Giro di boa (e oltre)
Ho abbozzato questa breve testimonianza prima delle vacanze di Natale e mi sono resa conto solo ora di quanto il tempo mi sia sfuggito dalle mani. Solitamente nel momento in cui ci si rende conto dell’avvicinarsi dell’ anno nuovo si “tirano le somme” di quello appena trascorso e si elencano i propositi per quello nuovo. Mi sono trovata così a fare il bilancio di questo anno particolarmente intenso (nonostante ormai siamo verso Pasqua) come si trattasse di un libro.
Il primo capitolo di questa avventura si intitola senza ombra di dubbio: “Un salto nel vuoto”. Sicuramente ci sono ragazzi/e che si candidano ogni anno al Servizio Civile a cuor leggero. Li ho invidiati perché per me non è stato così semplice. Si è trattato di un percorso travagliato, preceduto da numerosi dubbi e domande riguardanti il mio futuro. Il periodo della pandemia, che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, non ha fatto altro che sedimentare questi timori. Per quanto desiderassi vivere un’esperienza simile, mi sono posta molte volte la domanda se fosse o meno il momento giusto. Prima di riuscire a trovare una risposta, sono rimasta “incatenata” alla mia comfort zone per molto tempo. Lasciare la propria routine scandita dalla famiglia, dagli amici, dal lavoro, dalla pallavolo e tanto altro per l’incerto, sarebbe stata la scelta giusta? Eppure, spinta da qualche barlume di coraggio celato qua e là ho promesso a me stessa che non mi sarei fatta scappare l’occasione.
Ed eccomi qui, ormai al fatidico “giro di boa” (e oltre), a scrivere gli altri capitoli della mia storia dalla Tanzania a due passi dall’Oceano Indiano.
Non è carino fare spoiler ma mi pare scontata come notizia: è stata la decisione giusta; una scelta che ti fa sorprendentemente sentire viva e grata. Se dovessi abbozzare il titolo del capitolo intermedio, prenderei spunto da uno dei film più famosi del registra Gabriele Muccino, che cito di seguito:
“Questa parte della mia vita, questa piccola parte della mia vita si può chiamare felicità!”.
Non fraintendetemi, non è tutto rosa e fiori. Ci sono giorni di sconforti, giorni in cui il nervosismo è alle stelle perché nulla gira nel verso giusto, in cui non ti senti capita o semplicemente ti mancano le persone a te care. Non è semplice nemmeno condividere e convivere in un Paese straniero con persone totalmente nuove che non ti sei scelto e che il destino ha messo sul tuo cammino. Nuova casa, nuove abitudini, nuovi ritmi, nuovi punti di riferimento.
Non fraintendetemi, non è tutto rosa e fiori. Ci sono giorni di sconforti, giorni in cui il nervosismo è alle stesse perché nulla gira nel verso giusto, in cui non ti senti capita o semplicemente ti mancano le persone a te care. Non è semplice nemmeno condividere e convivere in un Paese straniero con persone totalmente nuove che non ti sei scelto e che il destino ha messo sul tuo cammino. Nuova casa, nuove abitudini, nuovi ritmi, nuovi punti di riferimento.
Ma arriviamo al sodo, cosa sto facendo esattamente in Tanzania? Il progetto per il quale sono stata selezionata con l’ente CVM, si occupa della “tutela e protezione delle lavoratrici domestiche”, un impegno che prosegue dal 2014. Per definizione, le lavoratrici domestiche si occupano delle attività svolte in o per una o più famiglie private. CVM si impegna affinché venga ratificata la convenzione ILO C189, ossia l’accordo dell’International Labour Organization, che assicura l’effettiva promozione e protezione dei diritti di tutti coloro che rientrano nella categoria del lavoro domestico, garantendo l’adozione di misure al fine di rendere il più dignitoso possibile questo lavoro. In Tanzania le lavoratrici domestiche di fatto sono lavoratrici informali e per questa ragione al momento non esiste un censimento completo e aggiornato a livello nazionale, perciò si stima ci siano almeno 883.779 lavoratrici domestiche nella Tanzania continentale e 203.662 nell’isola di Zanzibar, cioè complessivamente il 5% della popolazione attiva a livello lavorativo del Paese. Di questi il 75% del totale sono donne e il 52% di queste è di età compresa tra i 15 e 24 anni. Sono quindi molte le ragazze di età inferiore ai 18 anni, soglia minima di lavoro consentita per legge.
Sono già passati quasi otto mesi dalla mia partenza, ma le attività e le esperienze da vivere sono ancora tante. Sul seguito dei capitoli di questa straordinaria avventura che accumuna centinaia di giovani, bisognerà aspettare il trascorrere degli ultimi mesi. Tuttavia, di una cosa sono certa fin da ora: comunque vada sarà un grande dispiacere dover concludere questa esperienza. Il Servizio Civile è un’avventura che ti permette di conoscere storie di vita incredibili, di cambiare prospettiva e modi di vivere, ascoltare storie di donne e di riscatto, di consapevolezza dei propri diritti e delle proprie capacità.
Concludo questa mia breve riflessione, facendo un ultimo paragone con i libri che ho trovato calzante per questa avventura. Capita a volte che le prime pagine sembrino procedere lente, non si capisce dove l’autore voglia andare a parare e non si è certi che la trama sia adatta a noi. Tuttavia, come scrive uno dei miei autori preferiti
“un bel libro, non si valuta solo per le sue ultime parole, bensì sull’effetto di tutte le parole che le hanno precedute. […] Un bel libro è un libro che dispiace aver finito”.
Jessica Polini, Casco Bianco con CVM a Bagamoyo, Tanzania.