Il piano Mattei genererà nuove migrazioni?
Fonte immagine Eacop, il progetto petrolifero che incombe su Uganda e Tanzania – Nigrizia
Ufficio Policy Focsiv – L’estrazione degli idrocarburi, gli oleodotti e le infrastrutture necessarie sono tra le cause di sfollamenti e distruzioni di ecosistemi, che a loro volta generano nuove migrazioni. Questa realtà è spesso ignorata. I nuovi investimenti petroliferi oltre ad allontanare la transizione energetica verso le fonti rinnovabili hanno una serie di conseguenze umane e sull’ambiente che non sono tenute in conto. L’estrattivismo condotto dalle economie ricche ed emergenti non viene considerato come una causa profonda delle migrazioni.
Se si volesse veramente ridurre le migrazioni involontarie, le migrazioni di persone che vorrebbero rimanere a vivere nelle loro terre, occorrerebbe riconsiderare le operazioni di investimento di carattere estrattivo, e non alzare muri ai confini o chiedere ai paesi vicini di fermare le migrazioni pagandoli per contenerle in campi profughi sine die.
Anche l’ipotetico Piano Mattei, ripetuto da alcuni mesi come iniziativa italiana che consentirebbe di diversificare l’approvvigionamento energetico riconoscendo una giusta retribuzione ai paesi africani, in un migliore partenariato, corre il pericolo di disconoscere i tanti effetti negativi sulle popolazioni locali e la natura, e di generare nuovi flussi migratori. I rapporti Padroni della Terra di Focsiv mostrano in diversi casi come l’estrattivismo pregiudichi i diritti umani e della natura e provochi sfollamenti (Pubblicazioni Landgrabbing – FOCSIV).
Intanto la Cassa Depositi e Prestiti ha assunto tra i suoi criteri di finanziamento alle nostre grandi imprese estrattive un criterio di valutazione ex ante che verifica la possibilità di impatto negativo sui diritti e su eventuali sfollamenti? Come si leggerà nell’articolo che segue sono molte infatti le istituzioni finanziarie che pressate dall’opinione pubblica non intendono finanziarie o ritirano i loro finanziamenti dagli investimenti per la realizzazione di opere estrattive.
Su questi argomenti riportiamo qui sotto un articolo tratto da Uganda, Tanzania pursue Eacop as activists press banks to stop funding – The East African, invitando anche a guardare il reportage fotografico in Counting the cost of Uganda’s east Africa oil pipeline – in pictures | Global development | The Guardian, che solleva i problemi umani e ambientali del nuovo progetto di estrazione e trasporto di idrocarburi dall’Uganda alla Tanzania, denominato Eacop: EACOP – – East African Crude Oil Pipe Line.
“L’oleodotto per l’Africa Orientale (Eacop), progettato dall’Uganda per un valore di 5 miliardi di dollari, è diventata una questione caldissima a livello globale, poiché gli attivisti per il clima hanno intensificato le pressioni sui finanziatori affinché si ritirino dal progetto, anche se il governo della Tanzania ha rilasciato la licenza di costruzione. La Tanzania ha dato la sua approvazione diverse settimane dopo che l’Uganda ha fatto lo stesso il mese scorso, per la costruzione dell’oleodotto. Secondo Peter Muliisa, responsabile degli affari legali e societari dell’Uganda National Oil Company, questo permette ai Paesi di iniziare a spostare le attrezzature nei siti. Wendy Brown, direttore generale dell’Eacop Tanzania, ha dichiarato che l’approvazione consente l’inizio della costruzione in Tanzania.
L’Eacop, che dovrebbe estendersi per 1.443 km dal Lago Alberto, nell’Uganda occidentale, al porto tanzaniano di Tanga, è stato oggetto di critiche da parte degli attivisti per il clima, che sostengono che rischia di sfollare migliaia di persone e di degradare gli ecosistemi critici nei due Paesi dell’Africa orientale. Muliisa respinge questa preoccupazione affermando che la linea sarà interrata, ricoperta e la vegetazione sarà ripristinata, consentendo la coltivazione sopra il corridoio di 30 metri di larghezza.
Il 22 febbraio, i membri della coalizione Stop Eacop sono stati raggiunti da attivisti di tutto il mondo per fare pressione su Standard Bank, Sumitomo Mitsui Banking Corporation (SMBC) e Standard Chartered affinché non finanziassero Eacop. Gli attivisti sostengono che il progetto non è conforme agli Equator Principles, i parametri di riferimento del settore per la valutazione, la determinazione e la gestione del rischio sociale e ambientale per il finanziamento di progetti di cui questi particolari finanziatori sono firmatari.
“La Standard Bank (Sudafricana) e la SMBC (Giapponese) sono consulenti finanziari degli operatori del progetto e starebbero contribuendo a organizzare un prestito multimiliardario per la costruzione di Eacop, mentre lo Standard Chartered (Regno Unito) ha espresso interesse a finanziare il progetto”, ha dichiarato mercoledì 350.org, un’organizzazione no-profit con sede a New York che si occupa di clima.
Le proteste per l’Eacop si sono svolte in 18 città, Kampala, Londra, Parigi e New York, Tokyo, Johannesburg, Francoforte, Bruxelles, Sendai, Hoima, Nagoya, Toronto, Fukuoka, Goma, Città del Capo, Amsterdam, Copenhagen e Vancouver. Secondo gli ambientalisti, il petrolio che verrà trasportato attraverso l’oleodotto genererà fino a 34 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio all’anno.
Sebbene l’obiettivo dell’Accordo di Parigi sia quello di limitare le temperature globali a 1,5 °C, gli scienziati hanno recentemente avvertito che il riscaldamento globale potrebbe raggiungere 1,5 °C già nel 2024 a causa della proliferazione di nuovi progetti petroliferi e di gas.
Nonostante le proteste, l’Uganda ha recentemente iniziato a trivellare il petrolio in un sito gestito dalla China National Offshore Oil Company (CNOOC) vicino al Lago Alberto. La major petrolifera francese TotalEnergies e CNOOC, i principali finanziatori di Eacop, vogliono assicurarsi tutti i finanziamenti per la realizzazione del progetto entro la fine di marzo, ma 24 banche hanno già escluso di finanziare il controverso oleodotto a causa delle pressioni esercitate dagli attivisti dell’energia verde. Oltre alle banche, circa 20 assicurazioni, tra cui la Britam Holdings, hanno escluso di assicurare Eacop. Da parte sua, l’Uganda ha difeso i progetti petroliferi del Paese, sostenendo che gli attivisti per il clima hanno una visione incompleta della transizione energetica globale nonostante e che molto probabilmente la loro causa finirà per essere ignorata.