«Difendiamo la cooperazione: garantire la sicurezza dei volontari è la nostra priorità»
Gianfranco Cattai (Focsiv): «Felice per Silvia, 400 giovani pronti a partire». Ed è allarme per i progetti bloccati dall’emergenza Covid-19 in Africa e America latina. Di Elisabetta Soglio su Corriere Buone Notizie.
Non punta il dito contro nessuno ed è soltanto «enormemente felice per la liberazione di Silvia». Ma Gianfranco Cattai, volto noto del Terzo settore e presidente di Focsiv, federazione che riunisce 87 associazioni italiane impegnate nella cooperazione e nel volontariato internazionale, racconta anche di uno stile preciso: «Per noi la sicurezza dei nostri giovani, e ne abbiamo gestiti 27 mila in 48 anni, è al primo posto. Nessuna delle nostre associazioni avrebbe fatto partire una ragazza da sola e per giunta diretta ad un Paese con alcune tensioni interne come il Kenya. Ogni viaggio, ogni esperienza di servizio civile internazionale o di cooperazione è un investimento per la vita e ci prendiamo a carico ciascuno di loro assumendoci ogni responsabilità. Per questo, neppure i più esperti partono mai da soli e ciascuno ha sempre sul luogo dove è destinato un referente che lo ha in custodia per tutta la durata della missione».
Cattai era partito per la sua prima esperienza all’estero nel 1972 e, ammette, da allora molte cose sono cambiate: «Quando ero in Somalia, all’inizio degli anni ‘80, per telefonare alla mia famiglia una volta alla settimana mi mettevo in coda all’ufficio postale e aspettavo due ore per avere la linea. Oggi il telefonino prende in quasi tutti i villaggi anche dell’Africa più povera. Ciononostante, quello della sicurezza è per noi sempre il primo tema». Detto questo, respinge l’immagine di ragazze e ragazzi solo idealisti: «Nel mondo della cooperazione ci sono giovani determinati e motivati, che si avvicinano a questo mondo per una scelta che è solida e matura». Giovani che non si erano spaventati dopo il rapimento di Silvia Romano: «Anzi, sono arrivate molte disponibilità. In questo momento ce ne sono 400 di servizio civile internazionale che avrebbero dovuto partire ma sono bloccati per le norme dei vari decreti Covid».
Un’emergenza nell’emergenza: «Abbiamo migliaia di cooperanti in Africa e America Latina e, mentre ancora non è chiaro l’impatto sanitario del virus, c’è già il contraccolpo sulla filiera alimentare che è completamente saltata e così si rischia di morire di fame, se non per il Coronavirus». E le fatiche per il mondo della cooperazione non sono finite qui: «Con il blocco delle partenze e con l’interruzione di parte del sostegno economico che in questa fase è andato in direzione di ospedali e Protezione civile, molti nostri progetti all’estero si sono bloccati. Questo significa che i costi aumentano e che ci sono 5 mila cooperanti rimasti in terra straniera senza lavoro e senza poter tornare a casa. Ma là dove stanno nessuno interviene con sussidi o cassa integrazione e quindi il problema torna alle associazioni». Una questione su cui è stata chiesta l’attenzione del Governo: «Bisogna ribadire, soprattutto in questo momento difficile, che la cooperazione è basilare per costruire relazioni e rapporti, per aiutare le persone nella loro terra, per garantire diritti e recuperare dignità e speranza a chi nasce con un destinato già segnato di sofferenza e povertà assoluta».