Commercio per quale sviluppo?
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Ufficio Policy Focsiv – Lo sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà e alle disuguaglianze, la riduzione delle emissioni di gas serra, sono obiettivi che devono essere perseguiti con la coerenza delle politiche tra cui quella dell’aiuto pubblico allo sviluppo (si veda ad esempio il caso della coerenza con le politiche migratorie, e l’impegno italiano verso il piano di coerenza delle politiche che è attualmente in fase di stallo). Inoltre, l’aiuto pubblico allo sviluppo ha efficacia se le politiche commerciali sono coerenti, e cioè se non penalizzano i paesi impoveriti attraverso misure che aumentano i prezzi di beni essenziali da importare, o che riducono le possibilità di esportazione.
Rispetto a questo problema abbiamo tradotto il sommario esecutivo dello studio “Must Do Better. Trade & Industrial Policy and the SDGs”. The 30th Global Trade Alert Report di Simon J. Evenett e Johannes Fritz del Centre for Economic Policy Research (vedi GTA 30 report) che ha cercato di analizzare se e come le misure di politica commerciale hanno contribuito o meno al raggiungimento di alcuni obiettivi di sviluppo sostenibile per i diversi gruppi di Paesi, a seconda del loro livello di reddito procapite.
L’analisi cerca di rispondere alla mancanza di studi di monitoraggio e mostra come vi siano delle tensioni tra politiche commerciali neoliberali e raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. In generale l’assunzione è che la liberalizzazione del commercio agevoli la lotta alla povertà e alla fame, e questo sembra funzionare per i paesi impoveriti che dipendono dalle importazioni di generi alimentari, ma non per i paesi a medio e basso reddito che stanno cercando di far crescere la propria agricoltura. A tal proposito si mostra come le misure di protezione, distorsive del libero commercio, siano quelle che favoriscono la crescita industriale (come sostenuto dalla tradizionale teoria dell’industria nascente).
“Nel 21° secolo ci si aspetta molto dalla politica commerciale. Gli Stati sono chiamati a spiegare in che modo le scelte di politica commerciale del loro governo influiscono sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).
Alcuni temono che ci sia una tensione tra le politiche commerciali neoliberali e i progressi nell’eliminazione della povertà e della fame e sull’adozione di energia pulita, per citare solo tre degli SDG. Alcuni chiedono che la politica commerciale faccia di più per lo sviluppo sostenibile, mentre altri dubitano sulla saggezza di collegare la politica commerciale agli SDGs.
Le ben note carenze nel monitoraggio della politica commerciale da parte dei governi, frenano le valutazioni globali sulle ricadute dei cambiamenti di politica tariffaria e non tariffaria per gli SDGs – una lacuna che il rapporto “Must Do Better” in parte colma.
Per sette dei 17 SDG, il presente rapporto fa luce su ciò che le scelte di politica commerciale in tutto il mondo hanno contribuito, potrebbero contribuire ulteriormente e dovrebbero contribuire all’attuazione degli SDG. Vengono presentate prove su se esiste una tensione tra la riforma delle politiche commerciali e la realizzazione degli SDGs; se le differenze di reddito pro-capite nazionali facciano la differenza; e se gli interventi di emergenza di politica commerciale, come si è visto durante la pandemia, abbiano ostacolato i progressi verso gli SDGs.
Per affrontare queste questioni, la ricerca utilizza un quadro di riferimento dell’impatto delle politiche commerciali che collega ben 37.529 interventi unilaterali di politica commerciale a 61 indicatori associati ad alcuni SDGs (1 eliminazione della povertà assoluta, 2 fame zero, 3 salute e benessere, 6 acqua salubre per tutti, 7 accesso all’energia per tutti, 9 sviluppo dell’industria, dell’innovazione e delle infrastrutture, e 14 vita nei mari ed oceani). Un totale di 192 governi sono stati responsabili di questi cambiamenti di politica commerciale.
L’Agenda 2030, l’iniziativa delle Nazioni Unite che comprende gli SDG, è entrata in vigore il 1° gennaio 2016. Da quella data, un totale di 19.672 modifiche alle politiche commerciali di importazione, esportazione, sovvenzione o altro hanno influenzato i 7 SDG selezionati.
In termini di impatto sugli SDGs, la ricerca mostra che il 45% di queste modifiche ha probabilmente migliorato i risultati, il 27% ha peggiorato il raggiungimento degli obiettivi, e il restante 28% è stato neutrale (nessun effetto). Questa analisi appare meno impressionante se confrontata con i risultati delle politiche precedenti al 2016:
– Il 46% delle modifiche alle politiche commerciali prima del 2016 avrebbe migliorato gli SDG.
– Sebbene il numero di volte in cui le modifiche alle politiche commerciali ha avuto un impatto sugli SDGs sia aumentato in media del 10% dal 2016, il numero totale di interventi di politica commerciale di qualsiasi tipo implementati è cresciuto del 32%.
Prima del 2016 un terzo dei cambiamenti di politica commerciale implicavano metriche relative agli SDG, dopo l’entrata in vigore dell’Agenda 2030 la quota è scesa al 27%. Sia che si usino statistiche aggregate o per singolo SDG, dall’entrata in vigore dell’Agenda 2030, non c’è stato alcun cambiamento marcato nelle scelte di politica commerciale a favore dello sviluppo sostenibile.
La Banca Mondiale classifica le nazioni in quattro gruppi in base al reddito pro-capite. Dal 2016, per 4 dei 7 SDGs studiati, più della metà delle politiche commerciali adottate dal gruppo di nazioni con il reddito più basso ha migliorato le metriche degli SDG. Per il gruppo di nazioni a più alto reddito, 2 SDG hanno beneficiato di politiche commerciali più favorevoli agli SDG. La cosa più sorprendente di tutte è lo scarso cambiamento registrato nel contributo delle politiche commerciali agli SDGs nei 108 Paesi a reddito medio-basso.
L’insorgere della pandemia COVID-19 non può essere incolpato di alcuna carenza nel contributo delle politiche commerciali al raggiungimento degli SDG. Confrontando gli interventi adottati nei periodi 2016-19 e 2020-22, le metriche chiave non cambiano molto. Semmai, la percentuale di interventi in grado di migliorare gli SDG passa dallo 0,44 allo 0,46.
Dato il modo in cui sono stati formulati alcuni indicatori degli SDG, è possibile che la performance nel breve periodo venga migliorata dall’imposizione di pratiche distorsive del commercio e da barriere commerciali. In pratica, sulla base delle prove presentate, la tensione tra politiche commerciali liberali e lo sviluppo sostenibile è assente negli SDGs 1 e 6.
Solo per un quarto delle misure di politica commerciale adottate dal 2016 è emersa una tensione negli SDGs 2, 3, 6 e 14. La tensione è peggiore nell’SDG 9 (relativo alla crescita di infrastrutture, industria e innovazione): oltre il 90% dei cambiamenti di politica commerciale che migliorano le metriche di questo SDG distorcono il commercio o annullano le riforme commerciali liberali.
C’è molto spazio per la liberalizzazione della politica commerciale per contribuire maggiormente agli SDG esaminati, tranne che per l’SDG 9. Alcuni miglioramenti nelle metriche degli SDG deriverebbero dalle mosse per ripristinare le riforme commerciali recentemente decadute o con l’eliminazione graduale delle pratiche distorsive del commercio.
Tuttavia, mosse più coraggiose potrebbero dare risultati migliori. Se insieme i governi venissero persuasi ad abolire pratiche commerciali distorsive del mercato attuate dall’entrata in vigore dell’Agenda 2030, allora più del 55% degli interventi di politica commerciale negli SDGs 1, 2, 3, 6 e 7 migliorerebbe lo sviluppo sostenibile (il restante 45% delle misure restanti non hanno alcun effetto). Eliminare queste pratiche di distorsione del commercio comprometterebbe in modo significativo l’SDG 9, ma la risposta giusta in questo caso è quella di discutere dell’efficacia di politiche alternative che possano promuovere lo sviluppo del settore privato.”