Global compact for migration un passo verso il riconoscimento dei diritti dei migranti
In occasione della Giornata internazionale per i diritti dei migranti, proclamata nel 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riportiamo l’articolo scritto da Andrea Stocchiero di Concord Italia/Focsiv sull’accordo internazionale tanto importante per l’effettivo riconoscimento dei diritti dei migranti in tutto il mondo.
Nelle ultime settimane è montata la polemica politica sul Global Compact for Migration. Un “patto” sotto l’egida delle Nazioni Unite che sembra imporre agli Stati l’adozione di ben precise politiche migratorie. I sovranisti nazionali sono insorti contro questa ennesima ingerenza globalista. Alcuni paesi, dagli Stati Uniti all’Austria, si sono ritirati prima dalla negoziazione e poi dall’adozione del Global Compact. Nel caso del Belgio la discussione politica ha portato ad una crisi di governo. In Italia il governo ha per ora preso una decisione salomonica, rimandando alla ratifica o meno del Parlamento.
In secondo piano sono riportate le critiche di stampo contrario, e cioè di organizzazioni della società civile che contestano il Global Compact perché, invece, non impone chiaramente il rispetto dei diritti dei migranti, condannando gli Stati inadempienti. E evidenziano come esso ponga troppe demarcazioni tra migranti regolari ed irregolari, limitando l’accesso a servizi fondamentali, e come sia troppo tenue rispetto alla criminalizzazione dei migranti, alla detenzione dei minori e allo sfruttamento dei migranti lavoratori.
E’ evidente come la questione delle migrazioni continui dunque a rappresentare un tema centrale e tossico del dibattito politico e sociale. Centrale perché su questo tema sembra si giochino percentuali importanti di consenso elettorale. Tossico perché avvelena il confronto politico e sociale non consentendo una riflessione più ponderata e per quanto possibile fondata su fatti reali. In questo caso sorge il dubbio che diversi personaggi politici non si siano neanche letto il testo del Global Compact o che si siano fidati di analisi parziali e strumentali.
Si potrebbe infatti anche dire che si stia facendo “molto rumore per nulla”. E questo soprattutto per chi teme una perdita di potere degli stati nazionali, perché il global compact non impone alcun obbligo. Mentre invece si sta facendo molto rumore proprio per la strumentalizzazione in chiave elettorale, a prescindere dai contenuti reali del Global Compact. Relegando in secondo piano il tema dei diritti dei migranti ad una vita dignitosa.
E’ bene sottolineare che il compact non è un trattato vincolante, con incentivi e sanzioni, ma un patto globale (ben 164 paesi lo hanno adottato a Marrakesh, di cui 21 dell’Unione europea) che chiede, ma non obbliga, gli stati e i diversi portatori di interessi ad impegnarsi nel realizzare accordi regionali e bilaterali che rispettino i principi e perseguano i 23 obiettivi definiti, indicando anche una serie di possibili azioni. Il fine è quello di promuovere migrazioni regolari, sicure e ordinate come stabilito nel target 10.7 degli obiettivi dello sviluppo sostenibile.
Ma questo target può essere oggetto di diverse interpretazioni, a seconda dei diversi interessi in gioco. L’implementazione del Global Compact può essere centrata di più sull’interesse degli Stati di destinazione a controllare e frenare le migrazioni, piuttosto che sui diritti dei migranti e sul loro contributo allo sviluppo sostenibile; o su quello dei paesi impoveriti a vedere salvaguardati i propri migranti nella loro capacità di sostenere le famiglie e le società nei luoghi di origine, e a inviare rimesse sotto forma di valuta pregiata per sostenere le bilance dei pagamenti. Tutto dipenderà dagli accordi regionali e bilaterali che gli Stati prederanno, e sui cui vigilerà la società civile affinchè al centro ci sia il rispetto della vita umana, la promozione dei diritti dei migranti in dialogo con le società di origine e di destinazione.
Lo schema del Global Compact sulle migrazioni ha una impostazione utile perchè riconosce la necessità di arrivare a un accordo tra gli Stati fondato su alcuni principi comuni: sulla dimensione umana delle migrazioni, sulla cooperazione in materia migratoria per governare un fenomeno transnazionale, sul diritto degli Stati a esercitare la propria sovranità territoriale, sul rispetto di uno stato di diritto coerente con gli standard internazionali, sul rispetto dei diritti umani al di là del tipo di status dei migranti, sul riconoscimento delle pari opportunità per le donne, sul primario interesse per la protezione dell’infanzia. Tutto ciò in un approccio integrato e coerente tra le politiche governative, con la partecipazione dei diversi portatori di interesse tra cui gli stessi migranti e le diaspore (nel cosiddetto whole of society approach), e quindi in linea con l’Agenda 2030 sugli SDG.
Ovviamente la questione decisiva riguarda la definizione delle responsabilità condivise tra Stati di origine, transito e destinazione, per un equilibrio ragionevole tra diritto a migrare (già riconosciuto nella convenzione internazionale sui diritti umani fondamentali) e diritto degli Stati a imporre restrizioni ai flussi per interessi nazionali. Tale questione non è decisa nel Global Compact ma si rimanda agli accordi di tipo regionale (come ad esempio l’accordo Shengen dell’Ue) e agli accordi bilaterali tra Stati (come quello dell’Italia con la Libia). In tal senso il compact rimane in una certa misura ambiguo perché può dare adito a diverse interpretazioni e diverse negoziazioni a seconda degli stati e interessi implicati.
Il ritiro di alcuni Stati dal compact, al di là della strumentalizzazione politica, si configura soprattutto come un attacco al multilateralismo, al dialogo tra stati con interessi diversi, ma che proprio per questo hanno bisogno di trovare un quadro di riferimento comune. Significativo il fatto che alla Conferenza, la Merkel abbia avuto una standing ovation del pubblico quando si è scagliata contro i nazionalismi. Infatti, senza un quadro di riferimento comune saranno soprattutto gli stati e le popolazioni più deboli e vulnerabili a subirne le conseguenze e i costi. Senza una cooperazione internazionale fondata su principi di equità non esiste alcun governo giusto delle migrazioni, nessun riconoscimento dei diritti dei migranti.