le macerie, ovvero professionalità specifiche in grado di salvare più vite umane possibili ed assistere i feriti.
La situazione attualmente è tragica, un caos totale, i soccorritori cercano di salvare chi è ancora vivo per miracolo, i cadaveri incominciano a decomporsi, non c’è acqua e cibo a sufficienza e la gente non sa dove vivere. L’Ecuador non era pronto ad una catastrofe del genere, ma chi lo sarebbe stato? Molte strade sono bloccate ed aeroporti distrutti, quindi molte zone non sono accessibili e succede che le donazioni se arrivano sui luoghi, non riescono ad essere ben distribuite/ canalizzate. Inoltre, molta gente, pensando di fare del bene, è partita allo sbaraglio, improvvisandosi volontari per aiutare e si è sentita male, non ha retto psicologicamente l’impatto ed è solo diventata un peso in più per i soccorritori.
A fronte di questa situazione, noi volontari insieme al nostro responsabile Enzo ci siamo riuniti per capire cosa fare e che apporto dare. Al momento ognuno di noi continua a prestare servizio nelle proprie sedi progetto, portando avanti il proprio impegno; nel mentre nel piccolo stiamo dando parte del tempo libero per aiutare ad impacchettare, classificare e preparare le donazioni per i terremotati ognuno nelle città dove vive. Allo stesso tempo stiamo sensibilizzando famiglia amici e conoscenti su quello che sta accadendo qui attraverso le nostre testimonianze e soprattutto informando su poter aiutare concretamente questo paese meraviglioso a rimettersi in piedi.
L’Ecuador ha Bisogno di noi, su gente hermosa ha bisogno di noi, NON LASCIAMOLI SOLI!
Carlotta
Per sostenere l’emergenza Ecuador:
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causale: TERREMOTO ECUADOR
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