EPA ratificati: un passo indietro per i paesi più poveri dell’Africa Australe
Mercoledì 14 Settembre il Parlamento Europeo ha ratificato gli Accordi di Partenariato Economico (EPA) con l’Africa Australe, ovvero con il Botswana, il Lesotho, il Mozambico, la Namibia, il Sud Africa e lo Swaziland. La ratifica è avvenuta con nove anni di ritardo, essendo inizialmente prevista per il 2007, ma già le negoziazioni avevano subito varie posticipazioni ed erano state concluse solo nel 2014, data da cui poi sono occorsi due ulteriori anni per ottenere la ratifica del Parlamento Europeo. Per entrare in vigore, l’accordo necessita l’approvazione del Consiglio dei Ministri e la ratifica dei parlamenti delle sei nazioni coinvolte.
Il concordato implica una liberalizzazione dei mercati delle due regioni: i sei stati non dovranno più pagare quote e dazi doganali per esportare i propri prodotti sul mercato europeo (ad eccezione di prodotti agricoli e dell’industria ittica) e in cambio dovranno aprire le porte alle compagnie europee. Esclusi dai termini dell’accordo rimangono i servizi, gli investimenti, i diritti di proprietà intellettuale e gli appalti pubblici.
Tuttavia, queste condizioni possono beneficiare nazioni dall’economia stabile e forte, come il Sud Africa o il Botswana, ma danneggiare i paesi più poveri come il Lesotho e lo Swaziland. Essi, infatti, non producono molti beni da poter da esportare all’Unione Europea (si veda a tal riguardo la differenza delle esportazioni totali e quelle intra-europee riportate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio al seguente link) e l’apertura del mercato significa il fallimento delle aziende più piccole dei settori liberalizzati, vista la maggiore competizione proveniente dalle importazioni rese più convenienti. Questo accordo avrà dunque conseguenze contrastanti e minerà comunque l’integrazione regionale dell’Africa del Sud.
Il principale rappresentante del processo, Alexander Graf Lambsdorff, ha affermato che il linguaggio dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile è alla base di quasi tutti gli accordi conclusi con l’Unione Europea. Ciò appare a volte più retorica che sostanza, al fine di mascherare interessi economici e forme contemporanee di neo-colonialismo. I paesi africani meno sviluppati, infatti, godono già di vantaggi quali l’esenzione dal pagamento di dazi doganali e di tariffe grazie al regime “tutto salvo le armi”; gli EPA significano dunque una reciprocità nociva per lo sviluppo economico di tali Paesi. Nell’Africa Australe, il Lesotho è considerato come un paese meno sviluppato che gode pertanto di termini commerciali già vantaggiosi. Inoltre, varie clausole di protezione sono state inserite a favore delle popolazioni africane, dimostrando così che alcune industrie saranno colpite negativamente.
La tesi europea che gli EPA rafforzino lo sviluppo economico locale poggia anche sul fatto che i mercati locali potrebbero integrarsi maggiormente nel mercato mondiale. Ciò è sicuramente vero e benefico per un’economia robusta, ma paesi fragili nella loro crescita economica necessitano di protezione e sviluppo di un commercio regionale. Aspetto quest’ultimo che verrà colpito a causa del nuovo partner commerciale, ovvero l’Unione Europea. Paesi quali il Sud Africa e il Botswana preferiranno commerciare con stati occidentali e trascureranno i propri vicini, che equivale a indebolire il mercato regionale.
Un ulteriore argomento è degno di considerazione: lo squilibrio di potere negoziale tra l’Unione Europea e le regioni dell’Africa. Come dimostrato dal rapporto Oxfam Unequal Partners del 2006, l’economia dell’Africa Australe equivale a 1/200mo di quella europea, fattore che rende la regione occidentale più potente nell’imporre le proprie decisioni. Questo è ancora più vero se si pensa alla dipendenza di molti paesi africani dall’assistenza e dal commercio europei: difficilmente le nazioni del sud riusciranno a far prevalere i propri interessi e saranno dunque “costrette” ad accettare i termini europei.
La tattica di negoziare con varie regioni africane, anziché con una sola coalizione di stati, è stata percepita da taluni come una strategia neocolonialista di “divide et impera”, come fatto presente nel rapporto della Camera dei Comuni del 2009 Economic Partnership Agreement between the EU and African, Caribbean and Pacific Countries. Certamente questa visione offre spunti interessanti di riflessione per chiedersi effettivamente quali siano i valori che muovono l’Unione Europea nei suoi accordi con il terzo mondo.