Europa, Imprese Multinazionali e pratiche di elusione fiscale
A poco più di un anno dallo scandalo “Lux-Leaks”, la famosa inchiesta giornalistica che ha portato alla luce dell’esistenza di agevolazioni fiscali approvate dal governo del Lussemburgo per favorire numerose imprese multinazionali, è stato pubblicato il rapporto di Eurodad – “Fifty Shades of Tax Dodging”. Tale studio ha confrontato le politiche dei paesi membri dell’Unione europea su alcune questioni chiave quali, l’equità dei trattati fiscali con i paesi in via di sviluppo; la volontà di porre fine alle shell company (società di comodo) anonime; il sostegno ad una maggiore trasparenza delle attività economiche e dei versamenti fiscali delle imprese multinazionali; l’atteggiamento nei confronti dei paesi più poveri, per dare loro una voce ai negoziati sugli standard fiscali globali.
Il risultato delle analisi è stato piuttosto deludente; emerge la grande diffusione dei metodi per la defiscalizzazione delle imprese multinazionali. Uno degli strumenti più in uso è legato agli accordi preliminari di tassazione ed è noto come “Tax ruling”, parliamo del sistema usato per abbattere l’imposizione fiscale sulle grandi industrie e sui capitali finanziari. Le politiche di trasparenza promesse a seguito di “Lux-Leaks” si sono concretizzate in un sistema per cui le autorità fiscali europee saranno tenute a condividere informazioni sulle imprese multinazionali attraverso un processo caratterizzato da un alto grado di segretezza; dunque, piuttosto che di trasparenza, si parla di dati che non sarà possibile visionare. Invece, un risultato positivo riguarda l’introduzione di strumenti utili a chiarire le titolarità delle diverse società; tuttavia, tale progresso viene di fatto ostacolato dall’introduzione di nuovi strumenti volti a celare la proprietà, ad esempio nuovi tipi di società fiduciarie. Quindi, piuttosto che creare trasparenza, sempre più i paesi europei propongono nuove norme di riservatezza volte a nascondere l’ammontare delle tasse pagate dalle grandi imprese multinazionali.
Queste politiche ovviamente danneggiano molti altri paesi che perdono risorse in termini di entrate fiscali; risorse che, in assenza di concorrenza fiscale, potrebbero essere destinate al welfare, al diritto allo studio o alla sanità. Al tempo stesso ne escono danneggiate tutte quelle piccole e medie imprese che, legalmente, seguono un regime di tassazione più equo. Ulteriore aspetto da considerare è che queste pratiche, ampiamente seguite da molti paesi europei, scaricano le conseguenze sui paesi in via di sviluppo, costringendoli a subire la concorrenza nel sistema fiscale globale; un sistema che questi paesi non hanno contribuito a costruire e da cui continuano a rimanere esclusi. Su questo, è importante citare le richieste per un sistema fiscale più democratico avanzate nel luglio 2015 dal “Gruppo dei 77” che attualmente conta 134 stati in via di sviluppo, alla conferenza internazionale di Addis Abeba sul Finanziamento per lo Sviluppo. La proposta, sostenuta dal Segretario Generale dell’ONU – Ban Ki Moon, auspicava la creazione di un organo intergovernativo sotto l’egida delle Nazioni Unite per la cooperazione sulle questioni fiscali, in modo da consentire a tutti i paesi, compresi quelli in via di sviluppo, di avere parità di parola sulle questioni relative agli affari fiscali.
La reazione Europea è stata contraria alle questioni sollevate, infatti nessuno degli stati membri UE ha approvato la proposta del “Gruppo dei 77” e, di conseguenza, le decisioni sugli standard fiscali continuano ad essere prese in sede OCSE. In particolare, il Regno Unito e la Francia hanno giocato un ruolo di primo piano nel bloccare la richiesta di un posto per i paesi in via di sviluppo al tavolo negoziale per stilare le norme e le politiche fiscali globali. Ad oggi, solamente la Slovenia dichiara di voler sostenere la creazione di un organismo simile. La maggior parte dei paesi europei, a parte piccoli provvedimenti parziali sulla chiusura di alcune scappatoie legali, non sta dando risposte efficaci; al contrario, il rapporto evidenzia proprio come nell’UE esistano leggi e regolamenti volti ad agevolare le multinazionali nelle loro pratiche di elusione fiscale. Quindi continua senza intoppi la concorrenza fiscale tra i governi, che attrae i grandi capitali con offerte al ribasso sull’imposizione fiscale, a danno dei sistemi di welfare. Il risultato finale, osservato nello studio di Eurodad, è che i diversi paesi membri dell’UE lasciano spazio ad un ampio ventaglio di possibilità di elusione per le imprese multinazionali. La situazione è stata criticata dal Premio Nobel Joseph Stiglitz, il quale sostiene che “I paesi da cui provengono le imprese, politicamente potenti, che evadono ed eludono le tasse, sono gli stessi paesi che dovrebbero elaborare un sistema per la riduzione dell’evasione fiscale.”
Dunque, la principale vittima del ricorso sistematico a tutte queste pratiche, alla cui base c’è la volontà delle grandi imprese multinazionali di eludere o evadere il fisco, è lo stato sociale. Le strategie di “ottimizzazione” fiscale limitano la capacità degli stati di tutelare i diritti dei gruppi più vulnerabili aumentando i fenomeni di iniquità, disuguaglianza e povertà. Nei paesi in via di sviluppo, in cui queste questioni sono molto più pressanti ed i servizi sociali di base sono praticamente inesistenti, un sistema fiscale giusto ed efficace, non sottoposto ai ricatti delle multinazionali e dei paesi più potenti, sarebbe ancora più necessario e fondamentale, gli effetti dell’ingiustizia fiscale possono essere esponenziali. Al contrario, la possibilità di ricorrere a delle buone pratiche tributarie contribuirebbe alla tutela dello stato di diritto in Europa e aiuterebbe lo sviluppo delle società più povere.