I nodi dell’accordo su finanza per lo sviluppo

Fonte immagine Intergovernmental Group of Experts on Financing for Development, fifth session | UN Trade and Development (UNCTAD)
di Andrea Stocchiero, Ufficio Policy Focsiv
Il problema del debito per i paesi impoveriti è sempre più pressante e mal gestito. E’ essenziale trovare nuove regole e stabilire un nuovo sistema finanziario che tuteli le popolazioni impoverite dalle asimmetrie di potere esistenti (Finanziamento per lo Sviluppo contro le asimmetrie di potere – Focsiv). Per questo è molto importante la prossima conferenza ONU su finanza per lo sviluppo, che si terrà a fine giungo a Siviglia. La Campagna cambiare la rotta (Home – CAMBIARE la ROTTA) sta seguendo il processo negoziale a cui partecipa il governo italiano assieme all’Unione europea.
In Italia esiste un “luogo” dove è possibile partecipare ed essere consultati sulle negoziazioni in corso: si tratta del gruppo di lavoro 1 del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, creato grazie alla legge 125/2014 sulla cooperazione internazionale. FOCSIV, insieme a Caritas Italiana ed altre associazioni della società civile, tra cui in particolare GCAP (Homepage – GCAP ITALIA), ha partecipato ad un incontro dove sono state scambiate informazioni e idee per sostenere la definizione di un accordo alla Conferenza quanto più avanzato ed ambizioso possibile.
In particolare è stata discussa la prima bozza dell’accordo che è accessibile a tutti qui: Outcome | FFD4. E’ la prima bozza a cui seguiranno altre bozze lungo un complesso processo di negoziazione tra Stati (sono consultabili le diverse posizioni degli Stati qui 3rd PrepCom Statements | FFD4, come è stato richiesto dalla società civile). Nell’incontro del gruppo di lavoro 1, tenutosi on line con il Ministero affari esteri e per la cooperazione internazionale (MAECI), sono state dibattute diverse questioni della bozza.
Innanzitutto, grazie alla presentazione del rappresentante del MAECI, sono state illustrate le diverse posizioni negoziali. La bozza infatti rispecchia il confronto tra diversi gruppi di paesi, con i loro interessi e sensibilità ai principi di equità e sostenibilità, nella complessità delle relazioni geopolitiche. I più importanti gruppi di paesi sono, oltre agli Stati Uniti, l’Unione europea, il gruppo dei 77 paesi in via di sviluppo (PVS), tra cui la Cina, che però gioca anche singolarmente, il gruppo degli Stati africani, quello delle piccole isole, e gli altri gruppi regionali del cosiddetto Sud globale. Ovviamente vi sono posizioni diverse. All’interno degli stessi gruppi vi sono considerazioni differenti. La negoziazione di tutti questi interessi rappresenta un “gioco” di compromessi dove i principi sono messi in discussione.
Innanzitutto emerge la posizione degli USA che è quella più conservatrice, a maggior ragione ora con l’amministrazione Trump, e quindi contraria o che cerca di infiacchire le richieste di riforma del sistema finanziario, gli impegni sulla cooperazione allo sviluppo e per i trasferimenti tecnologici. Inoltre hanno dichiarato di non essere d’accordo per regolamentare le agenzie di rating e per portare la regolazione commerciale in seno all’ONU (vedi l’attuale imposizione unilaterale di tariffe al commercio). Le posizioni espresse sono ancora generali, essendo in attesa di indicazioni più precise da parte della nuova amministrazione.
Viceversa il gruppo dei 77 (diviso però al suo interno) e soprattutto il gruppo Africa, con la leadership del Sud Africa (che quest’anno guida il G20), chiedono un processo di riforma sostanziale con nuove convenzioni multilaterali per la gestione del debito, per la cooperazione internazionale, per la ristrutturazione del sistema finanziario e quindi del ruolo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, oltre che delle altre banche per lo sviluppo. Si chiede in particolare il riconoscimento di un maggiore potere di co-decisione nei consigli di amministrazione di queste istituzioni, la creazione di un governo delle Nazioni Unite sul debito, superando l’attuale gestione vincolata ad organismi che rappresentano soprattutto gli interessi dei creditori, e allo stesso modo un governo della cooperazione allo sviluppo sempre sotto le Nazioni Unite e non in organismi che rappresentano solo i cosiddetti paesi donatori (il Comitato sull’aiuto allo sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) (vedi le richieste del meccanismo della società civile: Verso una cooperazione più giusta e inclusiva – Focsiv). Il Gruppo africano, oltre a sostenere l’urgenza delle riforme per azioni sistemiche, chiede di introdurre nell’accordo specifiche iniziative rivolte al continente, sostenendo il ruolo unico che ha la finanza pubblica per la cooperazione allo sviluppo, e quindi gli impegni per aumentare i finanziamenti, tra cui il raggiungimento dello 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo (come chiesto anche dalla Campagna 070 in Italia: home – campagna 070).
Allo stesso modo il gruppo delle piccole isole chiede un’attenzione specifica per le sfide uniche del loro contesto geografico, su questioni come la biodiversità e la vita degli oceani, l’importanza della finanza climatica che dovrebbe essere sostenuta dai paesi avanzati, come con il fondo perdite e danni, la ristrutturazione del debito. Chiede inoltre più cooperazione fiscale, ed è favorevole al principio del trasferimento tecnologico a condizioni preferenziali.
La Cina fa parte del gruppo dei 77 ma ha delle posizioni autonome su alcune questioni, come quella debito. La Cina infatti è uno dei maggiori creditori a livello internazionale, e vuole mantenere una gestione del suo credito a livello bilaterale con i singoli paesi debitori, piuttosto che negoziarlo in un organismo multilaterale. La posizione cinese è condivisa da India e Arabia Saudita in modo simile alla posizione occidentale sul mantenimento dell’attuale architettura finanziaria, con forti cautele sulle riforme richieste dai paesi in via di sviluppo. D’altra parte la Cina sostiene la posizione del gruppo dei 77 che chiede che la finanza climatica sia addizionale rispetto ai finanziamenti per la cooperazione allo sviluppo, responsabilizzando su questo i paesi occidentali. La Cina si considera esclusa da questo impegno.
A sua volta l’Unione europea deve compattare i suoi paesi membri tra posizioni più progressiste (come quelle di Portogallo e Spagna) e altre più conservatrici. Su alcune questioni non ha ancora definito bene la sua posizione ad esempio in materia fiscale e sul debito. L’UE sembra più aperta alle richieste dei PVS, all’esigenza di investire sulla dimensione sociale e ambientale, ma assumendo una postura più pragmatica. Invece di sostenere grandi riforme di sistema, chiede di concentrarsi sul fare funzionare meglio quello che c’è, su temi quali l’efficacia delle risorse pubbliche per ristabilire la fiducia tra cittadini e Stati, sulla trasparenza per attrarre investimenti privati, e quindi sull’importanza del ruolo del settore privato, sul capacity building per mobilitare più risorse interne, sulla titolarità dei PVS nella gestione della cooperazione. Nel caso del debito chiede di migliorare il sistema in vigore, gli strumenti delle Istituzioni Finanziare Internazionali, il quadro comune per ristrutturare il debito stabilito al G20, ed è contraria alla multilateralizzazione del sistema ( Scarica qui la dichiarazione iniziale dell’UE).
Rimangono quindi importanti differenze tra le posizioni dei diversi paesi e gruppi regionali, soprattutto riguardo la riforma dell’architettura finanziaria, il fisco, la finanza climatica e la cooperazione allo sviluppo; mentre ci sono maggiori convergenze sulla transizione digitale e la scienza. Meno controversie vi sono anche sugli impegni per la dimensione sociale nello sviluppo, per un aumento dei fondi per la salute, l’alimentazione, l’educazione e l’istruzione, l’integrazione dei migranti e la parità delle donne.
Al posto di riforme incisive, per ora, le proposte prevedono l’istituzione di un gruppo di lavoro in seno all’ONU per stabilire i principi sui prestiti responsabili, di un altro gruppo su un possibile modello di ristrutturazione del debito, la creazione di un processo intergovernativo per affrontare le lacune del sistema finanziario e per un meccanismo multilaterale, e per stabilire clausole standardizzate sui contratti di prestito. L’approccio prevalente sembra essere quello della ottimizzazione del governo e degli strumenti esistenti, su principi volontari e non obbligatori, senza cambiare il sistema.
Il Meccanismo della società civile sulla finanza (Advancing Systemic Change – CSFFD) critica questa impostazione conservativa e chiede una reale democratizzazione del sistema a livello multilaterale, come chiesto dalla maggior parte dei paesi. Preoccupa la posizione europea che è più vicina a quella statunitense, mentre invece potrebbe essere un ponte con l’Africa e a favore di una maggiore democratizzazione. Nonostante la retorica degli impegni per maggiori risorse, è in atto una riduzione del finanziamento per lo sviluppo e per la finanza climatica. Ma allora si potrebbe essere più ambiziosi per una riforma del sistema. Peraltro, impegnarsi con il Sud del mondo per questa riforma porterebbe ad una maggiore efficacia degli strumenti.
I paesi sviluppati chiedono più risorse private, perché quelle pubbliche sono in sofferenza e possono essere meglio utilizzate proprio per catalizzare quelle private. Ma le esperienze insegnano che questo effetto di catalizzazione è molto debole, le risorse private sono molto volatili, non investono in spese sociali e ambientali, a meno che vi sia una privatizzazione di questi servizi, a detrimento quindi dei più poveri, e i rischi finali rimangono comunque in capo agli Stati (La terra desolata della finanza per lo sviluppo – Focsiv).
Queste critiche sono state sostenute anche dal rappresentante di GCAP e della Campagna Cambiare la rotta.
In conclusione il rappresentante del MAECI ha evidenziato come, comunque, la mobilitazione delle risorse private sia indispensabile e come, nonostante tutto, l’UE sia il più grande contributore pubblico di cooperazione allo sviluppo. Iniziative come il Global Gateway (Ancora sul Global Gateway – Focsiv), e il piano Mattei, vanno in questo senso, per un intervento armonico tra pubblico e privato, cercando di portare valore aggiunto, tecnologie, reddito e quindi risorse fiscali interne che possono ridurre le esigenze di debito. Il governo italiano è impegnato a favorire in alcuni PVS la digitalizzazione della raccolta fiscale, anche con corsi di formazione per funzionari pubblici per la mobilitazione delle risorse interne, e per migliorare la contribuzione delle imprese straniere.
Infine, informazione importante, il governo italiano sta riflettendo, a livello tecnico, sulla possibilità di realizzare delle operazioni di cancellazione del debito e di adottare clausole sulla resilienza climatica.
GCAP e Cambiare la rotta hanno annunciato che invieranno a breve una lettera di richiesta al Governo italiano affinché L’Unione europea assuma posizioni più ambiziose e vicine alle richieste dei paesi impoveriti, in modo da rispondere alla crisi del multilateralismo e ai diritti delle popolazioni più emarginate.