Cosa manca al Piano Mattei? (parte 1)
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Ufficio Policy Focsiv – Continuando a seguire il dibattito sul Piano Mattei per la cooperazione con l’Africa (Il Piano Mattei per la cooperazione con l’Africa – Focsiv), riportiamo qui i commenti di Lorena Stella Martini, Beatrice Moro e Giulia Signorelli per il think tank About – ECCO (eccoclimate.org), apparso in Piano Mattei, sei mesi dopo: dove siamo? – ECCO (eccoclimate.org).
I commenti avanzano alcune critiche al Piano tra cui un suo carattere frammentato, la difficoltà di ricondurre i singoli progetti a una più ampia cornice strategica, e l’assenza di chiarezza e trasparenza (e relativa sistematizzazione). Qui riportiamo la prima parte dell’articolo di ECCO, seguirà la seconda parte.
“Il Piano Mattei per l’Africa rappresenta una grande opportunità per riformare e rafforzare ulteriormente i legami tra l’Italia e i Paesi africani, contribuire alla crescita e allo sviluppo sostenibile di lungo periodo e alla resilienza del Continente africano tramite un approccio che coinvolga l’intero sistema Italia.
Un’opportunità che si inquadra in un contesto, quello africano, particolarmente bisognoso di investimenti. Infatti, l’Africa necessiterebbe di 500 miliardi di dollari, per garantire accesso all’energia a tutta la popolazione, e 438 miliardi di dollari per investimenti in adattamento entro il 2030.
Tuttavia, questa opportunità rischia di trasformarsi in un’occasione persa se azioni e misure contraddicono il raggiungimento degli obiettivi del Piano, andando così a sprecare risorse pubbliche e a minare la credibilità internazionale dell’Italia, che tanto ci ha investito.
Cosa sappiamo oggi del Piano Mattei
Il Summit Italia-Africa di gennaio 2024 ha sancito l’ufficializzazione delle direttrici di intervento su cui si regge il Piano – istruzione e formazione; salute; agricoltura; acqua ed energia – e l’annuncio dei primi progetti pilota in nove Paesi chiave – Algeria, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Marocco, Mozambico, Repubblica del Congo e Tunisia – con la promessa di espanderli ad altri Stati africani secondo una logica incrementale.
A metà luglio 2024, maggiori dettagli sono emersi nel quadro del “Piano strategico Italia-Africa: Piano Mattei, documento programmatico-strategico volto a promuovere lo sviluppo in Stati africani”, che costituisce parte integrante del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) di adozione del Piano Mattei, in discussione in Parlamento. Il documento inquadra la centralità del partenariato Italia-Africa, i criteri di intervento e gli obiettivi del Piano, che mira a promuovere una crescita sostenibile nel Continente africano che tuteli il “diritto a non migrare” delle popolazioni e sia garanzia di stabilità e sicurezza – oltre che base per più fruttuose relazioni economiche tra l’Italia e i suoi partner africani.
Come anticipato durante il Vertice Italia-Africa, e come consolidato nel corso degli ultimi mesi nel quadro G7, il documento sottolinea la sinergia con altre iniziative internazionali di partenariato con l’Africa come Global Gateway e Partnership for Global Infrastructure and Investment – PGII, al fine di massimizzare gli sforzi dei diversi partner internazionali “like-minded” e avere a disposizione più fondi e mezzi di quelli mobilitati per il solo Piano Mattei. Al contempo, si tratta anche di un’occasione per il Governo di aumentare la rilevanza della propria iniziativa, farne convergere gli obiettivi in una più ampia cornice multilaterale e porsi, soprattutto a livello europeo, come punto di riferimento per l’azione verso l’Africa.
Cosa manca
Nei sei mesi che hanno seguito il suo annuncio ufficiale, la gestione e articolazione del Piano hanno destato una serie di criticità: un carattere frammentato, la difficoltà di ricondurre i singoli progetti a una più ampia cornice strategica, e l’assenza di chiarezza e trasparenza (e relativa sistematizzazione). Criticità che permangono nonostante il documento programmatico-strategico pubblicato a luglio.
Strategia cercasi
Come dichiarato dalla Presidente Meloni, il Piano Mattei ambisce a sancire un cambio di passo strategico nell’approccio italiano verso l’Africa, accompagnando lo sviluppo sostenibile del continente “ su base paritaria.”
Tuttavia, risulta ancora complesso mettere in relazione una scelta sinora frammentata di progetti con una più ampia cornice strategica. Rimane infatti da valutare sia la fattibilità degli obiettivi del Piano, di là dalla dimensione specifica di ogni progetto, sia la possibilità che le modalità di cooperazione annunciate possano davvero rispondere alle finalità più alte del Piano in materia di promozione di effettivo sviluppo inclusivo e promozione di stabilità nel Continente.
In questo quadro, la creazione di “valore aggiunto” per le popolazioni africane, eretta a criterio generale di intervento del Piano, dovrebbe portare al superamento di un modello relazionale basato sul dualismo tra chi detiene le risorse (i Paesi africani) e chi, come l’Italia e altri Paesi europei, ha sinora sostanzialmente mirato ad appropriarsene, e detiene i fondi e tecnologiche per trasformarle. Ad oggi, tuttavia, sembrano esserci poche certezze riguardo all’effettiva creazione di valore aggiunto per le comunità locali di alcuni progetti coinvolti nel Piano, tra cui l’iniziativa portata avanti da Eni in Kenya per espandere la produzione e la lavorazione di biocarburanti avanzati. Un progetto il cui ruolo rispetto alla decarbonizzazione e agli impatti socioeconomici sull’economia locale e popolazione keniota ha sollevato numerosi dubbi.
Chiarezza cercasi
Sebbene il DPCM abbia fornito maggiori dettagli, continua a farsi sentire la mancanza di un meccanismo di tracciabilità dei singoli progetti e dei loro obiettivi. In particolare, nonostante quanto dichiarato nel documento, sembra mancare un cronoprogramma che dettagli le diverse fasi e gli orizzonti temporali dei vari progetti pilota, e che fornisca indicazioni anche sulle tempistiche di scalabilità degli stessi.
Alcuni progetti inseriti nel DPCM presentano inoltre grosse lacune in materia di stime finanziarie precise o di una chiara identificazione delle fonti di finanziamento che verranno effettivamente utilizzate per la copertura di ogni investimento.
Infine, la scelta finora frammentata di progetti non è riconducibile a chiari criteri di impatto o legati a obiettivi specifici presenti nei Piani di sviluppo dei Paesi africani, rendendo così più difficile scongiurare che la scelta dei progetti ricada all’interno di logiche che supportano relazioni clientelari o favoritismi rispetto a interessi costituiti, siano essi di imprese o di governi.
Tutti dettagli, questi, la cui assenza assume ancora più rilevanza considerato il mancato appuntamento con la Relazione Parlamentare prevista dal Decreto Legge sul Piano Mattei, che era prevista per il 30 giugno. Come evidenziato anche da una recente interpellanza del Partito Democratico, questa mancanza solleva ancora più dubbi sul Piano, sulla trasparenza e sulla governance dell’intero processo.
La strategia finanziaria: necessità di trasparenza e accountability del Piano Mattei
Il DPCM propone una panoramica delle risorse finanziarie e i meccanismi di supporto disponibili. Tuttavia, non è chiaro come questi fondi saranno gestiti e su come verranno rispettate le condizionalità originarie, che potrebbero essere distorte o diluite.
Il Piano Mattei potrà contare su fondi pubblici già operativi, come il Fondo Italiano per il Clima (FIC) e il Fondo Rotativo per la Cooperazione allo Sviluppo. Il FIC è destinato a finanziare progetti volti a contrastare il cambiamento climatico, con un focus equamente ripartito tra la dimensione della mitigazione e quella dell’adattamento; come confermato da Meloni in sede COP28, esso sarà destinato per il 70% proprio al continente africano. Date le ampie finalità del Piano Mattei e la mancanza di chiarezza sui criteri di scelta dei progetti finanziati dal FIC, vi è timore che queste risorse possano essere deviate verso iniziative che non contribuiscono direttamente alla riduzione delle emissioni di gas serra o all’adattamento ai cambiamenti climatici.
Un punto di riflessione rilevante è il recente trasferimento della gestione del FIC dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) alla Presidenza del Consiglio, nell’ambito della Struttura di missione del Piano Mattei. Questo cambiamento rende ancora più fondamentale stabilire modalità e criteri chiari che permettano di distinguere gli interventi “altri” supportati finanziariamente dal Fondo Italiano per il Clima da quelli specificamente ascrivibili al Piano Mattei. In particolare, è necessario chiarire quali interventi saranno esclusi dalla supervisione del Comitato di indirizzo e del Comitato direttivo del FIC e quali rientreranno sotto la gestione del Piano Mattei.
L’inclusione delle risorse multilaterali accanto a quelle bilaterali è da valutare positivamente, in quanto meccanismo che permette di moltiplicare l’impatto degli investimenti italiani grazie al co-finanziamento internazionale o alle azioni di leva. Per esempio, il Fondo concessionale per lo sviluppo della Banca Mondiale (International Development Association – IDA), la cui ricostituzione è prevista per il prossimo dicembre, ha una leva stimata di 3,5. Ciò significa che per ogni euro che il Governo italiano dedica a IDA, il Fondo riesce a raccogliere 3,5 euro sul mercato dei capitali. Tuttavia, manca ancora chiarezza su come il Governo si attiverà rispetto a questi fondi.