Cosa cercare nel Servizio Civile all’estero
“Finché i giovani si troveranno a valutare il loro anno di servizio all’estero rispetto agli obiettivi e le attività, elencando le infinite piccole differenze tra loro aspettative iniziali e ciò che hanno vissuto, sarà difficile riescano a comprendere il senso vero del servizio svolto“. Una riflessione sul senso dell’esperienza di Lucia De Smaele, Responsabile Ufficio Servizio Civile FOCSIV, a pochi mesi dall’avvio dei nuovi progetti.
“Sono tanti anni che seguo dalla prima linea l’esperienza di servizio civile nazionale all’estero, ho visto negli anni centinaia di giovani interessati, tantissimi candidati alle selezioni, ho realizzato direttamente centinaia di colloqui ed ascoltato i colleghi parlare di quelli fatti da loro. Ho effettuato analisi, soppesato profili, fatto scommesse e valutato potenziali, ma ancora di più ho fatto orientamento, mi sono occupata di informare e formare, mi sono occupata di monitoraggio, di coordinamento di volontari all’estero, sia direttamente che tramite referenti in loco. Mi sono confrontata con tantissimi operatori delle organizzazioni che promuovo progetti di impiego nei “Sud del mondo”: ho lavorato con i progettisti, con gli Operatori Locali di Progetto, con i referenti Servizio civile delle varie organizzazioni, con i selezionatori, con i formatori della formazione generale, con i responsabili del monitoraggio. Una massa umana di giovani da un lato, pieni di buone speranze ed aspettative e una massa umana di operatori delle organizzazioni che, a vario livello, si adoperano con motivazione e capacità a sviluppare e gestire esperienze di servizio in contesti complessi.
Questo preambolo per dire che di questa materia penso di saperne qualcosa, di avere perlomeno un significativo osservatorio dal quale osservare – non sempre capire – le variazioni ed i flussi di motivazioni che spingono i giovani a candidarsi per quest’opportunità straordinaria che è il SCN all’estero nei PVS. Da questo osservatorio, dove sono ovviamente in buona compagnia, insieme ad altri enti sviluppiamo riflessioni poniamo interrogativi, cerchiamo di comprendere quali domande si pongono i giovani interessati a questa esperienza e se le nostre organizzazioni posseggono alcune risposte, ovvero se possono soddisfare in parte quei bisogni.
Cosa cerca un giovane che si candida per un anno di servizio all’estero? Tante cose diverse. Le motivazioni sono estremamente varie e sono influenzate dalla storia personale: dalla situazione lavorativa ed economica, dalla quella sociale, dalle mode, dalla ricerca di un contributo economico, dalla ricerca di un senso, dal desiderio di costruirsi una identità, dalla ricerca di un lavoro “etico”, dalla frustrazione per un società che non valorizza e non accoglie, dal desiderio di fuggire da legami opprimenti o da relazioni insoddisfacenti, dal desiderio di viaggiare e vedere il mondo… Impossibile operare una sintesi in righe.
Una questione però che spesso non viene considerata quando si fanno valutazioni complessive o si operano delle sintesi, è che un volontario che parte cerca di qualcosa che non conosce ancora. Infatti si forma una aspettativa, la colora attraverso le foto i racconti di altri, possibilmente di chi sente vicino a sé per età o profilo, nel migliore dei casi si informa, ricerca dati, studia il contesto locale e culturale (nel caso peggiore si ferma all’acquisto della Lonely Planet). Ma l’aspettativa non è solo sul paese dove andrà: è sul suo ruolo nel progetto di impiego, sulle attività specifiche, sugli obiettivi e sui risultati attesi, sull’impatto generale, etc. Il volontario in partenza si costruisce una aspettativa di realtà profondamente legata alle sue motivazioni alla partenza e questo legame, una volta sviluppato, è molto difficile da scalfire. Inutilmente si forniscono dettagli e informazioni, descrizioni e dettagli in formazione prepartenza per ancorare quelle aspettative agli elementi concreti di una realtà in costante mutamento: l’ascolto selettivo porterà il volontario a sentire e ricordare solo ciò che corrisponde all’aspettativa che si è creato, a ciò che reputa utile per il suo raggiungimento.
E che succede nel caso ci fosse qualcosa di stonato? Quando le cose che non corrispondono all’aspettativa prepartenza sono vissute come un piccolo tradimento e questo vale soprattutto per la questione delle attività. Sì, pare che le attività specifiche siano il cuore del problema: “Li c’era scritto così!” dice il volontario, invece c’è qualcosa che è cambiato, invece quell’attività è un po’ diversa, si fa di meno o si fa diversamente, o meno di frequente o più di frequente, o invece si affianca ad un’altra attività nuova, che va nella stessa direzione, ma non era prevista, scritta, pensata un anno fa. Mentre il volontario aveva costruito su questo tutta la sua aspettativa.
Non voglio ora ironizzare sul fatto che le attività specifiche siano importanti: lo sono certamente. Quelle che promuovo questi progetti sono Organizzazioni che nella concretezza del fare trovalo il loro senso, nella vicinanza e comunanza con le comunità che in tanti Paesi le ospitano e con le quali collaborano promuovendo autosviluppo e protagonismo locale. Tante cose si possono fare per perfezionare continuamente la definizione della attività dei progetti e un grande contributo può venire direttamente per i volontari in servizio.
Ma il punto è che, a mio parere, il cuore dell’esperienza non è l’attività. Non è l’obiettivo raggiunto in pieno, non è il diagramma di Gantt, non è la relazione esaustiva, non è la percentuale di persone assistite né il riconoscimento del ruolo del volontario il cuore dell’esperienza di servizio civile all’estero in un PVS. Il cuore è la condivisione e la crescita umana.
Finché i giovani si troveranno a valutare il loro anno di servizio all’estero rispetto agli obiettivi e le attività, finché confronteranno la foto del contesto con la foto prepartenza cercando le infinite piccole differenze come in una grande “Settimana Enigmistica”, sarà difficile riescano a comprendere il senso vero del servizio svolto.
Sì, lasciatemi sottolineare quest’altro piccolo particolare: è un anno di servizio. Ovvero mettere l’altro al centro con umiltà.
Al loro rientro i volontari hanno tanto da raccontare e da condividere, tante cose a insegnare. Si tratta di storie che hanno valore tanto più i giovani sono riusciti a capire la cornice di senso del loro anno, ad abbandonare la vecchia foto e ad accogliere quello che l’esperienza ha saputo dare, leggendo nelle criticità delle sfide personali motori di crescita. Ma avranno ancora tanta strada davanti prima di per poter dire di aver veramente compreso quel piccolo mondo che li ha ospitati per un anno.
In autunno partiranno tanti nuovi volontari servizio civile all’estero e centinaia di loro andranno in un cosiddetto Paese in Via di Sviluppo o Paese Emergente. Mi auguro che siano in tanti a sintonizzarsi sulla frequenza giusta della condivisione e del servizio: saranno certamente soddisfatti di un anno che – se lo lasci fare – ti cambia la vita.”