Consumo di carne e cambiamenti climatici: ridurne il consumo puntando sulla piccola agricoltura sostenibile
Il rapporto “Changing Climate, Changing Diets”, pubblicato nel Novembre 2015 da Chatham House in collaborazione con ricercatori esperti in comunicazione dell’Università di Glasgow, esamina sotto differenti aspetti l’interconnessione tra il consumo di carne e i cambiamenti climatici e sottolinea il fondamentale ruolo dei governi nel cambiare le scelte di consumo alimentari.
Le proiezioni sulle tendenze alimentari dei prossimi anni mettono in luce che il consumo di carne aumenterà in modo esponenziale entro il 2050 (un aumento del 76 percento rispetto ai livelli odierni), con una “transizione” verso il consumo di proteine animali soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, conformemente all’aumento del reddito e alla nascita e consolidamento della classe media, e con un picco nei Paesi industrializzati in cui già oggi una persona consuma mediamente circa il doppio di carne di quanto raccomandato dai nutrizionisti. Negli Stati Uniti, paese al top nella classifica mondiale per il consumo di carne, quest’eccesso di proteine animali è circa il triplo: ogni americano consuma in media circa 250 grammi di carne al giorno. In Europa è la Germania a posizionarsi al top della classifica, seguita da Danimarca, Spagna e Portogallo.
I dati relativi al consumo di carne e alla produzione della stessa delineano una prospettiva assolutamente non sostenibile. Oltre i rischi correlati alla salute, allo sfruttamento di terra e risorse idriche e la conseguente perdita di biodiversità, vi è uno stretto collegamento tra filiera produttiva zootecnica, consumo di carne e cambiamento climatico.
Il principale settore incriminato è quello dell’agricoltura legata all’industria delle carni. Quasi un terzo delle terre coltivate nel mondo viene utilizzato per coltivare prodotti agricoli destinati non all’alimentazione umana ma a quella degli animali negli allevamenti intensivi. Nella sola Unione Europea, il 45 percento della produzione di grano (senza considerare altri prodotti quali soia e mais) è destinato alla zootecnia. Relativamente agli impatti sul cambiamento climatico, l’agricoltura costituisce il 10 percento delle emissioni di gas serra sul totale delle emissioni dell’Unione Europea; le emissioni riguardano principalmente il metano, derivante dai processi di digestione del bestiame, e il protossido di azoto contenuto nei vari prodotti chimici utilizzati per aumentare le rese agricole. Secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente (AEA), il consumo di carne e di prodotti lattiero-casearii contribuisce quasi al 25 percento degli impatti ambientali derivanti dal consumo totale di tutti i beni e servizi in Europa.
Di fronte a questi dati, non bisogna criminalizzare il settore agricolo tout court quanto piuttosto sostenere l’agricoltura di piccola scala non intensiva che, attraverso delle tecniche di produzione sostenibili, ha un ruolo fondamentale nel fermare gli impatti dei cambiamenti climatici. Si tratta dunque di porre le alternative sostenibili al centro dell’agenda politica pubblica. I governi che a COP 21 si sono dati degli obiettivi climatici ambiziosi non possono non tenere in considerazione le tendenze relative al consumo di carne, ma essi sembrano essere intrappolati in un circolo di inerzia per cui non si sensibilizza sulla questione dei consumi per paura delle ripercussioni sociali così come d’altra parte un’opinione pubblica poco consapevole e sensibilizzata non fa pressione affinché essi intervengano.
I ricercatori dell’Università di Glasgow hanno evidenziato come i governi siano stati finora riluttanti a prendere posizione rispetto alle preferenze alimentari per la paura della reazione dell’opinione pubblica che li potrebbe accusare di intervenire in un ambito squisitamente privato. Tuttavia gli stessi studiosi sottolineano che tale paura è sicuramente sopravvalutata; la capacità dei governi deve essere quella di delineare un approccio olistico attraverso cui intervenire con campagne di sensibilizzazione a livello nazionale che mettano in connessione la questione del crescente consumo di carne, mostrando i benefici derivanti dalla riduzione dello stesso e dal conseguimento di altri obiettivi di tipo ambientale e politico – sociale, come nel caso concreto della riduzione dei costi sanitari.
Relativamente alle politiche da intraprendere, il rapporto afferma che, per influenzare i trend del mercato alimentare, si richiedono strategie che combinano la promozione di alternative alimentari senza proteine animali con altre iniziative finalizzate a diminuire il consumo di carne, quali la rimozione dei sussidi diretti o indiretti al settore zootecnico, o interventi per aumentare il prezzo della carne e di altri prodotti non sostenibili, come potrebbe essere il caso di una tassa sul carbonio.
Per una cambio di tendenze è necessario un maggiore intervento da parte dei leader decisionali poiché, come evidenzia il rapporto, la capacità del governo di influenzare le tendenze alimentari è in espansione e i cittadini stanno sempre più accettando il ruolo del governo in questo settore.