Gas e petrolio compromettono il futuro dell’Amazzonia

Fonte immagine: Com petróleo, futuro da Amazônia está comprometido – Greenpeace Brasil
Molteplici sono state le notizie durante il corso di quest’estate riguardanti il Summit dell’Amazzonia, (L’Amazzonia chiama il mondo a cambiare: ora o mai più! – Focsiv) tenutosi l’8 ed il 9 di agosto dal neo Presidente Lula, a Belèm, città che si prepara ad ospitare la COP30 nel 2025.
Tanti gli argomenti discussi ma, secondo quanto riportato dalle associazioni e ONG di ambientalisti, i risultati non sarebbero dei più promettenti .
Per quanto siano stati avviati poco dopo i “Dialogos Amazonicos“, durante i quali il problema dell’esplorazione petrolifera nella regione era stato ampliamente sollevato dalla società civile, dagli attivisti e da alcuni rappresentanti politici, i risultati dell’incontro hanno lasciato a desiderare.
Stando a quanto riportato da Lu Sudre di Greenpeace Brasil << “La Declaraçao de Belem“, lettera di intenti per la cooperazione della regione firmata dai capi di stato delle nazioni ospitanti una parte della superficie territoriale della foresta tropicale, non menziona nemmeno i combustibili fossili, pur comunque essendo stato pubblicato un giorno prima della fine del Summit>>.
Ed è proprio l’estrazione dei combustibili fossili la principale causa della deforestazione del territorio, oltre che essere causa principale dell’aggravarsi della crisi climatica.
Sarebbe proprio l’estrazione di gas e petrolio ad essere il principale settore di investimento sulle attività estrattive nella foresta, colpevole quindi del rallentamento sul percorso verso il raggiungimento dell’obiettivo chiave “Deforestazione zero” entro il 2030 promosso dal governo brasiliano, ma dell’Oil&Gas durante il corso del Summit non se ne è parlato.
A riportare una maggiore attenzione sul ruolo della finanza fossile nella foresta dell’Amazzonia, è un rapporto di STAND.earth, società di policy ed impegno civile per la biodiversità forestale in Nord America, e del Coordinatore delle Organizzazioni Indigene del bacino Amazzonico (COICA) che rivelano come la maggior percentuale dei flussi finanziari – 11 su 20 miliardi di $ statunitensi dal 2009 al 2023, siano tutti arrivati da 8 banche di investimento.
Tali banche, che comprendono il 5% degli istituti di credito coinvolti nello sfruttamento di gas e petrolio nella regione, sono JP Morgan Chase, Itaù Unibanco, Citybank, HSBC, Banca Santander, Bank of America, Banca Bradesco e Goldman Sachs.
Le banche hanno un ruolo fondamentale da svolgere nel spostare l’economia energetica dietro la crisi climatica. L’Amazzonia è una regione chiave per le banche per introdurre audaci politiche globali in grado di realizzare l’intento di sostenere i diritti umani, proteggere la biodiversità e mantenere il riscaldamento globale a 1,5°C” scrivono gli autori del rapporto “eppur continuiamo a vedere finanziamenti ingenti dalle banche per l’estrazione di petrolio e gas nella più grande foresta pluviale del mondo”
Come già abbiamo sottolineato (Cambiare la finanza che minaccia il nostro ecosistema – Focsiv), è importante riconoscere il valore della Dichiarazione come momento politico a favore dell’Amazzonia, ma devono essere definiti gli obiettivi concreti per aiutare la criticità della regione. In particolare, è necessaria un maggiore collaborazione da parte del mondo della finanza per diventare più sostenibile prima di arrivare al punto di non ritorno.
Se le principali banche continueranno a trarre profitto dall’estrazione degli idrocarburi, ne faranno le spese non solo le popolazioni indigene (Il genocidio di Bolsonaro sulle popolazioni indigene – Focsiv) , ma anche lo stato di salute del bioma forestale e il futuro del clima.
Per ulteriori informazioni, qui il link del report.