Migranti ambientali: che destino per loro? Agiamo ora!
“C’è sempre stata una fondamentale interdipendenza tra le migrazioni e l’ambiente, ma la realtà del cambiamento climatico apporta un nuovo elemento di complessità a questo nesso, rendendo il bisogno di occuparsi di questo fenomeno assolutamente urgente”.
Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, 2016.
Le migrazioni forzate sono state definite dall’Associazione Internazionale per lo Studio delle Migrazioni Forzate (IASFM) come dei “movimenti di rifugiati e sfollati (quelli sfollati dai conflitti), così come persone sfollate da disastri naturali o ambientali, chimici o nucleari, carestia, o progetti di sviluppo”. Tuttavia, quelli a cui oggigiorno è garantita una forma di protezione internazionale sono solo le persone che fuggono da violenze e persecuzioni politiche; quelli obbligati ad abbandonare i propri terreni dalle multinazionali, cacciati dai governi che hanno firmato un nuovo accordo con le industrie estrattive, o quelli spinti dall’impossibilità di guadagnarsi il pane quotidiano a causa di condizioni climatiche sempre più estreme sono lasciati in balìa della discrezionalità dei sistemi legislativi nazionali, che comunque non li riconoscono con uno status particolare.
Lo scorso novembre si è tenuto alla Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) di Milano un convegno sulle migrazioni forzate indotte dal clima: esperti internazionali del mondo accademico e politico si sono riuniti per apportare il loro contributo sul tema e costruire un dibattito informato che possa riflettersi in politiche efficaci ed incisive. I punti emersi riferiscono che:
- Le previsioni dei flussi migratori causati da drammi climatici sono sopravvalutate (si parla realisticamente di 25 milioni di profughi a livello globale nei prossimi 35 anni circa)
- Gli spostamenti dovuti a questioni ambientali avvengono soprattutto all’interno dei paesi e riguardano solo quella fascia della popolazione che ha mezzi a sufficienza per trasferirsi; i più vulnerabili rimangono.
- La relazione tra il cambiamento climatico, i conflitti armati e i flussi migratori è multicausale e lungi dall’essere chiara; certi fattori (politici e socio-economici) sembrano pesare più di altri (climatici), ma il fenomeno rimane altamente complesso e vario.
- Le modalità di sviluppo economico adottate negli ultimi trent’anni sono altamente distruttive per l’ambiente e conducono alla perdita dell’habitat, costringendo così milioni di persone a spostarsi per la sopravvivenza.
- Alcune strategie possono mitigare gli effetti dei problemi ambientali e avere un impatto sulla mobilità, che può sperimentare una diminuzione (per esempio grazie a particolari sistemi di irrigazione, ecc.).
In particolare, Saskia Sassen, professoressa e ricercatrice alla Columbia University, ha avvertito di come stia emergendo una terza categoria di migranti (oltre ai rifugiati e agli sfollati): i “migranti per la sopravvivenza”, coloro che sono costretti ad abbandonare le proprie abitazioni e terre a causa della crescente perdita dell’habitat. Una perdita esacerbata dai fenomeni del cambiamento climatico, quali siccità, temperature sempre più alte, inondazioni e tassi di precipitazione variabili, ma principalmente e soprattutto causata da quelle pratiche nocive che i sostenitori del modello di sviluppo economico incentrato sulla crescita del PIL hanno incoraggiato, senza preoccuparsi di considerare i danni ambientali e locali. Così, accordi tra governi, multinazionali, industrie e investitori hanno sancito la fine di determinati habitat e biodiversità: il terreno è diventato sterile e incoltivabile grazie a come è stato usato, i processi di produzione o estrazione inquinano l’ambiente circostante, la popolazione locale è costretta ed emigrare, causa la mancanza di mezzi di sostentamento, se non direttamente l’espulsione e l’accaparramento delle terre.
In Italia, queste pratiche sono riconosciute e documentate dal Centro Documentazione Conflitti Ambientali (CDCA), che, insieme all’organizzazione A Sud, ha di recente pubblicato un rapporto sugli effetti delle crisi climatiche sulle migrazioni forzate. Vi si legge il bisogno di mitigare le conseguenze del cambiamento climatico e delle attività che sfruttano irrimediabilmente le risorse del nostro pianeta, per esempio attraverso una transizione energetica verso le fonti rinnovabili e l’abbandono dei combustibili fossili, la costruzione di modelli produttivi e di distribuzione su scala locale in grado di valorizzare le risorse del territorio e lo sviluppo di nuovi strumenti giuridici che affermino i principi della giustizia ambientale e climatica. Altresì, si riconosce la necessità di accordarsi su una definizione internazionale di migrante ambientale con un conseguente corpo giuridico capace di proteggere questo fenomeno, ricordando che, mentre il compito primario di tutela e legislazione è nelle mani dei governi, ogni individuo può fare la sua parte nel piccolo.
La FOCSIV ha deciso di impegnarsi concretamente in questo percorso, annunciando il suo disinvestimento dalle fonti fossili lo scorso ottobre (qui il comunicato stampa e la guida al disinvestimento) e contribuendo alla campagna di #DivestItaly affinché un più grande numero di soggetti pubblici e privati intraprendano azioni concrete per la lotta al cambiamento climatico e in vista di un futuro più sostenibile a bassa intensità di emissioni di carbonio. A tale fine è prevista la conferenza internazionale “Laudato Si’ e investimenti cattolici: energia pulita per la nostra casa comune” il 27 gennaio 2017 alla Pontificia Università Lateranense a Roma (per ulteriori dettagli, seguire il link).
Per il resoconto del Convegno della FEEM “Climate Induced Migration”, vedere il link.