Agro-ecologia: Accademia e Movimenti, teoria e pratica

Di Michele Salvan, giovane attivista Focsiv
Negli ultimi anni il dibattito sulla sostenibilità del sistema alimentare è diventato sempre più centrale, intrecciandosi a questioni economiche, sociali e politiche che esulano dal mero ambito produttivo.
L’agricoltura rappresenta già di per sé un tema complesso in quanto attività che non si limita alla produzione di beni (cibo, foraggi, biomasse, materie prime per l’industria, etc), ma fornisce anche servizi o disservizi eco-sistemici che vanno a influenzare le condizioni dell’ambiente circostante.
Ugualmente “agro-ecologia” è un termine complesso e di difficile definizione.
Si potrebbe includervi tutti quei sistemi agricoli che “pensano fuori dalla scatola” del sistema agricolo fatto di input e output della “Rivoluzione Verde” degli anni ‘50-’60 includendo la variabile “ambiente”, ovvero sistemi agricoli già ben definiti almeno da un trentennio a livello giuridico-normativo (anche in termini di certificazioni) come l’agricoltura biologica o quella biodinamica, ma anche tutti quei modelli agricoli che includano a basso impatto come l’agro-forestazione, l’agricoltura sinergica o la permacultura, l’agricoltura sintropica ed altre.
L’applicazione di pratiche a basso impatto ambientale (come le rotazioni, consociazioni, cover crop, minime lavorazioni o la semina su sodo, o l’introduzione di aree di elevato valore ambientale o ecological focus areas, EFA) sono ormai una realtà, inserite e supportate con misure economiche dedicate ad hoc nell’attuale Politica Agricola Comunitaria (PAC) anche se i risultati a livello applicativo e di consenso sociale restano un ambito acceso di discussione.
Parallelamente all’Accademia tuttavia l’agro-ecologia può ed è anche vista come un patrimonio comune che sfugge a definizioni, normative e formalizzazioni da manuale.
Questo dibattito è ancora più forte allargando la prospettiva a livello più ampio, mondiale, in quanto numerosi movimento sociali, come Via Campesina, pongono l’accento sul valore ambientale, ma anche culturale e socio-politico delle pratiche agro-ambientali, in quanto le pratiche agro-ecologiche vengono percepite come l’insieme delle pratiche e del patrimonio culturale delle popolazioni indigene e rurali e allo stesso tempo come un modello agricolo auto-sufficiente e non dipendente dai grandi drivers dell’agribusiness mondiale legati ad un’agricoltura ad alti input figlia della “Rivoluzione Verde”, contestandone assunti e capisaldi, come l’utilizzo di varietà geneticamente modificate.
L’applicazione di tecniche agro-ecologiche storicamente è stata cruciale per sostenere e integrare la sicurezza alimentare per molte comunità, specie urbane e peri-urbane e addirittura per alcuni paesi (es. a Cuba o in Brasile), diffondendosi sempre più negli ultimi 50 anni almeno e accompagnandosi alla rapida urbanizzazione di molte città e megalopoli del Sud del Mondo, specie in America Latina, fondendo le pratiche tradizionali e indigene con tecniche “moderne” frutto di una più matura consapevolezza agronomica.
Un tema quindi già di per sé non semplice, e per di più contestato da due fuochi.
Da un lato infatti i fautori di una “nuova rivoluzione verde” sostengono che le pratiche agro-ecologiche non si distanzierebbero dalle pratiche tradizionali già utilizzate dalle comunità rurali nel Sud del Mondo, e sarebbero perciò insufficienti nell’andare incontro all’aumento demografico e dei consumi di una popolazione mondiale di 10 miliardi di persone al 2050.
D’altro canto l’interesse accademico degli ultimi decenni per l’agro-ecologia ha fatto gridare all’ ”appropriazione culturale” di pratiche tradizionali o comunque “dal basso”, misconoscendo il valore di decenni di pratica sul campo, nonché dell’azione di “advocacy” e valorizzazione del sapere indigeno, efficace localmente ma spesso difficilmente esportabile, svolta dai movimenti sociali.
Come uscirne allora, senza tramutarla in una questione di “gerghi da specialisti”?
Sapere è potere, e quindi è fondamentale informarsi e approfondire grazie al contributo culturale di realtà nazionali e internazionali come l’Associazione Italiana di Agro-Ecologia e la rete europea Agroecology Europe (www.agroecologia.eu e www.agroecology-europe.org), nonché di eventi e seminari come “Unpacking Jargon” dello scorso 16 novembre, organizzato dalla statunitense Swift Foundation (swiftfoundation.org).
Dopodiché ovviamente le Politiche Agricole odierne dovrebbero sostenere più fortemente le pratiche a basso impatto ambientale, dato il ruolo cruciale di vittima (colpita dal clima che cambia)-carnefice (grande produttrice di gas serra) che ha l’agricoltura nel Cambiamento Climatico, ma occorre anche parallelamente riflettere e mutare il tradizionale metodo in cui la conoscenza viene prodotta ed “esportata in campo”, creando “luoghi” fisici e virtuali di co-creazione e condivisione di conoscenze e pratiche dalle origini differenti. A tal proposito esperienze ormai mature e affermate come la selezione genetica partecipativa rappresentano palestre efficaci e attive, in cui la pratica della “Citizen Science” si fonde alla partecipazione comunitaria, divenendo strumento di democrazia e di produzione di beni e conoscenze condivise e durature.