Essere Muzungu In Kenya

Era esattamente il 1° agosto del 2021 che ho messo piede in Kenya, un paese del tutto nuovo per me. Sono già passati 5 mesi e mi sento completamente diversa da come mi sentivo nei primi giorni. Nei primi giorni pensavo a cosa mi poteva aspettare qui, ma ora penso a come partire e tornare in Italia. I bambini, le zie, gli zii, gli insegnanti fanno tutti parte della mia famiglia qui. Purtroppo, il tempo passa molto velocemente. Sì, dico purtroppo perché non voglio che il mio anno di servizio civile finisca così velocemente. L’energia positiva della gente locale rende le nostre giornate più belle, più serene.
Ricordo ancora il momento in cui ho ricevuto il messaggio di AUCI. Quando ho visto che sono stata accettata per il Kenya, ero così felice e non ci potevo credere. Noi umani ascoltiamo sempre la vita in Africa, i bisogni delle persone, le luci degli occhi degli africani. Ma ora, ero io quella che sarebbe andata lì e lo avrebbe visto, che avrebbe parlato, riso e saltato insieme a loro. Dopo tutti i processi, attualmente mi trovo a Nchiru, un paesino che dista 30 minuti dalla città di Meru. Nel centro in cui mi trovo, Aina Children’s Home, ci sono 90 bambini HIV positivi e una scuola elementare. In genere, lavoro come insegnante nella scuola e gestisco la comunicazione dell’associazione.
Anche se all’inizio mi sembrava difficile svegliarmi presto, qui inizio le giornate svegliandomi alle sei con i suoni dei bambini e facendo colazione insieme. È vero che il Kenya è famoso per il suo caffè, ma credetemi qui nessuno beve caffè. I keniani amano il tè. Anche se all’inizio era un po’ diverso iniziare la giornata con il tè, al momento è uno dei miei drink preferiti. Quando si vive in un paese diverso per lungo tempo, si entra in contatto con la gente del posto, la cultura locale, la lingua, la cucina, nascono i rapporti e i legami e così si crea il ricordo. Qui gli europei che chiamano “muzungu“, ovvero “uomo bianco”, sono di norma ben accolti. Mi piace uscire la mattina per passeggiare e salutare le persone dicendo “Habari za asubuhi!” che significa in lingua swahili “buongiorno”.
Mi restano ancora 5 mesi e sono sicura che avrò ancora molti momenti diversi che cambieranno la mia vita, le mie opinioni, le mie idee e chissà, magari anche le mie speranze. Come dicevo all’inizio già non mi sento più la stessa persona, ma penso che questa sensazione non sia solo mia.
Credo fortemente nella frase che dice: l’uomo non fa il viaggio, ma è il viaggio che fa l’uomo. Le persone, in particolare i bambini con cui vivo, sono cambiati anche loro, e lo vedo ogni giorno in ogni gesto.
Il mio Kenya, la mia Africa, anche quando finirà il servizio, il viaggio e l’esperienza, rimarrà sempre la mia casa, uno degli luoghi in cui mi sento a casa.
Ezgi Gencsoy, Casco Bianco con AUCI a Meru, Kenya.