Gente che spera
Sapevo già da tempo che ad ottobre del 2023, come parte del mio Servizio Civile, la mia OLP Lucia mi avrebbe “buttato nella mischia” della Formazione Generale dei Corpi Civili di Pace. Come volontario all’interno dell’Ufficio Formazione e Volontariato, questa era un’occasione unica per vivere in prima persona una realtà ormai concreta come quella dei CCP.
Sebbene nel mese precedente l’appuntamento mi sembrasse distante, qualcosa per cui avrei comunque avuto tempo di prepararmi mentalmente, ovviamente il 16 ottobre è arrivato in un secondo. Sullo scadere di quelli che son sembrati due giorni, invece che trenta, mi sono affannosamente ritrovato a rincorrere il tempo per ultimare i preparativi necessari all’inizio della formazione.
La parte residenziale è durata due settimane: la prima a Ciampino, con centocinque volontari selezionati per i progetti di tutti gli Enti CNESC coinvolti, compresi i cinquantuno ragazzi dei progetti Focsiv; la seconda a Roma in zona Boccea, (nella stessa struttura dove a maggio avevo fatto la mia di Formazione Generale, per il Servizio Civile), con i soli – si fa per dire – volontari Focsiv.
Conscio del mio complicato rapporto con la puntualità e dei radicati limiti della mobilità romana, avevo chiesto di poter trasferirmi anch’io nelle strutture ospitanti per la durata del corso: sarebbe stata una full immersion.
Se penso adesso alle sensazioni del primo impatto, le ricordo simili a quelle che tutti abbiamo provato il primo giorno di scuola o in una nuova classe, quella combinazione tra la curiosità per le facce senza nome che ti circondano, per la nuova atmosfera e la leggera angoscia dovuta all’elevatissimo numero di potenziali interazioni umane che ti si pareranno inevitabilmente davanti nell’immediato futuro. La realtà del contesto mi ha poi fornito subito la soluzione: neanche avrei avuto il tempo di pensarci.
La struttura era estesa, su più piani, a tratti labirintica. Uno spostamento medio, ad esempio da una delle quattro aule alla reception, ricordava un po’ le sofferte scampagnate aeroportuali che si fanno dai controlli al gate. Questo fattore, unito al mio ruolo di factotum, di supporto generale e di responsabile delle centinaia di fogli firme – ancora me li sogno la notte – ha fatto sì che non potessi più di tanto preoccuparmi degli aspetti extra-lavorativi.
Giornate che iniziavano alle sette e finivano mediamente all’una di notte, scandite da sessioni mattutine, pomeridiane e serali, intervallate solo dai pasti, da qualche pausa caffè e sigaretta, concluse da una meritata birretta con i colleghi dello staff. La seconda settimana si è articolata in maniera pressoché identica, anche se con la metà dei volontari e in una struttura più piccola.
Ad essere onesti, sono stati in tutto una decina di giorni – dal 16 al 26 ottobre – ma poco conta il loro aspetto numerico. Il volume delle giornate è sembrato dilatarsi, la nostra percezione di esse stravolgersi, come fosse una combinazione tra quel pianeta di Interstellar e la puntata di halloween de I Simpson in cui Bart e Milhouse fermano il tempo. Più volte, nel corso di quella indefinita massa temporale, ho sentito battute quali “e dopo questi mesi di formazione…” o “sono stati due mesi intensi, ma…” dette sia dei volontari che dei formatori. Benedetta ironia, solo uno dei sintomi positivi che ho riscontrato in quei due mesi.
Un altro sintomo di quanto sia stata un’esperienza positiva è stato lo spirito di partecipazione dei ragazzi, dei volontari. Devo ammettere che a tratti mi suscitavano un po’ di rispettosa tenerezza: ragazzi dai 22 ai 27 anni circa, già con esperienza di volontariato alle spalle, pronti ad investire nuovamente le proprie energie e il proprio tempo per letteralmente rendere il mondo un posto migliore… “Prima però vi cuccate due belle settimane intensive di formazione e convivenza obbligata!”
E loro? Stoici. Sempre partecipi nelle attività, pronti a ricevere ciò che sia i formatori che i loro stessi colleghi avevano da offrire.
A questo proposito, ricordo il giovedì della prima settimana: la maggior parte dello staff e tutti i volontari erano andati in visita al Ministero degli Affari Esteri, svegliandosi ancor prima del previsto e attraversando in pullman Roma da una parte all’altra, anche incastrandosi nel traffico dopo poche decine di metri. Non era previsto che io andassi, ho quindi recuperato un paio d’ore disonno e mi son goduto un tardo caffè con Agnese, l’unica altra collega non compresa nella spedizione.
Questi, invece, nel pomeriggio tornano visibilmente provati, e noi? Già serbavamo un’altra bella attività formativa da rifilargli, pure complessa, che prevedeva interpretazione, sforzo mnemonico e ingaggio fisico.
Mentre la studiavo poco prima che tornassero, ammetto, ho avuto paura. “saranno distrutti, come la prenderanno?”. Temevo onestamente che avrei dovuto interpretare il mio, voluto, ruolo di loro sindacalista, data la vicinanza anagrafica, nel più delicato dei momenti.
Ho dovuto ricredermi nel corso dell’ora successiva: la loro intraprendenza nel calarsi nelle parti, il loro entusiasmo e l’efficacia di declinare nella realtà i temi trattati nella simulazione durante i momenti di confronto, mi hanno veramente stupito. Ricordo nettamente, mentre li guardavo lavorare, di aver pensato “Ma come fanno?”. Ed è solo un esempio.
Anche nei loro momenti liberi, che fossero per fumare una sigaretta o a tavola, osservavo e sentivo come fossero investiti sia dei legami che stavano creando tra loro, sia degli argomenti delle sessioni. Era evidente come stessero facendo propria la responsabilità di sentire quelle tematiche, di come in parte le conoscessero già e di quanto ne identificassero l’inerenza con l’anno che sarebbero andati a vivere, che stanno vivendo in questo momento, in angoli remoti del mondo.
Mi è stato chiesto di scrivere questo articolo sulle sensazioni che ho vissuto, non posso quindi schivare l’ammissione di quanto una parte di me stesse rosicando, quella stessa parte che avrebbe voluto essere tra loro, pronto a partire. Ho poi però compreso in corsa quanto stessi in realtà già raccogliendo in quella posizione da mediano, definita da Lucia stessa “delicata, così vicino ai volontari, ma comunque ‘dall’altra parte della barricata’.”
La barricata che ho inevitabilmente sentito. Non so quanto esistesse solo nella mia testa, ma spero di essere stato in grado di scavalcarla, parlando con i volontari, ascoltando le perplessità che hanno voluto condividere ed anche chiacchierando di cose più terra terra, di calcio ad esempio, o facendo due palleggi, perché nella vita ci vuole anche questo.
E poi questa barricata alla fine non è stata così male: come ho assorbito le sensazioni di voglia e di vita trasmesse dai ragazzi, ho potuto, dall’altra parte, condividere lavoro, opinioni, racconti e risate anche con Piero, Ida e Agnese, colleghi Focsiv che – sembrerà un cliché – mi hanno fatto sentire sereno e messo in condizioni di lavorare in un modo che mi rendesse soddisfatto del mio operato. Non solo, sono stati anche in grado di rispettare senza alcun commento i necessari momenti di solitudine che più volte ho dovuto prendermi.
Infine, documentare la formazione con la mia Nikon, proiettare le foto davanti ai volontari l’ultima sera, con sotto Gente che spera degli Articolo 31, sono ricordi che difficilmente rimuoverò.
Quando son salito in macchina per lasciare la sede di Boccea, alla fine di tutto, ho chiuso quel cerchio emotivo apertosi dieci giorni prima. Ricordo di aver provato una sensazione specifica, che voglio esprimere con una citazione da Mediterraneo, film di Gabriele Salvatores del 1991:
“Sai cosa mi ricorda? Mi ricorda quando finivano le vacanze.
Sai quando si andava a scuola, no? Finivano le vacanze e bisognava tornare a casa. Questo…Questa atmosfera mi ricorda quel momento lì.”
Il Sergente Maggiore Lorusso, interpretato da Diego Abatantuono, dice queste parole al suo marconista Colasanti (Ugo Conti), la sera prima di abbandonare l’isola sperduta nell’Egeo sulla quale il Regio Esercito li aveva dimenticati, col loro plotone, per tre anni.
Non è stata una vacanza, non sono stati neanche tre anni – due mesi appena -, ma un sentore della malinconia espressa in quella bellissima scena ricordo di averlo provato.
Niccolò Comboni, volontario in Servizio Civile a Roma con Focsiv