Accordi Debito-Per-Natura: potenzialità e sfide
Fonte immagine: Hope Mukami, How debt-for-nature swaps are resuscitating climate action investments in Africa
Ufficio Policy Focsiv – Nell’ambito della finanza per lo sviluppo e il clima (Quale finanza per il clima e lo sviluppo? – Focsiv), del ruolo dell’aiuto pubblico allo sviluppo (L’aiuto pubblico allo sviluppo sostenibile in vista del summit ONU – Focsiv) e della questione del debito (L’Africa tra crisi del debito e finanza per lo sviluppo e il clima – Focsiv), negli ultimi anni si sono affermati come uno strumento finanziario innovativo gli accordi debito-per-natura, considerati promettenti per i Paesi in via di sviluppo che si trovano in difficoltà nel far fronte al pagamento del rimborso del debito. Questi accordi permettono alle nazioni di scambiare parte del loro debito estero con finanziamenti destinati alla protezione ambientale, offrendo così una soluzione integrata per la conservazione della biodiversità e la riduzione del debito.
Tra i progetti più recenti, almeno cinque Paesi africani stanno lavorando a un’intesa congiunta che punta a raccogliere 2 miliardi di dollari per la protezione della barriera corallina nell’Oceano Indiano (vedi I Paesi africani puntano ad un grande accordo debt-for-nature entro il 2024 (hdblog.it))
Questa iniziativa rappresenta un passo significativo poiché, per la prima volta, coinvolge più nazioni con un ecosistema condiviso. I Paesi partecipanti sono probabilmente quelli legati al piano della “Great Blue Wall” (Kenya, Madagascar, Mauritius, Mozambico, Seychelles, Somalia, Sudafrica, Tanzania e Comore), che mira a proteggere e ripristinare 2 milioni di ettari di ecosistemi oceanici entro il 2030, migliorando così le condizioni di vita di 70 milioni di persone.
Sebbene i dettagli sui Paesi coinvolti e sulla gestione dei fondi siano ancora in fase di negoziazione, l’Unione internazionale per la conservazione della natura sta considerando la creazione di un fondo misto per agevolare lo scambio debito per natura, che includerà 500 milioni di dollari in finanziamenti agevolati e 1,5 miliardi provenienti dallo scambio di obbligazioni, con garanzie di credito e assicurazioni offerte da banche regionali per agevolare l’operazione. Si tratta di misure essenziali in quanto riducono i tassi di interesse che i Paesi devono pagare sui nuovi titoli “blu” o “natura” che sostituiscono il loro debito.
Ma come funzionano questi accordi debito-per-natura? (si veda in particolare l’analisi di Q&A: Can debt-for-nature ‘swaps’ help tackle biodiversity loss and climate change? – Carbon Brief)
Anzitutto questo strumento è nato su proposta dell’ecologo Thomas Lovejoy in risposta alla crisi del debito globale del 1982-83, provocata da shock economici come l’aumento dei prezzi del petrolio. Il meccanismo coinvolge tre attori principali:
- il Paese debitore, in via di sviluppo,
- il creditore
- e una terza parte, come una ONG o un’istituzione finanziaria, che facilita lo scambio.
Questi scambi possono essere privati o pubblici, ma in entrambi i casi il Paese debitore accetta di utilizzare i fondi risparmiati con la riduzione del debito per progetti di conservazione ambientale.
Questi accordi mirano a proteggere risorse naturali essenziali, come foreste e barriere coralline (ad esempio, i fondi possono finanziare la creazione di aree protette o programmi di riforestazione, contribuendo così alla mitigazione del cambiamento climatico), e cercano di creare un equilibrio tra esigenze economiche e sostenibilità ambientale.
Esempi di successodi accordi debito-per-natura ci sono stati in Paesi come le Seychelles, che hanno utilizzato questo strumento per creare vaste aree marine protette (“Blue bond”), il Belize, che ha protetto così le sue barriere coralline con benefici per l’economia locale, e l’Ecuador.
Tuttavia, questi accordi non sono esenti da critiche e sfide.
Per prima cosa non possiamo non considerare la portata limitata del debito scambiato rispetto a quello complessivo del Paese, per cui il reale impatto finanziario del debito-per-natura risulta ridotto, rendendolo uno strumento meno utile di quanto si pensi.
Gli scambi poi non sempre generano nuovi fondi per la conservazione, ma semplicemente ristrutturano debiti già esistenti (vedi I giochi del debito), il che pone il rischio di un “doppio conteggio”, dove i Paesi del Nord globale possono dichiarare di aver raggiunto i loro impegni di aiuto senza fornire effettivamente nuovi finanziamenti per la biodiversità. Ad esempio, nel caso dello scambio del 2009 tra Indonesia e Stati Uniti non sono stati liberati nuovi fondi significativi per il governo indonesiano e l’impatto economico è stato trascurabile.
Inoltre, seppur importanti per la conservazione, la natura viene considerata come una merce di scambio piuttosto che un bene da preservare per il suo valore intrinseco. Alcuni critici, infatti, vedono gli scambi debito-per-natura come una forma di greenwashing, dove i Paesi ad alto reddito promuovono soluzioni apparenti e non reali per risolvere i problemi ambientali e finanziari. Gli scambi potrebbero essere visti come una tattica per ottenere accesso a risorse naturali strategiche piuttosto che un vero strumento di protezione ambientale.
Un’altra questione riguarda la condizionalità e la sovranità.
Gli scambi impongono condizioni definite dai creditori, col il rischio di dar vita a forme di “aiuto vincolato”, limitando l’autonomia dei Paesi debitori su come gestire i fondi liberati. Questo aspetto è stato visto come una forma di interferenza esterna, con rimando alle pratiche coloniali, riducendo il controllo locale (vedi Giustizia economica contro il debito neocoloniale).
Anche lo stesso coinvolgimento delle comunità locali è spesso risultato insufficiente, con conseguenze negative a livello economico, sociale e culturale, generando preoccupazione in materia di diritti umani.
Esempi di ciò si ritrovano nello scambio in Bolivia del 1987, in cui la protezione delle terre dell’Amazzonia fu decisa prima che le comunità indigene potessero rivendicare i propri diritti, così come avvenuto per uno scambio riguardante le Galápagos nel 2023.
Visto il coinvolgimento di più attori, gli scambi comportano anche costi amministrativi elevati. Altri fattori economici, poi, come i tassi di cambio instabili e l’inflazione, possono diminuire il valore reale dei fondi generati dagli scambi.In Zambia, per esempio, i fondi di uno scambio sono stati erosi in un solo anno a causa della svalutazione della moneta locale.
La mancanza di governance adeguata, affiancata da una poca trasparenza su come vengono gestiti i fondi della conservazione e sui reali benefici per le comunità locali, infine, può minare l’efficacia degli scambi e può compromettere anche la supervisione e l’attuazione dei progetti.
Gli accordi debito-per-natura sono visti dunque come una possibile soluzione per affrontare le emergenze ambientali globali, soprattutto se integrati in strategie più ampie di sviluppo sostenibile. Tuttavia, per essere davvero efficaci, devono essere estesi su larga scala e supportati da risorse adeguate. Organizzazioni internazionali e istituzioni finanziarie stanno esplorando modi per ampliare l’utilizzo di questi strumenti, ma il successo dipenderà dalla capacità di risolvere le criticità attuali e di garantire che i fondi siano utilizzati in modo efficace, equo e trasparente.
Il caso dell’iniziativa africana nell’Oceano Indiano citata a inizio articolo potrebbe rappresentare un modello per accordi simili in altre regioni, evidenziando come la collaborazione internazionale e una gestione finanziaria innovativa possano dare risposte concrete ed effettive alle sfide ambientali globali.