Decrescita: prospettiva desiderabile e necessaria? Cosa scrive l’IPCC
Disegno da ecobnb
Dopo avere pubblicato un articolo dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (Crescita senza crescita economica – FOCSIV), riportiamo qui un interessante post redatto dall’economista Timothée Parrique (Uncategorized – Timothée Parrique (timotheeparrique.com), su come l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) abbia dato evidenza al concetto della decrescita, quale possibile prospettiva di trasformazione per riuscire a far fronte alla crisi ambientale, climatica e sociale. E’ necessario uscire dal vecchio paradigma della crescita perché sta minacciando la sopravvivenza umana e della biodiversità del pianeta. Anche Papa Francesco nella enciclica Laudato Sì ne parla come di un possibile requisito dell’ecologia integrale. Occorre riflettere e parlarne di più per capire come uscirne bene tutti.
“Per la prima volta dal suo rapporto originale nel 1990, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha parlato di decrescita. Il termine è menzionato 15 volte (più 12 menzioni in bibliografia) nel rapporto di 3.675 pagine del secondo gruppo di lavoro “Impatti, adattamento e vulnerabilità“, pubblicato il 28 febbraio, 2022. In questo articolo, l’autore descrive queste menzioni e specifica i riferimenti bibliografici utilizzati nel rapporto (nelle note di chiusura).
“La decrescita come alternativa alla crescita verde
La prima menzione della “decrescita” avviene nel Capitolo 1: Punto di partenza e concetti chiave, in una sottosezione intitolata Comprendere la trasformazione. Il termine appare in una revisione della letteratura di “narrazioni [che] descrivono percorsi per perseguire trasformazioni deliberate”.
Dopo una breve discussione su cosa significhi trasformazione, la sezione presenta “due scuole di pensiero contrastanti, chiamate ecomodernismo e decrescita[i].” L’ecomodernismo, è scritto, “mira a disaccoppiare le emissioni di gas serra e altre pressioni ambientali dalla crescita del PIL [Prodotto Interno Lordo]”. Al contrario, “i sostenitori della decrescita mettono in dubbio la fattibilità del disaccoppiamento a una scala e una velocità sufficienti per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi”[ii] (Cap. 1, p.67). Lo stesso punto viene ripetuto un paragrafo dopo: “gli studiosi della decrescita sottolineano che il disaccoppiamento assoluto globale non sta attualmente procedendo abbastanza velocemente per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi”[iii] (Cap. 1, p.68).
Il paragrafo continua spiegando che “usando argomenti radicati nel principio di precauzione,[iv] la decrescita mira alla diminuzione intenzionale sia del PIL che delle emissioni accoppiate di gas serra[v] utilizzando meccanismi politici come un quadro di “cap and share” per la distribuzione dei permessi di emissione su base annuale in declino, con una legislazione per vietare il superamento dei bilanci del carbonio stabiliti.[vi] La decrescita cerca quindi di ridurre al minimo la dipendenza dalle tecnologie a emissioni negative, come la diffusione su larga scala del BECCS [Bioenergy with Carbon Capture and Storage] e mira a generare progressi verso il raggiungimento degli SDG [Obiettivi di sviluppo sostenibile] dando priorità alla ridistribuzione piuttosto che alla crescita del PIL.
Gli SDG potenzialmente affrontati dalla decrescita includono il reddito di base universale (SDG 1 e 10), la condivisione del lavoro per garantire la piena occupazione (SDG 8 e 10) e lo spostamento degli oneri fiscali dal reddito all’estrazione di risorse ed energia (SDG 8 e 12) (Cap. 1, p. 67-68).
Si può anche trovare una menzione del termine nella sintesi del capitolo 1: “Percorsi alternativi per perseguire trasformazioni deliberate vanno da un focus sulla modernizzazione di settori come l’energia, l’agricoltura e l’uso delle risorse naturali, a proposte di decrescita che mirano a diminuzioni intenzionali sia del PIL che delle emissioni di gas serra accoppiate” (Cap 1, p.6).
La decrescita come prospettiva di sviluppo
Il secondo posto in cui l’idea è menzionata è il capitolo finale del rapporto (Capitolo 18: Percorsi di sviluppo resiliente al clima), prima in una sezione intitolata Linking Development and Climate Action. La sezione inizia con l’osservazione che “alcuni modelli di sviluppo osservati non sono coerenti con lo sviluppo sostenibile”, lasciando spazio a una sottosezione intitolata Capire lo sviluppo nello sviluppo resiliente al clima, che fa una serie di affermazioni su quale tipo di sviluppo sia più compatibile con la resilienza al clima.
Questa sottosezione si apre con un’ampia definizione di sviluppo come “sforzi, sia formali che informali, per migliorare gli standard di benessere umano” (cap. 18, p.19), e un commento critico sugli approcci che usano misure di attività economica come proxy per il benessere: “il livello del prodotto interno lordo (PIL) è spesso equiparato ai livelli di benessere sociale, anche se come misura della produzione il mercato può essere una metrica inadeguata per misurare il benessere” (cap. 18, p. 19).
Il paragrafo successivo continua a problematizzare le visioni di sviluppo centrate sulla crescita economica: “collegare lo sviluppo alle modalità passate e attuali di crescita economica crea sfide significative per il CRD [sviluppo resiliente al clima], poiché implica che gli stessi processi che hanno contribuito alle attuali sfide climatiche, compresa la crescita economica e l’uso delle risorse e i regimi energetici su cui si basa, sono anche i percorsi per migliorare il benessere umano. Questo pone la resilienza climatica e lo sviluppo in opposizione l’uno all’altro” (cap. 18, p.19).
Il paragrafo seguente delinea i cinque pilastri dell’Agenda 2030: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership. La cosa più interessante per il tema in questione è che il pilastro economico è descritto così: “l’attenzione alla prosperità si riferisce all’equità nel benessere fondata sull’unanimità su obiettivi e risorse condivise, piuttosto che sull’individualismo, e al progresso economico, sociale e tecnologico fondato sulla gestione e la cura, piuttosto che sullo sfruttamento” (cap. 18, p. 20).
Questo ci porta alla sottosezione in cui si parla di decrescita. Prospettive di sviluppo inizia passando in rassegna diversi indicatori alternativi di sviluppo, ribadendo l’affermazione precedente sulla crescita economica come problematica per uno sviluppo resiliente al clima: “Le misure alternative di sviluppo, sebbene numerose, generalmente cercano di sfumare la connessione tra crescita economica e benessere umano. Dal momento che mantengono le nozioni fondamentali di progresso e, in alcuni casi, di crescita economica presenti nei modelli di sviluppo più tradizionali, non sono tanto veicoli di trasformazione quanto piuttosto prosecuzioni di un pensiero e di un’azione fondamentalmente in contrasto con le esigenze di uno sviluppo resiliente al clima” (cap. 18, p. 20).
Il rapporto presenta poi una tipologia di cinque “prospettive di sviluppo“, ciascuna associata a un periodo di tempo: (1) sviluppo come crescita economica (dagli anni 50 in poi), (2) sviluppo come miglioramenti distributivi (dagli anni 70 in poi), sviluppo come partecipazione (dagli anni 80 in poi), (4) sviluppo come espansione delle capacità umane (dagli anni 80 in poi), e (5) sviluppo come post-crescita (dal 2010 in poi). Per quanto riguarda l’ultimo, gli autori indicano la crisi finanziaria del 2008, che “ha portato molti studiosi, economisti ecologici e scienziati sociali ambientali in particolare, a sostenere un mondo di post-crescita”. “La post-crescita, la decrescita e altre prospettive di studio ambientaliste”, scrivono, “prendono ispirazione dalle critiche allo sviluppo come il post-sviluppo[vii]. L’argomento qui non è per una migliore metrica, ma per immaginare e lavorare verso un cambiamento sistemico sulla scia della crisi climatica” (cap. 18, p. 21).
Il paragrafo finale di Prospettive di sviluppo si apre con la seguente dichiarazione: “Realizzare uno sviluppo resiliente al clima richiede inquadramenti dello sviluppo che si allontanino dai paradigmi lineari dello sviluppo come progresso materiale, concentrandosi sulla diversità e l’eterogeneità, il benessere e l’uguaglianza, non solo nelle pratiche contemporanee, ma anche nei percorsi di cambiamento nel tempo. “Questi “diversi paradigmi di benessere” (citano come esempi il buen vivir, lo swaraj ecologico e Ubuntu) “sono tutti legati da relazioni con la natura radicalmente diverse dalla visione meccanicistica occidentale” e “servono come esempi di modi alternativi di vivere in equilibrio con la natura che potrebbero informare un pensiero simile in altri luoghi” (tutte le citazioni sono dal capitolo 18, p.21).
Decrescita sostenibile
La terza menzione importante è anche nel capitolo 18, questa volta in una sottosezione intitolata Arene economiche e finanziarie (parte di Agency and Empowerment for Climate Resilient Development). Il paragrafo di apertura della sottosezione discute il disaccoppiamento, sostenendo che alcune nazioni sono riuscite a ridurre le loro emissioni mentre crescevano le loro economie, mentre altre no. Degno di nota è il riferimento al libro A Future Beyond Growth: Towards a steady state economy (2016), citato nella frase finale del paragrafo: “Inoltre, un’ampia letteratura ora sostiene che gli attuali modelli di sviluppo, e i sistemi economici alla base di tale sviluppo, sono insostenibili (Washington e Twomey, 2016), e quindi la crescita economica non può necessariamente continuare a tempo indeterminato in assenza di uno sforzo più concertato per perseguire lo sviluppo sostenibile, compresa la riduzione degli impatti del cambiamento climatico” (Cap 18, p.80).
La sezione continua con quattro paragrafi sugli indicatori alternativi al PIL, e termina con un quinto paragrafo che vale la pena citare a lungo. “Una potenziale critica alle varie metriche e modelli alternativi per lo sviluppo economico è che sono tutti inquadrati nel contesto della crescita. Nell’ultimo decennio, economisti ecologici e scienziati politici hanno proposto la decrescita[ix] e la gestione senza crescita[x] come soluzione per raggiungere la sostenibilità ambientale e il progresso socio-economico. Tali concetti sono una risposta deliberata alle preoccupazioni sui limiti ecologici della crescita e sulla compatibilità tra lo sviluppo orientato alla crescita e la sostenibilità[xi] La decrescita sostenibile non è la stessa cosa di una crescita negativa del PIL che è tipicamente indicata come una recessione.[xii] La decrescita va oltre la critica alla crescita economica; esplora l’intersezione tra sostenibilità ambientale, giustizia sociale e benessere. Nell’ambito delle attuali politiche economiche e fiscali (vedi Box 18.8)[xiv], la decrescita è stata sostenuta come un paradigma di sviluppo instabile perché il declino della domanda dei consumatori porta a un aumento della disoccupazione, a una diminuzione della competitività e a una spirale di recessione[xv].[xv] Una modellazione più completa della performance socio-economica comprende i segmenti di trasformazione sociale sufficienti a garantire il mantenimento e l’aumento del benessere insieme a una ridotta ‘impronta’[xvi]” (Cap 18, pp. 81-82).
Infine, ci sono altre due menzioni isolate nel capitolo 18. Una nel Box 18.4: Adattamento e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: “Il raggiungimento degli SDGs rappresenta la sostenibilità positiva a breve termine e indica la qualità dei processi e delle azioni di sviluppo (inclusione e giustizia sociale, decrescita e modelli di sviluppo alternativi, salute planetaria, benessere, equità, solidarietà, conoscenze plurali e connettività uomo-natura) che permettono il CRD a lungo termine” (Cap 18, p.31). E l’altro in una sottosezione intitolata Economia politica dello sviluppo resiliente al clima dove “la decrescita e le economie a basse emissioni di carbonio[xvii]” è elencata mentre si passa in rassegna la “vasta letteratura post-AR5 sull’economia politica” (Cap 18, p.65).
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Ricapitoliamo. L’idea della decrescita è discussa in tre posti diversi: una volta nel capitolo 1 come una scuola di pensiero scettica sul disaccoppiamento, e due volte nel capitolo 18, prima come una prospettiva alternativa sullo sviluppo (chiamata post-crescita), e poi come una strategia per la sostenibilità. Questo è notevole perché queste idee non sono mai state menzionate in nessuno dei precedenti rapporti dell’IPCC (anche se la menzione è di portata limitata, dato che figura solo nel rapporto completo, e non nel riassunto di 36 pagine per i responsabili politici, o nel riassunto tecnico di 96 pagine).
[i] Il termine “decrescita” è seguito da un riferimento tra parentesi al libro Decrescita: un vocabolario per una nuova era curato da Giacomo d’Alisa et al. nel 2014.
[ii] La frase porta quattro riferimenti. Il primo è “More is more: Scaling political ecology within limits to growth”, un breve articolo scritto da Erik Gómez-Baggethun su Political Geography all’inizio del 2020 (lungo meno di quattro pagine, l’articolo è una risposta a Paul Robbins “Is less more … or is more less? Scaling the political ecology of the future”). Il secondo riferimento è “Is Green Growth Possible?” di Jason Hickel e Giorgos Kallis, pubblicato su New Political Economy nell’aprile 2019, e il terzo è sempre di Giorgos Kallis: “Radical dematerialization and degrowth” del maggio 2017. L’ultimo riferimento è “Decoupling Debunked”, un rapporto co-autore mio e di colleghi nell’estate del 2019.
[iii] Tre riferimenti alla fine della frase: il primo a una revisione sistematica della letteratura empirica sul disaccoppiamento da Helmut Haberl et al. nel giugno 2020, il secondo a uno studio empirico specifico del maggio 2019 che esamina il disaccoppiamento del consumo di energia e delle emissioni di carbonio nell’Unione europea dal 1990 al 2014, e infine un vecchio articolo del 2016 che utilizza un modello teorico per dimostrare che il PIL non può essere disaccoppiato dalla crescita dell’uso di materiali ed energia.
[iv] La frase “argomento radicato nel principio di precauzione” porta un riferimento al libro di Serge Latouche del 2001 La déraison de la raison économique: du délire d’éfficacité au principe de précaution (La follia della ragione economica: dalla follia dell’efficienza al principio di precauzione – traduzione mia).
[v] L’affermazione che la decrescita “mira alla diminuzione intenzionale sia del PIL che delle emissioni di gas serra accoppiate” fa riferimento a un articolo di Giorgos del 2011: “In difesa della decrescita”.
[vi] Questa frase è allegata a un riferimento a Richard Douthwaite “Degrowth and the supply of money in an energy-scarce world” del 2012 e a “The economics of degrowth” di Giorgos Kallis et al. sempre del 2012 (introduzione editoriale di un numero speciale della rivista Ecological Economics).
[vii] Il termine “post-crescita” fa riferimento all’ultimo libro di Tim Jackson del 2021 Post Growth: Life after Capitalism. Il termine “decrescita” porta due riferimenti: uno a Degrowth, un libro del 2018 di Giorgos Kallis, e l’altro a un articolo collettivo guidato da Jason Hickel: “Urgent need for post-growth climate mitigation scenarios” pubblicato su Nature nell’agosto 2021. Il termine “post-sviluppo” porta un riferimento a “Imagining a post-development era”, un capitolo scritto da Arturo Escobar nel libro del 1995 Power of Development.
[viii] La frase che parla di “allontanarsi dai paradigmi lineari dello sviluppo come progresso materiale concentrandosi sulla diversità e l’eterogeneità” fa riferimento a un libro (A Postcapitalist Politics, 2006) e un articolo (“Surplus possibilities: postdevelopment and community economies,” 2005), entrambi dei geografi economici J.K. Gibson-Graham.
[ix] A “Decrescita” sono allegati due riferimenti: uno al già citato “In difesa della decrescita” (Kallis, 2011), e l’altro a un articolo del 2013 di F. Demaria, F. Schneider, F. Sekulova e J. Martinez-Alier: “Cos’è la decrescita? Da uno slogan attivista a un movimento sociale”.
[x] Riferimento singolo al libro di Tim Jackson Prosperity Without Growth (2009).
[xi] Riferimento a un articolo accademico di G. Kallis, J. Martinez-Alier, e R.B. Norgaard: “Paper assets, real debts: An ecological-economic exploration of the global economic crisis” (2009).
[xii] Un altro riferimento al già citato “In defence of degrowth” (2011) di Giorgos Kallis.
[xiii] Un altro riferimento al già citato “Cos’è la Decrescita? Da uno slogan attivista a un movimento sociale” (2013) di Demaria et al.
[xiv] Riquadro 18.8: Politiche macroeconomiche a sostegno dello sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici è riportato a pag. 82. Presenta “una serie di strumenti fiscali [che] possono essere sfruttati per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici”, tra cui politica monetaria, politica fiscale, fissazione del prezzo del carbonio, tasse e sussidi.
[xv] Questa frase contiene un riferimento a una singola pagina (p.46) di Prosperity without growth (2009) di Tim Jackson alla fine del Capitolo 4: Dilemma della crescita. Nella prima edizione del libro, il passaggio specifico si trova effettivamente a p.65: “‘La decrescita’ è instabile – almeno nelle condizioni attuali. Il calo della domanda dei consumatori porta a un aumento della disoccupazione, a un calo della competitività e a una spirale di recessione”.
[xvi] La frase reca un triplice riferimento: il libro di Kate Raworth Doughnut Economics (2017); un articolo empirico di Jason Hickel (“È possibile raggiungere una buona vita per tutti all’interno dei confini planetari?”” 2019); e un altro articolo empirico scritto da Simone D’Alessandro: “Alternative fattibili alla crescita verde“, 2020.
[xvii] Il termine “economie a basse emissioni di carbonio della decrescita” è legato a due testi: un articolo accademico scritto da Patricia E. Perkins nel 2019 (“Giustizia climatica, beni comuni e decrescita“), e un altro di Peter Newell e Richard Lane del 2020: “Un clima per il cambiamento? Gli impatti dei cambiamenti climatici sulle politiche energetiche“.