Il punto di vista della società civile africana sul Piano Mattei
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Ufficio Policy Focsiv – Dopo avere presentato Il Piano Mattei per la cooperazione con l’Africa – Focsiv e aver già evidenziato Cosa manca al Piano Mattei? (parte 1) – Focsiv, sintetizziamo qui i principali contenuti dell’evento occorso Il 17 ottobre 2024, presso l’Aula dei Gruppi Parlamentari a Roma, organizzato da Alleanza Verdi Sinistra dal titolo “Piano Mattei per l’Africa o per l’Italia?”. Nell’incontro sono intervenuti rappresentanti politici, giornalisti, esperti ma soprattutto esponenti della società civile africana, che hanno offerto una chiara critica alla visione del governo italiano per lo sviluppo del continente.
Le testimonianze hanno evidenziato come il Piano Mattei, voluto dal governo Meloni, non risponda alle esigenze reali dell’Africa, ma miri a sfruttare le risorse a beneficio dell’Italia.
Kudakwashe Manjonjo, esponente della campagna Don’t Gas Africa, che mira a porre fine allo sfruttamento dei combustibili fossili in Africa e nel mondo, ha dichiarato: “Le industrie del gas, per loro stessa natura, sfruttano i territori senza creare una struttura di sviluppo nelle comunità. Il gas non è un combustibile di transizione. L’Africa è bloccata nell’economia dei combustibili fossili sin dal XX secolo, e il conflitto tra Russia e Ucraina sta peggiorando ulteriormente la nostra posizione.”
L’esperienza del settore della pesca in Tanzania, è stata portata da Editrudith Lukanga, del World Forum of Fish Harvesters & Fish Workers, il quale ha sottolineato le conseguenze disastrose di progetti che non tengono conto delle popolazioni locali: “Gli investimenti, fatti in nome dello sviluppo e della blue
economy, non tengono conto dei mezzi di sussistenza delle persone che dipendono dalla pesca. In Tanzania abbiamo un piano d’azione nazionale per implementare le linee guida sulla pesca di piccola scala, avviato dalle organizzazioni della società civile, principali attori di questo processo politico. Se portiamo avanti progetti senza consultare le popolazioni, non ci sarà alcun impatto positivo, ma solo la distruzione delle comunità che dipendono dalla pesca. E’ fondamentale che ci sia il coinvolgimento dei piccoli pescatori e delle comunità locali, ma anche un dialogo e una partecipazione attiva per far sì che alcuni percorsi di collaborazione e cooperazione possano essere sostenibili per le comunità locali in ogni contesto.
Per quanto riguarda l’acquacoltura ancora non vediamo l’impatto delle attività che sappiamo che presto arriveranno. Ci sono tanti interessi in Tanzania sullo sviluppo dell’acquacoltura, ma credo che prima ancora di impegnarci e di coinvolgerci in tali programmi e azioni di sviluppo, è fondamentale portare avanti una consultazione: bisogna coinvolgere i piccoli produttori perché quando poi verranno sviluppati i vari progetti, verranno realizzati sulla reale risposta e necessità delle persone.”
Antonio Onorati dell’Associazione Rurale italiana e del coordinamento europeo della Via Campesina, si è concentrato sul progetto di “agricoltura desertica” avviato dall’azienda italiana Bonifiche Ferraresi col supporto di SIMEST nel sud-est del Sahara algerino e che punta a sviluppare la coltivazione di grano, cereali e semi per oli. “Con questo progetto portiamo in Algeria milioni di euro senza aver consultato i contadini locali. L’impianto agricolo del Piano Mattei ha una visione vecchia chiamata “agricoltura mineraria” – in termini di acqua, fertilità, coltivabilità… Dal punto di vista economico questa agricoltura è deleteria.
L’Algeria è quasi autosufficiente per il grano duro, mentre il grano tenero (pane, farina, cous cous..) viene importato per quasi all’80% del fabbisogno. Viene quindi proposto un sistema di coltivazione “minerario” che prevede investimenti spaventosi, 400 milioni. La maggior parte di questi soldi verrà speso dal governo algerino: ad esempio il 50% dei pesticidi e concimi verranno forniti dal governo algerino. Il pacchetto totale è finanziato al 75% del Governo Algerino e al 25% dal governo italiano. Nel progetto si prevedono 500 ettari di infrastrutture in una zona desertica, dove attualmente c’è un’oasi stupenda. Per la realizzazione viene proposta un’irrigazione a pivot con un braccio enorme che copre ettari di terreno. Questa terra, tra 5 anni, sarà morta a causa del processo di salinizzazione. Tutta l’idea progettuale è sbagliata ed è stata venduta in un paese senza democrazia”.
La mancanza di coinvolgimento delle istituzioni africane nel processo decisionale è stata messa in luce da Jean Leonard Touadi, giornalista e docente di geografia dello sviluppo presso l’Università Sapienza di Roma: “La diplomazia ha le sue sedi di confronto. I Paesi e i settori del Piano Mattei sono stati selezionati in maniera unilaterale dall’Italia. L’Unione Africana e l’Unione Europea lo hanno ricordato anche al Parlamento italiano. Sviluppo significa attenzione ai bisogni delle persone, ma questo piano ignora del tutto le priorità dell’Africa.
Esiste un’agenda a lungo termine dell’Unione Africana, completamente trascurata come lo è l’imprenditoria africana che parla la lingua delle persone, rappresenta il 70% dell’economia africana, produce per il popolo africano, ma viene ignorata. Non ci può essere un piano di sviluppo se non ci si confronta con questa imprenditoria.”
Carlo Tritto del Sustainable Fuels Manager presso Transport & Environment ha commentato il l’iniziativa portata avanti da Eni in Kenya per espandere la produzione e la lavorazione di biocarburanti avanzati. Un progetto il cui ruolo rispetto alla decarbonizzazione e agli impatti socioeconomici sull’economia locale e popolazione keniota ha sollevato numerosi dubbi.
A conclusione dell’incontro sono intervenuti anche Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, di Alleanza Verdi e Sinistra. “Nel corso di questo incontro, si sono affrontate questioni cruciali, come il progetto in Kenya, che prevede di trasformare un milione di ettari di terreni agricoli locali in coltivazioni per biocarburanti destinati a produrre energia per l’Italia. Questo significa sottrarre risorse agricole vitali alle popolazioni locali in un Paese che già soffre di alti tassi di mortalità. È una politica predatoria, che utilizza in maniera impropria i fondi destinati al clima per depredare l’Africa, mascherandola come un aiuto.
Inoltre, l’Africa si trova a fare i conti con un debito nei confronti dei Paesi del G7, che è stato venduto ai fondi privati e che impedisce a queste nazioni di investire in settori cruciali come la sanità. In Sudan c’è una guerra che ha causato 10 milioni di rifugiati. Secondo l’Onu, cinque milioni di persone soffrono la fame acuta e 25 milioni hanno difficoltà ad aver accesso al cibo. Sempre secondo l’Onu, questa potrebbe diventare ‘la più grande carestia del mondo’. Mentre 650 mln di africani non hanno accesso all’elettricità.
È evidente come le aree di intervento del Piano Mattei del governo Meloni coincidano con Paesi che possiedono riserve energetiche, confermando la natura estrattiva e opportunistica di queste politiche. Oggi abbiamo dato voce a quelle realtà che il governo Meloni ha ignorato, smascherando le menzogne che si nascondono dietro il Piano Mattei. Questa è la nostra risposta a un approccio che non solo non aiuta l’Africa, ma contribuisce ad aggravarne i problemi.”
Infine, anche se la Presidente Meloni afferma che il Piano Mattei ambisce a sancire un cambio di passo strategico nell’approccio italiano verso l’Africa, accompagnando lo sviluppo sostenibile del continente “su base paritaria”, tuttavia, risulta ancora difficile mettere in relazione una scelta sinora frammentata di progetti con una più ampia cornice strategica. Rimane infatti da valutare sia la fattibilità degli obiettivi del Piano, di là dalla dimensione specifica di ogni progetto, sia la possibilità che le modalità di cooperazione annunciate possano davvero rispondere alle finalità più alte del Piano in materia di promozione di un effettivo sviluppo inclusivo e di stabilità nel Continente. In questo quadro, la creazione di “valore aggiunto” per le popolazioni africane, eretta a criterio generale di intervento del Piano, dovrebbe portare al superamento di un modello relazionale basato sul dualismo tra chi detiene le risorse da sfruttare (i Paesi africani) e chi, come l’Italia e altri Paesi europei, ha sinora sostanzialmente mirato ad appropriarsene, detenendo i fondi e le tecnologie per trasformarle. Ad oggi, sembrano esserci poche certezze riguardo all’effettiva creazione di valore aggiunto per le comunità locali di alcuni