Esiste una reale volontà di inclusione dei migranti?
Siamo ad Ibarra, popolosa città delle Ande ecuadoriane crocevia di culture, tradizioni e persone in continuo movimento. Circondata e chiusa visivamente dalle maestose Ande, i suoi abitanti si contraddistinguono per la loro gentilezza e riservatezza e tendono ad essere abbastanza restii ai modi ben più diretti ed esuberanti degli abitanti della costa o dei vicini Colombia e Venezuela che, a causa dell’instabilità politico-economica e del clima di insicurezza e violenza, si sono convertiti nell’ultimo decennio in “paesi espulsori” di migranti.
Disposta in una posizione strategica, Ibarra collega la capitale Quito con la frontiera nord del paese, ed è da sempre stata considerata per questo una zona di transito. Negli ultimi anni però, il numero di persone che hanno deciso di fermarsi e trasformarla in casa propria sta aumentando, con effetti evidenti sul contesto sociale del territorio. Più in generale, a partire dal 2018 l’intero Paese ha visto aumentare il numero di persone in condizione di mobilità provenienti specialmente dal Venezuela, che ad oggi raggiungono quasi il mezzo milione. È il 5 aprile 2024 e si è appena concluso il processo di regolarizzazione straordinariarivolto ai cittadini stranieri di differenti nazionalità, presenti sul territorio ecuadoriano. Tale iniziativa, promossa dal Governo di Guillermo Lasso – presidente del Paese fino a novembre 2023 – per rispondere al crescente numero di migranti irregolari (la maggioranza di nazionalità venezuelana), è iniziata a settembre 2022 e, attraverso diverse fasi, ha consentito a circa 90.000 persone (cifra non ancora definitiva) di ottenere un Visto di Residenza Temporale di Eccezione, o meglio conosciuto come Visa VIRTE.
Come volontaria dei Corpi Civili di Pace (CCP) con Engim presso il Consejo Noruego para Refugiados (NRC) ad Ibarra, ho preso parte attiva nel processo, seguendo coloro che richiedevano il nostro supporto per i tramiti necessari all’ottenimento della VIRTE e ne ho quindi potuto constatare le criticità connesse. Se da un lato è vero che i requisiti richiesti per accedere a questo strumento sono meno rigidi di quelli necessari per qualsiasi altro tipo di visto, dall’altro sono moltissime le persone che per complicazioni burocratiche sono rimaste escluse dal processo. Partiamo prima dagli aspetti positivi: questo visto umanitario ha permesso a migliaia di persone venezuelane e non di ricevere un’identità in questo paese, di non essere più invisibili e poter reclamare quei diritti che molto spesso vengono negati, in un contesto sempre più discriminatorio e xenofobico. Primo fra tutti, la possibilità (seppur remota data la situazione di crisi e precarietà che vive l’intero paese) di incontrare un lavoro in regola che possa garantire il pagamento del salario minimo e maggiori tutele, come la possibilità di essere affiliati al seguro social e poter coprire eventuali costi medici.
Quello del lavoro informale è purtroppo realtà quotidiana per molti: non solo stranieri, anche gran parte della popolazione locale si ritrova costretta a lavorare per turni massacranti, con paghe da miseria. Se si guardano le cifre riguardanti le persone in condizione di mobilità, basti pensare che ben il 95% di loro è impiegato nel settore informale, e si tratta spesso di commercio ambulante. L’ottenimento della cedula de extranjeria (documento di identità ecuadoriano per cittadini stranieri) oltre a rappresentare la speranza di ottenere un lavoro dignitoso, apre anche alla possibilità di avviare un’attività propria. È il caso ad esempio della Signora R. una sessantenne di nazionalità venezuelana che dopo 5 anni di permanenza da irregolare nel paese, ha finalmente potuto accedere al visto ed ora può trasformare in realtà il desiderio di poter aprire un suo chiosco di cibo venezuelano. O il caso del Signor J. che può finalmente omologare la sua patente di guida professionale, acquistare un camion e lavorare nel settore del trasporto merci. Molte sono le storie di successo, molte di più quelle di chi viene lasciato indietro. La domanda che più ci sentiamo fare da chi purtroppo è rimasto escluso dal processo è: “Cosa succederà da oggi in avanti?”
Essendo un meccanismo di regolarizzazione straordinaria, tutte le persone che non hanno potuto – per mancanza dei documenti richiesti o perché entrate in Ecuador successivamente al 15 agosto 2023 – ottenere la VIRTE, rimarranno in una posizione di irregolarità migratoria e saranno maggiormente esposte ai controlli della polizia migratoria ed eventuali deportazioni. Non c’è ancora molta chiarezza su cosa succederà da oggi in poi, tutto dipenderà dalle misure che adotterà il neo governo di Daniel Noboa, insediatosi il 23 novembre 2023. La percezione delle Organizzazioni umanitarie presenti sul territorio è che ci sarà un inasprimento delle politiche migratorie, con maggiori controlli alle frontiere, già intensificati a partire da gennaio 2024, quando è stato dichiarato lo stato di emergenza in risposta all’aumento della violenza nel paese per il controllo del territorio da parte dei gruppi legati al narcotraffico. La militarizzazione della frontiera nord, insieme alla richiesta di presentare il casellario giudiziale legalizzato del paese di origine e di residenza degli ultimi cinque anni e all’intenzione di rafforzare lo strumento di deportazione, non produrranno alcun risultato a parte quello di fomentare ulteriormente gli ingressi per passi irregolari (por trocha), con tutti i rischi che questo comporta.
Analizzando la situazione in cui verte il paese e l’orientamento dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni, si può dedurre che la strategia di aprire a questo processo di regolarizzazione straordinaria non è frutto di una reale intenzione di inclusione dei migranti nel tessuto economico-sociale del paese, quanto piuttosto il risultato di una strategia politica precisa, che utilizza la migrazione come strumento diplomatico. Lo stato ecuadoriano, con la sua decisione di concedere un’amnistia migratoria, disincentiva di fatto l’arrivo dei migranti verso gli altri paesi della regione, attuando una strategia di contenimento dei flussi migratori, in cambio ovviamente di benefici. Negli ultimi anni le questioni migratorie, in particolare la migrazione venezuelana, sono state incorporate come parte centrale della diplomazia regionale. Ne è riprova il fatto che, invece di adottare una strategia lungimirante e duratura, si preferisce optare per misure emergenziali e temporanee, che intervengono solo in parte sulle necessità reali e concrete della popolazione in condizione di mobilità.
Al concludersi di questo processo di regolarizzazione straordinaria, ciò che non si fermerà sarà il lavoro svolto dal Consejo Noruego e dalle altre organizzazioni umanitarie che, facendo rete con le espressioni della società civile, possono giocare un ruolo fondamentale nel dialogo con le istituzioni e nella denuncia alle violazioni dei diritti.
Come parte dei Corpi Civili di Pace credo sia essenziale continuare con il lavoro di sensibilizzazione e informazione rivolto alle persone migranti, in modo che possano assumere maggior consapevolezza circa il loro essere soggetti di diritto e poter godere così di una permanenza sicura nel paese. Sempre come parte dei CCP penso anche a quanto sia fondamentale nel loro processo di inclusione economico-sociale, il ruolo giocato dalla popolazione di accoglienza e su quanto ci sia ancora da fare in questo senso. Il clima di odio e xenofobia che si respira non solo ad Ibarra, ma in tutto l’Ecuador è in aumento in un contesto dove precarietà, povertà e violenza hanno bisogno di un capro espiatorio su cui riversare colpe e responsabilità e dove le stesse istituzioni promuovono atteggiamenti stigmatizzanti e anti-migranti.
È nostro compito mantenere i riflettori accesi sulla necessità di elaborare, qui come in Europa, una strategia di intervenzione, protezione, regolarizzazione e inclusione economico-sociale permanente delle persone migranti per poter tutelare al meglio la loro dignità. È utopico, ma non voglio smettere di credere che un giorno sarà possibile trasformare in realtà ciò che è espresso a chiare lettere nella Costituzione ecuadoriana, dove si riconosce “il principio della cittadinanza universale, il libero movimento di tutti gli abitanti del pianeta e la progressiva fine della condizione di straniero come elemento trasformativo delle relazioni diseguali tra i paesi, specialmente nelle relazioni Nord-Sud” (Costituzione della Repubblica dell’Ecuador, 2008)
Chiara Aniello, Volontaria dei Corpi Civili di Pace con ENGIM a Ibarra, Ecuador.