Il Terzo settore? Trattato alla stregua di un garzone
L’intervento di Riccardo Bonacina su Vita.it
A Roma non hanno ancora capito che il centralismo governativo è catastrofico; non solo, se poi lo statalismo si accompagna al paternalismo diventa irritante e insopportabile.
Catastrofico come dimostra la centralizzazione degli acquisti e della distribuzione dei Dispositivi di protezione individuale (mascherine, tute, occhiali) ma anche delle attrezzature tecniche per la cura (ventilatori, strumenti per la terapia intensiva) e farmaci che è tuttora nel caos, poiché una parte consistente del materiale, già di suo non capace a coprire il fabbisogno complessivo, si disperde. Materiali che sia pure annunciati a mezzo stampa, a destinazione, cioè in corsia, non arrivano o arrivano in quantità differente rispetto a quella riportata sul registro della Protezione Civile.
Catastrofico perchè al centralismo (non importa se romano o Regionale, poco importa) si accompagna sempre la burocratizzazione delle risposte. Leggetevi le 123.104 parole delle 295 pagine del decreto legge Cura Italia: un labirinto nel quale si perderebbero anche tecnici consumati, figuriamoci i lavoratori, le famiglie e le aziende cui è diretto. Purtroppo, però, il rompicapo non finisce qui. Oppure le prime due circolari attuative dell’Inps!
Intanto in prima linea medici, infermieri, sacerdoti, vigili del fuoco, operatori sociali, educatori, mandati allo sbaraglio senza protezioni si ammalano e muoiono come sta morendo un’intera generazione di anziani, quelli che hanno fatto le nostre comunità.
Il centralismo paternalistico poi fa letteralmente incazzare quando ti dà pacche sulla spalla e medaglie. Di pacche sulle spalle si può morire.
Nella proliferazine di Dpcm e nei decreti in attesa di riconversione il Terzo settore ha avuto spazio residuo (su Vita trovate una sintesi di quanto previsto per il non profit, qui, qui, qui, e qui). È già qualcosa, ci si potrebbe consolare, qualcuno potrebbe dire.
E invece no. Di fronte a problemi enormi come qquelli che stiamo affrontando occorreva l’umiltà di capire che bisognava imboccare la via della governance che ha sempre una struttura tripolare, il governo come istituzioni, il mondo delle imprese e il mondo dei corpi intermedi della società come li chiama la Costituzione e che oggi chiamiamo enti di Terzo settore. Quello che occorreva fare era questo: mettere assieme questi soggetti chiamarli a decidere insieme. Capire che il solo governo (centrale o regionale) non basta. Lo Stato non esaurisce la Repubblica ne è solo una componente. Non si può andare avanti solo con tecnicismi o con algoritmi sballati che cambiano una volta la settimana e a cui chiediamo dove mandare gli aiuti!!
Le misure annunciate ieri sera dal premier raggiungono poi un livello parossistico a proposito di statalismo paternalista.
Nel suo messaggio agli italiani Conte, che ha definito Terzo settore e volontari “Cuore pulsante della società”, ha tenuto a sottolineare che a gestire i 400 milioni che serviranno ai «buoni spesa» da consegnare alle famiglie in difficoltà saranno distribuiti agli 8.000 Comuni con una divisione per abitanti e dsitribuiti sulla base di un algoritmo (ancora!) saranno i sindaci e i servizi sociali e che verranno poi usati i volontari e gli operatori del Terzo settore (dai patronati Acli alle onlus) per le consegne. Come specifica Decaro (Anci): «Chi ha i banchi alimentari ancora aperti utilizzerà quelle strutture per la distribuzione del cibo, altrove saranno i servizi sociali a distribuire i buoni per la spesa e se si tratta di anziani che non hanno la possibilità di uscire saranno i volontari ad occuparsi di andare al supermercato e poi consegnare la spesa».
Bene, il Terzo settore, “Cuore pulsante della società” farà il garzone. E lo farà perchè il garzone soprattutto in questo frangente è compito necessario e persino nobile. Ma lasciatemi dire che è avvilente. Ancora una volta il Terzo settore come ultimo erogatore di servizi!
I soggetti che portano avanti una prospettiva di progresso morale, di civilizzazione e umanizzazione delll’economia e chi costruisce comunità e tessuto sociale senza il quale nulla si dà e nulla si darà, non si possono accontentare con qualche medaglietta, bonus e definizioni sdolcinate. Si tratta di soggetti che anche in questo frangente si fanno carico di un portato di progettualità e di proposte capaci di tenere insieme società ed economia, giustizia sociale e sviluppo.
Ci vuole ben altro, li si chiami e si decida con loro, come affronatare l’emergenza e come ricostruire quando l’emergenza sarà passata. Perchè un Paese lo si ferma con poco, ma per farlo ripartire occorrerà ben altro che un algoritmo.
A Roma capiranno?