L’Europa partner o imperiale nella corsa ai minerali critici?
Fonte immagine From post-colonial to neo-colonial | Political Economy | thenews.com.pk
Ufficio Policy Focsiv – Dopo la presentazione della nuova iniziativa europea sui minerali critici (La proposta europea per i minerali critici – FOCSIV), approfondiamo la questione proponendo l’articolo di Alean Beattie*, apparso sul Financial Times il 23 marzo 2023, https://www.ft.com/content/fe8d650d-19b9-482d-ab96-be692620e407. La corsa mondiale ai minerali rari può alimentare politiche estrattiviste e neocolonialiste pericolose per i paesi in via di sviluppo nel ruolo di principali produttori ed esportatori di tali minerali (Pubblicazioni Landgrabbing – FOCSIV). Quali politiche sono da preferire in questo campo di battaglia quasi senza regole? Secondo l’autore, il recente accordo commerciale con il Cile mostra che la Commissione europea sta cercando di apparire come un partner per lo sviluppo piuttosto che come un estrattore neocoloniale, attenuando, sembra, il suo stile imperiale.
La grande lotta globale per l’accaparramento di minerali utili ad alimentare la transizione verde è ben avviata. Terre rare, litio, cobalto, nichel: le grandi economie si contendono ferocemente le materie prime fondamentali per la loro trasformazione industriale. Dato che molte di esse vengono estratte nei paesi in via di sviluppo – cobalto nella Repubblica Democratica del Congo, nichel in Indonesia – non è strano che si avvertano echi della corsa alle materie prime (spezie, cotone, gomma, avorio) che ha guidato l’imperialismo europeo nei secoli precedenti. L’UE è già stata scomodamente definita neocolonialista da paesi come la Malesia e il Brasile per aver utilizzato la politica commerciale al fine di imporre le proprie regole su come i due paesi gestiscono le proprie foreste.
Alcuni nell’UE, e forse saggiamente, stanno cercando di procedere con delicatezza per assicurarsi l’accesso ai minerali. Il Critical Raw Materials Act recentemente annunciato parla di alleanze e collaborazioni con i produttori; inoltre, un recente accordo commerciale con il Cile mostra che Bruxelles sta cambiando leggermente tattica, in modo da presentarsi come un partner per lo sviluppo piuttosto che come un estrattore neocoloniale. Nell’approvvigionamento di materie prime, i produttori europei affermano di incontrare due tipi di concorrenti con vantaggi sleali. Il primo sono i trasformatori e manifattori di minerali del paese produttore, verso i quali il governo o una società mineraria statale deviano la produzione a prezzi inferiori rispetto a quelli a cui vendono sul mercato mondiale. L’altro è la Cina, che distribuisce infrastrutture sovvenzionate e altri omaggi in cambio di un accesso privilegiato alle materie prime. L’Europa non ha la capacità della Cina di sperperare sovvenzioni in denaro. In questi giorni Bruxelles si è armata principalmente del diritto commerciale, più lento e meno efficace delle potenze coloniali europee armate di cannoniere schierate nei secoli precedenti.
Quel diritto lotta per garantire il libero commercio delle materie prime. Esistono pochi vincoli da parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sulle tasse all’esportazione o sul controllo dei prezzi. Avendo perso la speranza di aggiungere tali vincoli nel regolamento generale dell’OMC, l’UE ha cercato di inserirle in qualsiasi accordo possibile. Come condizione per l’adesione del Kazakistan ricco di minerali all’OMC nel 2015, ad esempio, Bruxelles ha insistito su norme che impedissero alle imprese statali kazake di utilizzare prezzi differenziati per rifornire a basso costo le industrie nazionali.
L’UE ha aggiunto disposizioni simili nei suoi accordi commerciali preferenziali. L’ultimo è il Cile, il cui accordo bilaterale del 2002 con l’UE è stato aggiornato lo scorso dicembre. Secondo produttore mondiale di litio, utilizzato nelle batterie per auto e in altre tecnologie verdi, il Cile fornisce oltre l’80% della domanda totale di metallo dell’UE. Il Cile ha un’economia relativamente liberale, ma il controllo statale sulle risorse minerarie è politicamente molto sensibile. Il presidente socialista Salvador Allende ha nazionalizzato le compagnie minerarie del rame straniere nel 1971, inimicandosi gli Stati Uniti, i quali hanno sostenuto il colpo di stato militare che lo ha destituito due anni dopo. Il Cile desiderava da tempo anche un’industria domestica a valle per creare valore aggiunto che lavorasse e utilizzasse il litio. Gabriel Boric, il presidente di sinistra che ha preso il potere in Cile nel marzo dello scorso anno, è attento alle accuse dei suoi sostenitori di cedere al neocolonialismo, avendo proposto una società statale per dirigere la produzione di litio. Ma la sua amministrazione deve sicuramente essere consapevole di bilanciare l’autonomia nazionale con la necessità di investimenti e competenze da parte di società straniere. Nella vicina Bolivia, che ha i più grandi giacimenti di litio del mondo, la produzione statale ha tristemente fornito rendimenti peggiori del previsto. Lo stesso Cile non è riuscito a investire abbastanza per capitalizzare adeguatamente il boom globale della domanda e dei prezzi del litio, e negli ultimi dieci anni ha perso quote di mercato a favore di Australia e Cina.
Cile in perdita di quote di mercato
(Produzione globale di litio in tonnellate)
Nei colloqui per l’aggiornamento dell’accordo bilaterale, i negoziatori della Commissione Europea inizialmente non hanno fatto concessioni alle sensibilità locali e hanno sostenuto una linea dura. Essi chiedevano nessuna differenziazione dei prezzi tra le esportazioni e le vendite sul mercato interno e parità di trattamento per tutti i clienti esportatori. Presumevano che l’attrattiva di un maggiore accesso al mercato dell’UE in generale avrebbe convinto il Cile ad accettare. Ma quando il Cile si è opposto, sostenendo di riservare del litio economico per uso domestico, ha avuto il sostegno di alcuni Stati membri dell’UE e di membri del Parlamento europeo. Ministri ed eurodeputati hanno sostenuto che l’Europa doveva offrire agli esportatori di minerali una proposta meno coercitiva e più comprensiva per competere con la Cina. Alla fine, il Cile e i suoi alleati all’interno dell’UE hanno avuto un discreto successo. L’accordo rivisto consente di vendere parte del litio a un prezzo più basso all’industria nazionale, sulla base del livello più basso raggiunto di recente dai prezzi all’esportazione. Non è un’enorme scappatoia, ma è certamente un ammorbidimento dell’ideologia della Commissione.
Quando Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, ha visitato il Cile a gennaio, ha proposto una narrazione basata sul partenariato: ha offerto investimenti tedeschi nella produzione e nello sviluppo di litio cileno, piuttosto che parlare solo come cliente di esportazione. Questo approccio leggermente più sfumato non garantisce la costruzione di una catena del valore cilena, né di fornire all’Europa i minerali di cui ha bisogno. È solo una piccola concessione perchè il Cile ha ancora problemi di investimenti e capacità industriale. Ma certamente mostra che l’UE inizia a imparare un approccio più sottile e sensato all’approvvigionamento dei suoi minerali critici piuttosto che rischiare accuse di arroganza coloniale chiedendo materie prime senza dare abbastanza in cambio.
*Alan Beattie, Scrittore Senior sulle politiche commerciali, scrive Trade Secrets, una newsletter sul commercio e la globalizzazione, ogni lunedì, e una rubrica di opinione ogni giovedì. Di base a Londra, è stato in precedenza redattore di economia internazionale e redattore sul commercio mondiale del FT e ha lavorato da Washington e Bruxelles. È l’autore di ‘False Economy’ (Penguin, 2009) e ‘Who’s In Charge Here?’ (Penguin, 2012).