Gabon: arrestato il Presidente Bongo Ondimba
I militari hanno annunciato ieri mattina, 30 agosto, la presa di potere, annullando il voto del 26 agosto che aveva visto rieletto per il terzo mandato Ali Bongo Ondimba, figlio del precedente presidente Omar Bongo Ondimba.
Ali Bongo, 64 anni di età, era stato eletto per la prima volta nel 2009 dopo la morte del padre: la successione della carica istituzionale da padre in figlio era la normalità nel piccolo stato africano, caratterizzato per essere ricco di petrolio e uno dei paesi con l’indice di sviluppo umano (ISU) relativamente elevato per gli standard africani.
Tuttavia, con ieri, dopo 14 anni di potere, un gruppo di militari, capeggiato da Brice Oligui Nuema, capo della guardia repubblicana, ha annunciato l’annullamento delle elezioni e lo scioglimento di “tutte le istituzioni della Repubblica” del Paese dell’Africa centrale.
Le modalità di questo colpo di stato somiglierebbero molto a quelle del golpe avvenuto un mese fa in Niger (il presidente si troverebbe attualmente agli arresti domiciliari presidiati dai militari di Nuema) ma persiste una sottile differenza.
Nessuna operazione militare per frenare le insurrezioni jihadiste, nessun malcontento o sentimento anti-francese tra i ranghi, alle motivazioni di questo atto ci sarebbe sia la mira indipendentista delle regioni dell’Africa Occidentale francese da parte del controllo economico dell’ex paese coloniale, ma soprattutto il malcontento del popolo da parte della presa di potere della “Bongo Dinasty“.
In entrambi i casi, c’è un ruolo forte di Parigi: ex potenza coloniale che ha 1.500 soldati in Niger e 400 in Gabon, e forti interessi minerari in entrambi i paesi, in un caso con l’uranio e nell’altro con il petrolio. Risorsa di cui è uno dei paesi più ricchi al mondo, ricchezza di cui però il popolo gabonese non ha mai potuto direttamente beneficiare.
Da 56 anni, infatti, la Francia partecipa all’estrazione del petrolio con la complicità del governo, facendo crescere tensioni e piegando ulteriormente il paese nella morsa dell’inflazione, con ricadute pesanti sui prodotti agricoli ed alimentari.
Il Gabon è stimato dall’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) come uno dei paesi con il volume di quantità di petrolio più alti al mondo, oltre 181 mila barili di greggio al giorno, quanto basta a classificarlo come quarto produttore dell’Africa sub-sahariana per output di oro nero.
Secondo la Banca Mondiale, il 38,5% del PIL del paese si basa sul mercato del petrolio, di cui il 70,5% è coperto solo dalle entrate commerciali per l’export, un rapporto di dipendenza per cui il governo ha effettuato vari piani per incentivare la diversificazione economica. Soprattutto perché, pur con gli alti livelli di reddito e di introito finanziario ottenuti tramite il mercato petrolifero, questo non ha mai contribuito a incrementare le condizioni socio-economiche della popolazione, di cui il 40% della fascia under 24 soffre una gravosa disoccupazione.
A gennaio del 2023 il governo di Bongo aveva istituito un ministero ad hoc per affrontare l’inflazione, con assegnazione di un tetto al prezzo di 48 prodotti dell’import fra ottobre e marzo. Ciò tuttavia non è stato sufficiente a fermare le mire terroristiche che ormai inquietano il Sahel da circa 3 anni, una situazione di instabilità politica inasprita ancora di più dal COVID-19 e dall’invasione russa in Ucraina.
Altro tratto caratteristico di una presa di potere quasi tirannica da parte della famiglia Bongo, è la mancanza di una vera e propria libertà di stampa. Come riportato da Reporters sans Frontieres, anche durante le ultime elezioni, avevano denunciato il fatto che la stampa estera era tagliata fuori dal processo elettorale.
Il tasso di partecipazione al voto è stato del 56,65%. Poco dopo una decina di soldati gabonesi ha annunciato con un comunicato stampa letto sul canale televisivo statale Gabon 24 l’annullamento delle elezioni e lo scioglimento delle istituzioni motivandolo con l’aver constatato “un governo irresponsabile e imprevedibile che provoca un continuo deterioramento della coesione sociale che rischia di portare il Paese nel caos“.
Già nel 2016 il candidato alle opposizioni di origine cinese, Jean Ping, denunciava che il risultato delle elezioni fosse frutto di brogli.
Con la Francia sempre più sconfortata ma che non ritira gli aiuti allo sviluppo nel paese, come aveva fatto invece a fine luglio con il Niger, la comunità internazionale sta invocando una soluzione attraverso la diplomazia mentre le compagnie multinazionali sospendono le attività prima del ripristino dell’ordine.
Nel frattempo a Libreville, continua l’appello lanciato sui social da Ali Bongo <<Fate rumore! Fatevi sentire>> rivolgendosi alle autorità interne e alle istituzioni internazionali.