I PANAMA PAPERS RIVELANO LE STRADE SEGRETE DEL TRAFFICO DELL’ORO DALLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Lo scandalo “Panama Papers” arriva fino in Repubblica Democratica del Congo e ci svela come gli attori della filiera dell’estrazione e della lavorazione dei minerali aggirino le regole di tracciabilità. Motivo questo che rafforza la necessità che il nuovo regolamento europeo sui minerali dei conflitti, ora in discussione, non sia indebolito ma anzi rafforzato nella sua obbligatorietà e capacità di monitorare la catena di valore.
Nonostante leggi internazionali come la legge USA Dodd Frank del 2010, la quale richiede alle aziende statunitensi quotate in borsa che utilizzano i minerali nella propria produzione, di certificare che il commercio di tali risorse, se provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dai Paesi confinanti, si attenga alle regole di dovuta diligenza. D’altra parte l’estrazione e il commercio di blood diamons, nonostante l’accordo Kimberly,rimangono tutt’ora nell’ombra, favorendo le grandi multinazionali di estrazione, le banche d’affari e l’azione dei gruppi armati di ribelli.
In Congo, l’oro ed i diamanti vengono utilizzati come vera e propria valuta di scambio, pratica resa consuetudinaria anche della Rwabank afferente la famiglia Rawji, la prima banca leader in Repubblica Democratica del Congo, con sedi dislocate a Dubai ed in altri paradisi fiscali.
I dati rilevati dallo Studio legale Mossack-Fonseca attestano che la Rwabank compie gran parte delle proprie attività nelle sedi di Dubai; di per sé, svolgere attività in paradisi fiscali con giurisdizione flessibile rispetto alla tracciabilità delle materie prime non è garanzia di illecito, ma comunque pone alcuni dubbi circa la trasparenza delle operazioni.
La condotta della Rwabank non è stata valutata diligente e collaborativa neanche dall’ANCIR (African Network of Centers for Investigative Reporting), rete che si occupa di monitorare l’attività della banche e di valutare il rispetto degli standard di diligenza sulla tracciabilità.
L’industria dell’oro a Dubai vale 75 miliardi di dollari. Dubai è diventata la meta più gettonata tra i paradisi fiscali perché applica procedure burocratiche e leggi molto flessibili in tema di tracciabilità dei minerali, lasciando ampio spazio alla segretezza; inoltre è presumibilmente il punto di snodo per il 70 percento del traffico dell’oro proveniente dalla RDC, che in una seconda fase verrà veicolato nelle raffinerie della Svizzera.
La mancanza di trasparenza nelle operazioni commerciali e finanziare riguardanti i minerali estratti in aree di conflitto, è una delle richieste che FOCSIV sta portando avanti con CIDSE nella campagna sui “minerali dei conflitti” per chiedere un regolamento ambizioso e vincolante che garantisca legalità e trasparenza lungo tutta la filiera produttiva.
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