Appello delle Ong italiane per dar voce al Burundi
Numerose Ong italiane presenti in Burundi insieme ad AOI (Associazione Ong Italiane), COP – Consorzio delle Ong Piemontesi, FOCSIV e Link2007 chiedono alla stampa italiana di rompere il silenzio su quanto sta accadendo in Burundi in vista delle elezioni presidenziali programmate per il 26 giugno.
Sabato 25 aprile l’attuale presidente Pierre Nkurunziza, appoggiato dalla maggioranza del suo partito – il Consiglio nazionale per la difesa della democrazia-Forze per la difesa della democrazia (Cndd-Fdd), si è ricandidato per la terza volta.
L’opposizione e gruppi della società civile contestano questo terzo mandato perché contrario alla Costituzione e agli accordi di pace di Arusha (2000) che hanno aperto la strada alla fine della guerra civile burundese, durata oltre dieci anni (1993-2006).
Alla vigilia della ricandidatura di Nkurunziza il governo burundese ha vietato qualsiasi manifestazione pubblica in tutto il paese minacciando di usare l’esercito per ristabilire l’ordine. A partire dal 26 aprile si registrano scontri tra polizia e dimostranti nella capitale Bujumbura. Il 27 aprile Radio publique africaine (Rpa), la principale emittente privata del paese, ha interrotto le trasmissioni in seguito a un’ordinanza del governo. Le autorità hanno inoltre cercato di bloccare l’accesso ai principali social network (Facebook, Twitter, Whatsapp e Tango) utilizzati per organizzare le manifestazioni. La trasmissioni di alcune radio nazionali private e indipendenti (Isanganiro, Bonesha, etc) sono state bloccate all’interno del paese.
Lunedi 4 maggio, dopo due giorni di tregua decisi dalle organizzazioni della società civile e dai partiti politici dell’opposizione e la dichiarazione del Ministro della Difesa sul rispetto degli accordi di Arusha, Bujumbura si è risvegliata ville morte: a differenza della settimana precedente non solo le scuole, ma anche gli uffici, i negozi, le banche, i mercati e i mezzo trasporto hanno limitato i servizi a causa delle barricate e delle dimostrazioni.
Partite dai quartieri periferici della capitale, le manifestazioni sono arrivate nelle vie centrali della città, mentre le proteste si stanno allargando all’interno del paese, anche nelle province più remote tra cui Mwaro e Bujumbura Rurale.
Radio France International ha annunciato che Sylvère Nimpagaritse, il vice-presidente della Corte Costituzionale del Burundi, ha lasciato il Paese per non cedere alle pressioni esercitate sulla Corte affinché validasse la terza candidatura del presidente Nkurunziza. Candidatura che è stata legittimata nella mattinata di martedì 5 maggio.
Secondo l’ultimo aggiornamento delle Nazioni Unite, dall’inizio delle manifestazioni si registrano almeno 10 morti (di cui 3 forze della polizia) e oltre 60 feriti.
All’indirizzo https://2015burundi.crowdmap.com/ è online una mappa aggiornata che raccoglie dati e informazioni sulle proteste e le violenze legate alle elezioni.
A preoccupare non è solo il crescere delle violenze, ma anche le ripercussioni nella regione dei Grandi Laghi.
A livello politico, la situazione del Burundi potrà avere un “effetto domino” su altri paesi africani vicini: in Repubblica Democratica del Congo (RDC) si discute del terzo mandato di Joseph Kabila, alla guida del paese dal 2001, mentre in Ruanda Paul Kagame – al potere dalla fine del genocidio del 1994, eletto nel 2003 e riconfermato nel 2010 – vorrebbe modificare la costituzione per prepararsi a un ulteriore mandato.
A livello umanitario, dall’inizio di aprile l’ipotesi di una terza candidatura Nkurunziza ha provocato la fuga di oltre 30mila burundesi che si sono rifugiati nei paesi confinanti. Secondo i più recenti dati dell’UNHCR, oltre 2mila persone hanno chiesto asilo in Tanzania, circa 25mila in Ruanda e 4mila nella Repubblica Democratica del Congo.
Prima che la situazione degeneri ulteriormente chiediamo ai media italiani di dare spazio alle vicende burundesi.
Ricordiamo il recente caso del Burkina Faso dove, anche grazie all’attenzione della stampa internazionale, la mobilitazione della società civile ha spinto il presidente Blaise Compaoré a lasciare il potere e a non modificare la costituzione per ricandidarsi al potere.
Firmano l’appello CISV, Comitato Collaborazione Medica, Fondazione AVSI, GVC, LVIA, Medicus Mundi, VIS, VISPE e Servizio Volontario Internazionale.