Buttare il cuore oltre l’ostacolo
Testimoniare cosa vuol dire? Vuol dire rendere manifesto, essere la prova, la dimostrazione di qualcosa.
Mi chiedo quindi quale parte di questa esperienza incredibile, che è il Servizio Civile Universale, io voglia raccontare. Quello che mi è stato subito chiaro, è che la sfida più grande sarebbe stata trovare il mio posto a quasi 10.000 km di distanza dai miei punti di riferimento, dai miei comfort e dai miei affetti.
Ho scelto fin dal principio di voler lavorare per la scuola Maximiliano Spiller, in particolare per le classi così chiamate “Speciali”. Speciali perché sono uniche nel loro genere.
Al contrario delle scuole italiane in cui il numero di studenti con disabilità è una minoranza, la scuola M. Spiller accoglie circa novanta bambini e ragazzi che manifestano caratteristiche molto differenti fra di loro e li concentra in un’unica sezione della scuola.
Una follia, pensai la prima volta. Ebbene sì, lo è.
I primi mesi sono stati tosti, cercavamo di capire quale fosse la formula giusta, con quali classi fosse meglio lavorare, chi avesse più bisogno.
Vedevamo le necessità di aiuto ovunque, negli occhi delle maestre stanche, nelle richieste perpetue dei ragazzi di poter giocare, nelle classi più difficili i cui studenti hanno bisogno di assistenza continua.
Si tornava a casa distrutti con le gambe pesanti, pensando di non aver mai fatto abbastanza, di non essere stati all’altezza delle nostre aspettative.
Da qualche tempo però, ci siamo resi conto che cambiare prospettiva era la cosa più giusta da fare. Un po’ come quando un miope indossa il suo primo paio di occhiali e inizia a vedere chiaramente il mondo attorno a lui. E per farlo, per vederci più chiaro, siamo partiti da noi stessi, dalle nostre passioni, dalle nostre fragilità, e dalle nostre qualità prima di tutto umane.
È così abbiamo preso in mano le nostre arti, la musica per me e Tommaso, la pittura per Ilenia, e ci siamo inventati un mestiere: unirci in un cerchio di condivisione con gli studenti, insegnare loro quello che abbiamo imparato, lasciarci stupire dal loro mondo.
Nella nostra piccola aula dalle pareti azzurre abbiamo dato vita a un ciclo di Laboratori artistici e musicali con l’obiettivo comune di lasciare un’impronta sia ai ragazzi che al corpo docenti.
Questa auletta si riempie di vita dalla mattina alle 8.30 fino al suono della campanella alle 12.30. Dopo le lezioni, c’è sempre chi entra per suonare uno strumento, per prendere in mano un pennello e colorare, o semplicemente per confidare qualche segreto.
Dentro questa auletta ci sono tante sfide, ed emozioni. C’è la piccola Pamela che per la prima volta con le sue ditina rigide tocca la corde di una chitarra, c’è Joel, che pur avendo una forma di cecità parziale prova e riprova gli accordi sull’Ukulele anche dopo le ore di lezione, c’è Mikkel che nonostante le difficoltà nel controllare il suo piccolo corpicino si impegna nel riprodurre le melodie sulla tastiera, c’è Geomara che con fierezza intona canzoni neomelodiche Sudamericane davanti a tutta la classe, la dolce Andreina che regala gli abbracci più lunghi che abbia mai ricevuto, e c’è Zumy che pur non sentendo, si guarda attorno e carpisce ogni sguardo, ogni gesto, e grazie a questi momenti di condivisione ha iniziato finalmente a stringere legami con i suoi compagni.
Guardare all’infinito mondo delle possibilità e credere fortemente di poterle realizzare, mettendoci impegno, dedizione e fede, è l’unico modo per creare un cambiamento che per quanto piccolo, è reale, concreto, e osservabile giorno dopo giorno. E per vedere le possibilità bisogna mettersi in ascolto e accettare anche il dolore e la tristezza, perché sì, questo è un posto che mette davanti ai nostri occhi delle realtà crude e dure da mandar giù.
Chiunque parta per questa esperienza deve parlare a se stesso in maniera severa, ma gentile, indulgente, ma al contempo esigente. È tutto un equilibrio fra contrasti.
Un equilibrio che diventa sempre più duraturo passo dopo passo.
Le cadute ci sono, gli inciampi anche, ma ci sono quei momenti in cui guardi negli occhi la persona che hai di fronte e ti senti esattamente nel posto giusto.
Quando lavoravo in azienda, con il mio posto fisso e le sicurezze di una vita tranquilla, mi svegliavo tutte le mattine dicendomi che stavo sbagliando qualcosa, sentendo un gran peso sul cuore. Adesso il cuore l’ho preso tra le mani e l’ho portato oltre l’ostacolo, e tutti i giorni guardando i ragazzi penso che sì: questo è il posto giusto.
Giulia Pellegrino, Casco Bianco a Tena, Ecuador con ENGIM