La proposta della Commissione Europea del piano finanziario pluriennale: luci ed ombre per la cooperazione allo sviluppo
Il multiannual financial framework (Piano finanziario pluriennale) rappresenta il bilancio comunitario dell’Unione Europea per un periodo di sette anni.
Il piano finanziario attuale è vicino al termine, dal momento che si concluderà nel 2020 e per l’Unione europea (Ue) è già iniziato l’iter per stabilire come sarà articolato quello nuovo per gli anni 2021-2027. L’iter per stabilire l’architettura generale del Piano e la sua successiva approvazione si divide in due fasi principali:
- Viene presentata una proposta dalla Commissione per stabilire le risorse, i temi, gli strumenti e la struttura giuridica del Piano.
- Nella seconda fase, il Consiglio europeo deve approvare il Piano all’unanimità, dopo l’approvazione del Parlamento. Quest’ultimo, tuttavia, non ha potere di modificare l’architettura generale del Piano finanziario (solo i singoli stati membri hanno potere decisionale sull’allocazione delle risorse).
La proposta dell’Esecutivo prevede 1.135 miliardi di euro in impegni e 1.105 miliardi di euro in pagamenti (espressi in prezzi del 2018), che tenendo conto dell’inflazione corrispondono a un ordine di grandezza analogo a quello del bilancio europeo 2014-2020, che rappresenta l’1,11% del reddito nazionale lordo (RNL) dell’UE.
In riferimento agli strumenti esterni che finanziano la cooperazione allo sviluppo, la Commissione ha proposto di semplificare l’attuale struttura, prevedendo di creare un unico grande strumento, incorporando gli attuali 12. Questa decisione porterebbe da un lato notevoli vantaggi, in particolare una maggiore semplificazione e coerenza tra gli obiettivi di cooperazione. Il Fondo europeo di sviluppo, un accordo intergovernativo che finanzia la politica di sviluppo nei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico per un importo di 30 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, sarà integrato in questo grande strumento.
In confronto al Piano finanziario 2014-2020, si prevede un incremento del totale allocato agli strumenti esterni, che per gli anni 20121-2027 sarà pari a 108.929 milioni di euro (espressi in prezzi del 2018). In particolare, si stima un incremento del 30% per la voce “Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument”; un incremento del 20% per la voce “Humanitarian Aid” ed un incremento del 20% per la voce “Pre-Accession Assistance”- fondi che saranno impiegati per il supporto tecnico ad eventuali candidati all’entrata nell’Unione nei prossimi anni.
Tuttavia, CONCORD ha rilevato che la decisione di creare un unico strumento esterno rischierebbe di limitare l’efficacia dell’EU verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile e l’eradicazione della povertà, dal momento che si ridurrebbe la differenziazione tra strumenti di politica estera e di cooperazione.
La fusione dei 12 strumenti potrebbe sfavorire gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo dell’Unione, in favore degli obiettivi di politica estera, come sicurezza e controllo delle migrazioni, e delle priorità politiche dei singoli Paesi. Diluendo l’aiuto allo sviluppo in un più ampio quadro di strumenti esterni, l’UE potrebbe facilitare l’utilizzo dell’APS per altre priorità esterne dell’UE. Dato che gli aiuti allo sviluppo negli ultimi anni sono sempre più deviati a favore del controllo delle frontiere, le organizzazioni della società civile temono che questo si potrebbe tradurre in ulteriori deviazioni di fondi per realizzare interessi UE a breve termine.
Gli obiettivi di politica estera dell’Unione sono molteplici, naturalmente. Questo vuol dire che potrebbero sorgere diverse tensioni tra obiettivi di diverse aree di intervento, come tra quella economica e quella di cooperazione allo sviluppo.
Inoltre si propone una misura di flessibilità: il 20% dei fondi non sarebbe allocato per perseguire specifici obiettivi, ma rimarrebbe disponibile per allocazioni su questioni di politica estera impreviste. Questo rafforzerebbe il rischio di utilizzare questi fondi per far fronte alle emergenze, come il controllo delle frontiere e soluzioni di breve termine per arginare i flussi migratori. Secondo Hanna Saarinen (CONCORD), il fatto che la migrazione sia tra le priorità dell’EU conferma che le politiche di cooperazione sono subordinate agli interessi nazionali degli Stati membri, interessati a limitare i flussi migratori nel breve termine piuttosto che ideare delle politiche per migliorare le condizioni delle popolazioni locali nei loro Paesi d’origine. Infine, un’altra preoccupazione espressa da CONCORD relativa al nuovo Piano riguarda il supporto agli obiettivi di uguaglianza di genere e diritti umani, che possono essere efficacemente realizzati solo attraverso adeguate e differenziate allocazioni di budget. Secondo la rete CONCORD, senza differenziazione tra questi obiettivi, il rischio è che passino in secondo piano e diventino semplici appendici di uno strumento politico di più ampia portata ma troppo generale e generico sulle effettive priorità.Sarebbe dunque opportuno che le organizzazioni della società civile chiedano al Parlamento Europeo e ai singoli Stati di elaborare delle distinzioni chiare tra obiettivi di politica estera di lungo e breve termine, dando priorità ai bisogni e diritti dei paesi e delle popolazioni partner piuttosto che a quelli dei Paesi membri. L’Unione Europea dovrebbe rispettare il suo impegno nel perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per questo motivo, la rete CONCORD ha deciso di pubblicare un position paper in cui vengono riassunte le principali preoccupazioni riguardo il nuovo Piano finanziario, insieme con suggerimenti per un suo miglioramento nelle prossime fasi dell’iter.
Alcuni punti del position paper sono elencati si seguito.
- L’ammontare finanziario dei programmi che rispettano la definizione di ODA (aiuto pubblico allo sviluppo) fornita dall’OECD dovrebbe essere mantenuto al 90% del totale per l’azione esterna. Inoltre una netta distinzione dovrebbe essere mantenuta tra i programmi destinati all’eradicazione della povertà/perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile e le altre aree di intervento di politica estera.
- Ridurre al 10% i fondi non allocati e stabilire precisi criteri per sue eventuali destinazioni d’uso.
- L’allocazione dei fondi per la cooperazione dell’UE dovrebbe essere orientata ad obiettivi di lungo termine, non alla volontà dei singoli stati di arginare i fenomeni migratori nel breve termine.
- L’assenza di criteri per allocare i fondi in modo diversificato potrebbe dirottare gli stessi per promuovere il ruolo di istituti finanziari ed investitori privati nella cooperazione. Quindi, è necessario limitare l’aumento di fondi per il blending (il miscela tra doni, prestiti e altri strumenti finanziari), dal momento che non esistono ancora evidenze concrete per determinare il loro impatto positivo nella lotta alla povertà e per la riduzione delle diseguaglianze.