Dalla COP26 alla COP27: quanti impegni falliti
Immagine da L’Indro
Il seguente è un riassunto dell’articolo “Factbox: COP26 a year later: Where do last year’s climate pledges stand?” pubblicato dall’agenzia Reuter.
È ormai passato un anno dall’ultima conferenza COP26 delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi a Glasgow, in Scozia, in cui paesi, banche e leader aziendali hanno annunciato una serie di piani e impegni sul clima. Quello che segue è un aggiornamento su come sono progredite alcune delle più grandi promesse da allora, in vista della COP27 conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si sta tenendo a Sharm el-Sheikh, in Egitto, dal 6 al 18 novembre 2022.
- Piani nazionali di emissione
Nonostante le decisioni concordate alla conferenza sul clima tenutasi a Glasgow di migliorare i propri impegni di riduzione delle emissioni, chiamati contributi determinati a livello nazionale o NDC, prima della COP27, il mondo è ancora diretto verso un riscaldamento di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Questo perché una dozzina di paesi, tra cui il Brasile, non hanno rispettato l’accordo. Il Brasile, infatti, ha presentato a marzo un piano che consente emissioni più elevate rispetto alle promesse del 2016. La Cina invece, si è posta un obiettivo che non comporta profondi tagli alle emissioni, necessari per evitare il riscaldamento globale.
Al contrario, paesi come Indonesia, Corea del Sud e Australia, hanno mostrato una diversa apertura. L’Unione Europea, con i suoi 27 paesi, è il terzo più grande inquinatore del mondo, ma prevede di migliorare i suoi obiettivi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico nel 2023.
- Deforestazione
Alla COP26, più di 100 paesi hanno promesso un forte impegno per porre fine alla deforestazione entro il 2030. Tra questi, Brasile, Indonesia e Congo, che insieme contengono oltre l’80% delle foreste tropicali del mondo. Per fare ciò, l’area deforestata dovrebbe diminuire del 10% annuo rispetto al 2020. Secondo la Forest Declaration Platform, che monitora i progressi verso questo obiettivo, la deforestazione è diminuita di appena il 6,3% lo scorso anno e la deforestazione amazzonica ha raggiunto il livello più alto dal 2006, con un aumento di un ulteriore 23% dai primi nove mesi del 2022. Parallelamente, il Congo, che aveva promesso di migliorare la salvaguardia delle foreste dopo la COP26, ha invece annunciato l’intenzione di aprire aree di foresta pluviale incontaminata e torbiere ricche di carbonio alle trivellazioni di petrolio e gas. Viceversa l’Indonesia ha assistito a un rallentamento della deforestazione dal 2016.
- Impegno sul metano
Il 2021, ha annunciato l’Organizzazione meteorologica mondiale, è stato l’anno con il più grande aumento delle concentrazioni di metano. Finora 119 paesi hanno sottoscritto l’impegno della COP26 di ridurre le emissioni di metano del 30% rispetto ai livelli del 2020 entro il 2030. Tuttavia, solo 15 di loro, secondo un rapporto pubblicato questo mese dal World Resources Institute, hanno sviluppato piani concreti per farlo. Si prevede che un certo numero di nazioni offrirà piani di mitigazione del metano alla COP27. Nell’ambito dell’accordo USA-Cina annunciato a Glasgow, la Cina potrebbe potenzialmente fornire un aggiornamento sui suoi piani per iniziare a monitorare le emissioni di metano.
- Abbandonare i combustibili fossili
Circa 20 paesi, tra cui Germania, Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Francia, si sono impegnati alla COP26 a interrompere i finanziamenti pubblici per i progetti di combustibili fossili all’estero entro la fine del 2022, tranne che in circostanze “limitate” che rispettano gli obiettivi climatici. Vista la pressione sui firmatari per trasformare la promessa non vincolante in una politica effettiva, si prevede un impegno da parte di alcune nuove nazioni durante la COP27. Tra le decisioni prese alla scorsa conferenza sul clima, la Beyond Oil and Gas Alliance lanciata da Danimarca e Svezia per fermare le nuove trivellazioni di petrolio e gas, non ha ancora ottenuto il sostegno di alcun importante produttore di combustibili fossili. Si spera dunque possa annunciare nuovi membri in vista della prossima conferenza sul clima.
- 100 miliardi di dollari entro il 2023
La fiducia nei recenti incontri sul clima è stata distrutta dal rifiuto dei paesi ricchi di fornire i finanziamenti promessi ai paesi in via di sviluppo, rendendo più difficili i progressi collettivi. Al centro della questione c’è l’impegno del 2009 dei paesi sviluppati a trasferire 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 agli stati vulnerabili. L’importo è diventato simbolico, anche se è molto al di sotto delle somme effettive necessarie alle nazioni povere per far fronte ai gravi impatti climatici. I paesi ricchi hanno diminuito il finanziamento di 16,7 miliardi di dollari rispetto all’obiettivo nel 2020 e hanno segnalato che non sarà raggiunto fino al 2023. L’analisi del governo tedesco e canadese suggerisce che i paesi ricchi forniranno più di 100 miliardi di dollari negli anni successivi al 2023.
- Rendere le imprese più verdi
Lanciata prima dei colloqui delle Nazioni Unite dello scorso anno, la Glasgow Financial Alliance for Net Zero, nota con il suo acronimo GFANZ, funge da gruppo di coordinamento per le società di servizi finanziari che cercano di raggiungere emissioni nette zero. Il gruppo conta ora più di 550 membri, tra cui la maggior parte delle principali banche, assicuratori e gestori patrimoniali del mondo, con un patrimonio collettivo di oltre 150 trilioni di dollari. Da quando sono entrati a far parte, 118 gestori patrimoniali, 44 proprietari di patrimoni e 53 banche hanno fissato obiettivi a breve termine per ridurre le emissioni e si prevede che altri lo faranno nei prossimi mesi. GFANZ, guidato dall’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney, ha anche lanciato una serie di progetti per accelerare il cambiamento nell’economia reale, compresi quelli che aiutano a definire standard e quadri per la divulgazione e la definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni.
Nonostante ciò, il gruppo e alcuni dei suoi membri sono stati criticati per non essere andati abbastanza veloci, in particolare per quanto riguarda la riduzione di finanziamenti alle aziende che espandono la produzione di combustibili fossili. Inoltre, la scorsa settimana, gli attivisti per il clima hanno criticato GFANZ per aver abbandonato l’obbligo che i suoi membri firmino una campagna di riduzione delle emissioni delle Nazioni Unite.
- Norme per la segnalazione dei dati
In risposta alle lamentele di investitori e società in merito alla non uniformità delle informazioni divulgate, l’International Sustainability Standards Board (ISSB), annunciato durante la COP26, è stato istituito per stabilire standard base per la rendicontazione dei dati ambientali delle aziende a livello globale. Da allora, il gruppo ha annunciato la nomina di Emmanuel Faber, l’ex capo del produttore francese di yogurt Danone, come presidente e di un gruppo dirigente di alto profilo per elaborare linee guida per il 2023. Nonostante ciò, le autorità di regolamentazione dell’Unione Europea e degli Stati Uniti si sono mosse per lanciare le proprie regole, tutte con lievi differenze che le aziende temono possano aumentare il costo della conformità e finire con ancora meno chiarezza. Si deduce quindi che, nonostante siano stati approvati degli obiettivi comuni alla COP26 per far fronte ai cambiamenti climatici, gli stati, le banche e le aziende si sono rivelate poco dedite agli impegni presi. In ballo ci sono il presente e il futuro di tutti e tutte noi, serve quindi che, durante la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Sharm el-Sheikh, i leader politici si a