La cooperazione europea, il debito e il land grabbing
Fonte immagine Gli aiuti allo sviluppo dell’Ue sono un problema per l’Africa (eunews.it)
Ufficio Policy Focsiv – Recentemente è stata presentata una relazione del Parlamento europeo sulla cooperazione per l’accesso all’energia che evidenzia come i prestiti europei aumentino il debito, mentre gli investimenti sull’ idrogeno verde possono causare nuovi conflitti sull’uso della terra. Tra il 2014 e il 2020, l’UE ha fornito 13,8 miliardi di euro di aiuto pubblico allo sviluppo, ma il 53% di questi fondi sono stati concessi sotto forma di prestiti, aumentando così il debito dei paesi africani e riducendo la loro capacità di investire nello sviluppo sostenibile.
Inoltre, la cooperazione allo sviluppo dell’UE, per com’è concepita, non è a misura del Green Deal europeo. Molti progetti finanziati dall’UE, e potrebbero esserli anche quelli del Piano Mattei se non si monitorano con attenzione, si basano sull’estrazione mineraria, in particolare dei minerali critici per la transizione ecologica, e l’Africa rischia di pagarne il costo sia in termini ambientali che sociali.
E’ indispensabile quindi l’adozione del principio della coerenza per lo sviluppo sostenibile, e scegliere modelli che non siano quelli delle grandi infrastrutture ma piuttosto degli investimenti off-grid capaci di arrivare alle comunità locali. La relatrice del Parlamento europeo chiede la realizzazione di una mappatura dell’uso tradizionale della terra (compresi i pascoli temporanei), del patrimonio culturale indigeno e dei sistemi di biodiversità di alto valore, prima dello sviluppo di progetti di energia rinnovabile, nonché di sviluppare forti standard sociali e ambientali, e di meccanismi di controllo e di reclamo per garantirne l’osservanza.
A tale proposito riprendiamo l’articolo Gli aiuti allo sviluppo dell’Ue sono un problema per l’Africa (eunews.it) di Emanuele Bonini apparso su Euronews, e di seguito la traduzione dell’esposizione della relatrice.
Gli aiuti dell’UE all’Africa non aiutano il continente e i suoi Stati. Al contrario, per come sono concepiti, accrescono i problemi, soprattutto economici, dei Paesi in cui l’azione concepita per portare contributi utili allo sviluppo. La strategie dell’Unione europea per i Paesi più poveri, soprattutto africani, dovrebbero essere dunque riviste. Il Parlamento europeo accende i riflettori su partenariati che, così, come sono, finiscono per produrre effetti contrari a quelli desiderati.
La nota di accompagnamento alla relazione per la cooperazione allo sviluppo dell’Ue a sostegno dell’accesso all’energia nei paesi in via di sviluppo, che l’Aula del Parlamento europeo, ha discusso (ndr), evidenzia le carenze dell’azione a dodici stelle.
Tra il 2014 e il 2020, recita il passaggio allegato al testo legislativo, l’insieme dei Ventisette ha fornito 13,8 miliardi di euro complessivi di assistenza all’Africa per lo sviluppo sostenibile. Innanzitutto l’importo “non è ancora sufficiente e occorre compiere maggiori sforzi” se si vuole permettere una crescita sostenibile da un punto di vista climatico-ambientale. Ma, soprattutto, “il 53 per cento degli esborsi è avvenuto sotto forma di prestiti”, il che si traduce in “debito aggiuntivo che riduce la capacità di questi paesi di investire negli obiettivi di sviluppo sostenibile”.
Aumenta in sostanza il debito dei Paesi africani, che si trovano in una situazione di difficoltà. Tanto che, viene messo in risalto, risulta che “21 paesi africani a basso reddito si trovano o sono a rischio di sofferenza debitoria nel 2023“.
C’è un’ulteriore considerazione da fare, e che viene fatta. La cooperazione allo sviluppo dell’UE, per com’è concepita, non è a misura di Green Deal europeo. “La maggior parte dei progetti finanziati dall’UE mirano a promuovere grandi infrastrutture di generazione elettrica e l’interconnessione delle reti di trasmissione per creare mercati elettrici integrati, che hanno un impatto minimo sulla promozione dell’accesso all’elettricità per coloro che non ce l’hanno”.
C’è da ripensare l’intera architettura della politica per lo sviluppo. La relazione che sta per approdare in Aula chiede perciò agli Stati membri dell’UE di aumentare l’importo dell’aiuto pubblico allo sviluppo destinato al settore energetico in Africa, “dando priorità alle sovvenzioni rispetto ai prestiti nei paesi a rischio di indebitamento“. C’è di più. Perché si suggerisce di cambiare il modello di business condotto fin qui. “Per superare la povertà energetica in Africa, i finanziamenti dell’UE dovrebbero essere ri-orientati verso i paesi con tassi di accesso all’elettricità più bassi”.
Un altro, poi, riguarda l‘idrogeno verde, quello prodotto attraverso le energie rinnovabili. L’Africa non appare una regione ottimale per spingere per questo particolare tipo di investimenti. “Sebbene possa potenzialmente svolgere un ruolo significativo” nel raggiungimento degli obiettivi internazionali di sostenibilità incardinati negli accordi di Parigi, allo stesso tempo “potrebbe innescare conflitti sull’uso del territorio e aggravare la povertà“.
Questo perché produrre idrogeno verde implica estrazione mineraria e uso di materie prime e terre rare, che richiedono grandi quantità di acqua dolce e generano inquinamento idrico. Per il sud del mondo, povero di acqua e sistemi di raccolta, l’idrogeno verde “può avere impatti sociali e ambientali negativi”. L’UE, insomma, sta sbagliando calcoli e strategie, e dovrebbe correggere il tiro.
Sintesi della relazione
Il mondo continua a progredire verso obiettivi di energia sostenibile, ma non abbastanza velocemente. Al ritmo attuale, circa 660 milioni di persone non avranno ancora accesso all’elettricità e quasi 2 miliardi di persone si affideranno ancora a combustibili e tecnologie inquinanti per cucinare entro il 2030. I tassi di progresso variano in modo significativo da regione a regione. La maggior parte dei Paesi subsahariani è in ritardo nel raggiungere accesso universale all’energia. L’Africa ospita quasi il 18% della popolazione mondiale ma rappresenta meno del 6% dell’utilizzo globale di energia, con 600 milioni di persone o il 43% della popolazione senza accesso all’elettricità. La maggior parte di queste persone vive nelle zone rurali e negli insediamenti informali o sono sfollati o rifugiati. E anche quando c’è accesso all’elettricità, la qualità dei servizi è spesso scarsa.
L’Africa subsahariana comprende anche 19 dei 20 Paesi con il più basso tasso di accesso alla cucina pulita nel mondo. Nel 2022, le persone in Africa che non hanno accesso a una cucina pulita saranno 970 milioni. Il 64% degli africani si affida prevalentemente alla legna raccolta e ai rifiuti agricoli e animali come combustibile per cucinare. La mancanza di accesso alla cucina moderna in Africa ha enormi conseguenze sociali e ambientali: salute, deforestazione, cambiamenti climatici. Inoltre, la mancanza di obiettivi di genere per l’energia pulita danneggia le donne e le ragazze.
L’UE ha una lunga tradizione di cooperazione energetica in Africa e, insieme ai suoi Stati membri, ha fornito 13,8 miliardi di euro, ovvero la maggior parte dei finanziamenti APS per progetti SDG7 in Africa tra il 2014 e il 2020 -, soffre tuttavia di alcune carenze. La transizione energetica è persistentemente sottofinanziata nei Paesi meno sviluppati. La maggior parte degli erogati è sotto forma di prestiti, il che solleva alcune preoccupazioni in merito alla sostenibilità del debito, tenendo conto che, nel 2023, 21 Paesi africani a basso reddito si troveranno in una situazione di indebitamento o a rischio di indebitamento.
Inoltre, la maggior parte dei progetti finanziati dall’UE sono finalizzati alla promozione di grandi infrastrutture per la generazione di energia elettrica e all’interconnessione con il resto del mondo, per creare mercati integrati dell’elettricità, che hanno uno scarso impatto sulla promozione dell’accesso all’elettricità per chi non ce l’ha. Infine, ma non meno importante, i finanziamenti dell’UE per la cucina moderna sono marginali. Si stima che nel 2020, Team Europe dedicherà meno dell’1%.
In questo contesto, la relatrice ritiene che si debbano apportare alcuni miglioramenti del partenariato Africa-Unione europea. In primo luogo, l’UE e i suoi Stati membri devono incrementare l’importo dell’APS orientato al settore energetico in Africa, dando priorità alle sovvenzioni rispetto ai prestiti nei Paesi a rischio di indebitamento. Allo stesso modo, per sconfiggere la povertà energetica in Africa, i finanziamenti dell’UE dovrebbero essere riorientati verso i Paesi con tassi di accesso all’elettricità più bassi.
Si dovrebbe dare maggior peso al segmento della distribuzione come elemento strategico per promuovere l’accesso universale all’energia. Le questioni di genere devono essere integrate nella progettazione delle politiche e dei programmi di sviluppo dell’UE in materia di energia in Africa, mentre l’accesso a una cucina pulita deve essere una priorità.
Più in generale, il relatore ritiene che l’UE e i suoi Stati membri debbano garantire la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile in tutti i settori, in tutta l’agenda energetica esterna dell’UE. Su questa linea, l’UE deve sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’attuazione di un regime di energia rinnovabile basato sui diritti, che è il presupposto per raggiungere la giustizia energetica. A tal fine, il principio del Consenso libero, preventivo e informato (FPIC) di tutte le popolazioni colpite, il loro diritto a dire no, alla giustizia e al risarcimento, nonché alla compensazione e alla remunerazione, devono essere pienamente rispettati, per garantire l’accettazione locale e i benefici per le comunità locali (in termini di posti di lavoro, formazione, accesso all’elettricità, ecc.)
Questo è tanto più importante se si considera che i progetti di energia rinnovabile su larga scala, come l’idrogeno verde basato sull’energia solare ed eolica, e l’energia idroelettrica, presentano sia opportunità che sfide nel Sud globale. Per esempio, mentre l’idrogeno verde prodotto da risorse rinnovabili può potenzialmente svolgere un ruolo significativo nel raggiungimento degli obiettivi climatici di Parigi, ma potrebbe conflitti per l’uso del suolo e aggravare la povertà.
In generale, i Paesi in via di sviluppo hanno un’abbondanza di fonti energetiche rinnovabili, che forniscono una fonte di energia più economica, accessibile, inclusiva e affidabile rispetto ai combustibili fossili. In Africa, che dispone di molte fonti di energia rinnovabile, le zone aride sono considerate come siti eccellenti per la generazione di energia eolica e solare. Con la transizione energetica globale, c’è ora la tendenza a sfruttare l’enorme potenziale di queste aree per produrre energia. I governi dei Paesi in via di sviluppo utilizzano la narrativa delle terre “inattive” o “degradate” per giustificare l’acquisizione di terreni. Tuttavia, queste aree sono state utilizzate per generazioni da diverse popolazioni pastorali, cacciatori-raccoglitori e coltivatori come risorse di proprietà comune.
Le imprese che si dedicano alle energie rinnovabili spesso ignorano i loro diritti fondiari. Questo aggrava l’ingiustizia climatica e il rischio di “land grabbing per l’energia verde”. Per evitarlo, il relatore ritiene che sia essenziale sviluppare, tra l’altro, una mappatura dell’uso tradizionale della terra (compresi i pascoli temporanei), del patrimonio culturale indigeno e dei sistemi di biodiversità di alto valore, prima dello sviluppo di progetti di energia rinnovabile, nonché di sviluppare forti standard sociali e ambientali, e di meccanismi di controllo e di reclamo per garantirne l’osservanza. Il relatore ritiene che la strategia dell’UE per l’idrogeno verde in Africa debba rispecchiare appieno queste preoccupazioni ed essere adattata di conseguenza.
Infine, ma non meno importante, l’UE deve dare l’esempio e smettere di finanziare progetti di combustibili fossili in Africa. Al contrario, l’UE e le istituzioni europee per il finanziamento dello sviluppo devono dare priorità e aumentare i loro investimenti in sistemi di energia rinnovabile decentralizzati, su piccola scala e off-grid, che offrono buone soluzioni per le comunità remote, per raggiungere l’SDG7 e “non lasciare nessuno indietro”.