L’indecenza dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Pt.2
Fonte immagine Degrado e nessuna tutela: «I Centri di rimpatrio sono da chiudere»
Ufficio Policy Focsiv – Continuiamo con la sintesi sulla seconda parte del rapporto “Trattenuti: una radiografia del sistema detentivo per stranieri”, dopo avere commentato la prima parte (L’indecenza dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Pt.1 – Focsiv) sull’evoluzione, la gestione e i costi del sistema detentivo, continuiamo con la seconda parte relativa alla popolazione nei CPR, al loro ruolo nella politica di rimpatrio, alle strutture alla frontiera e la procedura d’asilo rapida, per finire con alcune conclusioni.
Popolazione detenuta nei CPR
I CPR detengono principalmente migranti irregolari, tra cui richiedenti asilo e migranti economici, e una percentuale significativa di persone trasferite dai sistemi penitenziari. Si tratta principalmente di uomini, spesso provenienti da Paesi con accordi di riammissione con l’Italia; le principali nazionalità rappresentate sono tunisina, marocchina, nigeriana ed egiziana, ognuna con un diverso tasso di detenzione e rimpatrio.
Questa popolazione è cambiata nel tempo, diventando più eterogenea e diversificata per nazionalità e motivi di trattenimento (vedi Migrazioni: Il Governo ignora le Convenzioni Internazionali che l’Italia ha sottoscritto).
Nel 2014, con la Legge n. 161/2014 il Governo ha drasticamente ridotto i termini di trattenimento a 90 giorni, ma la durata è stata progressivamente rialzata fino a un massimo di 18 mesi per alcune categorie. Una recente tendenza ha visto infatti la creazione di nuove categorie di trattenuti, tra cui richiedenti asilo considerati pericolosi per la sicurezza pubblica o a rischio di fuga, e persone il cui rimpatrio può essere eseguito in tempi rapidi.
La condizione dei richiedenti asilo trattenuti è particolarmente delicata: le strutture di detenzione prevedono il trattenimento per alcuni casi specifici, come coloro che fanno richiesta di asilo mentre sono già soggetti a un provvedimento di espulsione, per prevenire il rischio di fuga, ma le misure adottate non sempre rispettano il principio di non penalizzazione dei rifugiati, come sancito dalla normativa europea (vedi Rimpatrio e reintegrazione: sfide e soluzioni).
Dal 2023, il governo ha poi introdotto la possibilità di trattenere i richiedenti asilo per un massimo di 18 settimane in strutture specifiche nelle zone di frontiera, conformemente al nuovo quadro europeo di gestione migratoria (vedi Un Patto sulle migrazioni debole e contro i diritti).
Altra importante considerazione da fare riguarda il fatto che i centri di detenzione presentano condizioni spesso carenti, con problemi igienici e strutturali documentati: gli episodi di autolesionismo, violenze e somministrazione di psicofarmaci indicano un disagio diffuso tra i detenuti. Inoltre, le restrizioni alle visite di organizzazioni indipendenti e la carenza di servizi sanitari adeguati rappresentano una violazione dei diritti umani.
Politica di rimpatrio e ruolo dei CPR
Il sistema detentivo italiano per stranieri ha una funzione chiave nelle politiche di rimpatrio dell’Italia, che, per rispettare gli impegni europei, ha adottato diverse misure per aumentare l’efficienza e il numero dei rimpatri forzati. Tuttavia, come evidenziato nel rapporto, i CPR raramente riescono a garantire l’effettiva esecuzione dei rimpatri a causa della complessità amministrativa, dei costi elevati e della difficoltà di collaborazione con i paesi d’origine dei migranti. La percentuale dei provvedimenti effettivamente eseguiti, nel periodo 2011-2023, non supera mai il 32%, mostrando anche una chiara decrescita.
Per far fronte a queste difficoltà, il governo ha diversificato le modalità di detenzione e ampliato il numero di strutture di trattenimento, anche in aree al di fuori del territorio italiano. Un’importante novità in tal senso è l’accordo con l’Albania per l’istituzione di strutture detentive extraterritoriali, con l’obiettivo di accelerare le procedure di rimpatrio e gestire i flussi migratori (vedi Esternalizzazione all’italiana del controllo sui migranti). Queste strutture, paragonabili agli Hotspot italiani, permetteranno di verificare lo status dei migranti in arrivo e di trattenere coloro che attendono il rimpatrio. La politica di rimpatrio italiana continua, dunque, con questo nuovo modello “offshore” a mostrare numerose lacune, in termini di costi umani ed economici, nonché di impatti sui diritti delle persone detenute (vedi Dai centri in Albania agli hub di deportazione dei migranti).
Strutture di frontiera e procedura d’asilo rapida
Negli ultimi anni, le modifiche normative hanno permesso la creazione di nuove strutture e una procedura d’asilo accelerata per migranti giunti in frontiera, ampliando il numero dei luoghi di detenzione vicino alle coste e nelle zone di transito. Queste nuove strutture, incluse quelle in Albania, sono intese come aree destinate al trattenimento temporaneo dei migranti in arrivo e saranno utilizzate per esaminare rapidamente le domande di asilo e stabilire l’eventuale rimpatrio. Tale sistema fa parte di un progetto europeo (vedi Riforme repressive del Patto UE migrazione e asilo), previsto per il 2026, che mira a un più efficiente controllo dei confini e gestione dei flussi.
Il nuovo assetto crea, tuttavia, notevoli preoccupazioni: in primis, il rischio di isolamento dei migranti trattenuti in luoghi difficili da raggiungere, come le aree di transito o le zone di frontiera, rende difficile fornire supporto legale e garantire monitoraggi indipendenti. Inoltre, le procedure accelerate rischiano di compromettere i diritti di asilo, esponendo i richiedenti a un trattamento non sempre compatibile con le norme sui diritti umani.
Conclusioni e prospettive future
Il rapporto “Trattenuti” evidenzia la complessità del sistema detentivo per stranieri in Italia, caratterizzato da un’infrastruttura in espansione ma priva di standard operativi chiari e uniformi.Gli investimenti nelle strutture, incluse quelle extraterritoriali, suggeriscono una “nuova geografia della detenzione” che associa il controllo dei flussi migratori a un’espansione delle misure coercitive ai confini.
In questo contesto, l’Italia si trova di fronte alla sfida di bilanciare l’efficienza delle politiche migratorie con il rispetto dei diritti umani, specialmente alla luce del nuovo quadro europeo e della crescente pressione politica e sociale.
Vengono allora sollevati, in questa analisi, interrogativi sull’efficacia e sull’etica delle attuali politiche di detenzione, sottolineando l’urgenza di maggiore monitoraggio e di alternative alla detenzione che garantiscano sicurezza e diritti.
Il sistema attuale, con i suoi elevati costi economici e sociali, appare più orientato verso logiche di controllo che a una gestione umana del fenomeno migratorio. I Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) sono considerati un modello inefficace e costoso, che ha portato a un incremento dei costi umani ed economici senza risultati soddisfacenti. ActionAid e i ricercatori universitari denunciano la mancanza di efficacia e l’alto prezzo pagato dalla collettività per un sistema che frequentemente viola i diritti umani. In sintesi, il rapporto propone un’analisi critica e documentata del sistema detentivo per stranieri in Italia, evidenziando la necessità di riforme sostanziali per garantire una gestione più trasparente e rispettosa dei diritti umani.