Flussi migratori, mercato del lavoro, impresa e diritti umani: Europa inadempiente e Italia perdente
Il quadro scaturito dalla giornata dei lavori tenutosi al Senato della Repubblica sui diritti dei migranti non è edificante: l’Europa con le sue politiche di controllo e restrizione causa nuove sacche di irregolarità con relativa inadempienza dei diritti umani e dei lavoratori, mentre l’Italia oltre a presentare un situazione poco edificante con il 15% dei migranti irregolari e nel mercato in nero, è sempre più perdente come sistema che attrae energie nuove per lo sviluppo.
Lo scorso 11 dicembre, al Senato, si è tenuto il convegno –“Flussi migratori, mercato del lavoro, impresa e diritti umani”, organizzato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale assieme al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani. Sono intervenuti alla discussione esponenti dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dal Ministero dell’Interno, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, ILO, IOM, UNHCR, esponenti di importanti organizzazioni del terzo settore ed il Relatore Speciale dell’Onu sui Diritti Umani dei Migranti.
Il relatore dell’Onu Francois Crepeau, incaricato di analizzare le politiche migratorie europee ed i diritti umani dei migranti, ha descritto una generale situazione di irregolarità, di assenza di tutela e di esclusione dal diritto, in cui versano i migranti sin dal loro ingresso sul territorio europeo. Crepeau ha illustrato le conclusioni del suo rapporto affermando che il deficit nella tutela degli immigrati dipende dalla loro situazione di irregolarità e invisibilità. L’immigrazione irregolare è una conseguenza della chiusura delle frontiere, delle politiche proibizioniste e dei muri alzati dall’Europa. Il delegato, proseguendo senza mezzi termini, ha asserito che negli stati membri si fa fin troppo affidamento sull’impiego della forza lavoro immigrata non tutelata e a basso costo, rendendosi complici della speculazione sul lavoro sommerso. Dunque Crepeau ha richiamato l’attenzione sulla necessità di superare il Regolamento di Dublino e di scommettere su una mobilità legale, poichè le persone continueranno comunque ad affrontare qualsiasi muro pur di arrivare. L’Unione Europea, mettendo in campo una strategia di accoglienza coerente, fondata sul rispetto dei diritti umani e sul principio della libertà di movimento, inizierebbe in questo modo un processo di riacquisizione del controllo dei flussi ai propri confini. In altri termini, Crepeau propone di aprire canali legali utilizzando ad esempio gli Smart Visa, consentendo la comprensione ed il controllo del fenomeno ed avviando così la gestione positiva di un processo destinato inevitabilmente ad aumentare di importanza nel corso del tempo.
Seguendo la discussione Crepeau ha ripreso la parola per sottolineare l’importanza dell’integrazione dei migranti. Ogni persona extracomunitaria rappresenta per l’Europa un investimento a lungo termine; questa persona lavorerà, pagherà le tasse e potrà arricchire la società con le proprie idee, conoscenze e competenze. È quindi assolutamente necessario integrare, con l’obiettivo di scongiurare fenomeni di ghettizzazione sociale, lavoro nero e irregolarità. Il delegato dell’Onu si è spinto ancora più avanti, in maniera quasi provocatoria, affermando che in Europa occorrerebbe ripensare il diritto di voto, che allo stato attuale esclude troppe persone alla vita politica, che non hanno la possibilità democratica di esprimere la propria opinione.
Il tema della mancanza di diritti per tutti quei migranti che si trovano in condizione di irregolarità, o a rischio irregolarità, è stato ripreso da diversi relatori intervenuti ad arricchire il panorama della giornata. Il Vice Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Andrea Olivero, è intervenuto confermando come una delle fondamentali criticità del settore agricolo sia la mancanza di tutele e lo sfruttamento della forza lavoro, di cui la componente immigrata è maggioritaria. Olivero ha continuato sostenendo che il Piano di Azione Nazionale contro la tratta degli esseri umani ed il Piano di Azione Nazionale in materia di impresa e diritti umani, rappresentino la risposta governativa ai fenomeni dello sfruttamento, del capolarato e delle tratte. I provvedimenti sarebbero volti a garantire una maggiore efficacia dell’azione penale, degli indennizzi alle vittime ed un piano di accoglienza per i lavoratori stagionali. Il Vice Ministro ha concluso sottolineando l’importanza del ruolo della cooperazione internazionale e del lavoro regolare come strumenti per l’integrazione sociale dei migranti, citando ad esempio gli accordi con i governi di Tunisia, Egitto e Marocco ai fini del sostegno e della professionalizzazione dei migranti.
Nonostante i provvedimenti governativi, dal dibattito è emerso come l’Italia stia perdendo attrattiva come sistema paese. Saverio Gazzelloni, direttore della Direzione Centrale delle Statistiche Sociodemografiche ed Ambientali dell’ISTAT, ha contribuito al dibattito affermando che, in base ai dati in suo possesso, sempre più immigrati stanno lasciando l’Italia e che la motivazione fondamentale è da trovarsi nella mancata integrazione e nella quantità e qualità del lavoro, decisamente peggiorate. A supportare queste affermazioni è il dato sulla perdita occupazionale di lavoratori stranieri, pari al 10/15%, a seconda delle diverse regioni italiane. Gazzelloni sottolinea fortemente quanto la questione sia rilevante, affermando che attualmente, per la prima volta da decenni, l’ISTAT ha rilevato che il saldo demografico italiano totale è negativo e che il sistema Italia sta perdendo attrattiva anche per quei lavoratori qualificati e potenzialmente più integrati. Durante il confronto, in molti hanno sottolineato l’importanza imprescindibile di un lavoro regolare e dignitoso come condizione necessaria all’integrazione. Inoltre, una maggiore tutela e attenzione ai lavoratori stranieri farebbe emergere molte situazioni di sfruttamento sotterraneo; attualmente la quota di lavoro irregolare è stimata attorno al 15% del totale.
Una delle proposte presentate al convegno, sollecitata da più parti e in alcuni casi già sperimentata, vede nello schema della migrazione circolare lo strumento per la gestione dei flussi migratori. È vero che essa prevede l’acquisizione di una certa competenza professionale, e prevede un’eventuale attivazione di circoli virtuosi volontari che andrebbero ad alimentare anche i paesi di origine, ma è altrettanto vero che tale strategia non prende in considerazione l’idea di un’integrazione completa dei lavoratori stranieri; per questo motivo tale mezzo, da solo, non può certamente essere una risposta sufficiente.
Un’altra strada, già accennata in diverse sedi, passa per la responsabilizzazione delle imprese per la protezione dei diritti umani di tutti i lavoratori. Su questo, un buon esempio è stato fornito da un esponente della Fondazione Sodalitas, il quale ha riportato una recente legge inglese – Modern Slavery Act/2015. Con questa legge, il governo inglese obbliga le grandi aziende a dedicare uno spazio del proprio sito web alla pubblicazione delle misure intraprese dall’impresa per contrastare la violazione dei diritti dei lavoratori. Il governo, accanto all’obbligatorietà di assunzione del nuovo impegno, ha fornito delle linee guida sulle azioni pratiche da intraprendere per rispondere alla legge. Va sicuramente notato il nome del procedimento –“Schiavitù moderna”. È questo il termine estremo usato dal governo inglese per definire la posizione di tanti lavoratori, spesso extracomunitari. Tale termine, che potrebbe sembrare eccessivo, in molti casi non è così distante dalla realtà.
Dunque, quello che emerge dalla giornata dei lavori a Palazzo Giustiniani è l’importante nesso che lega il diritto ad un lavoro regolare, chiave per una vita libera e dignitosa e mezzo necessario all’integrazione degli stranieri, e le politiche di cooperazione che tutti i paesi membri dell’Ue dovrebbero abbracciare. È necessario favorire i migranti nell’accesso al lavoro, attraverso l’educazione e la formazione professionale, con progetti che potrebbero iniziare anche dai paesi di origine. La scelta alternativa la conosciamo: la chiusura delle frontiere lascia ampio spazio all’irregolarità, al mercato del lavoro in nero, agli abusi e alle difficoltà di integrazione che ne conseguono, alla ghettizzazione sociale, allo sfruttamento lavorativo, alle tratte e alla violenza.