La “vittima silenziosa” della guerra in Ucraina
Fonte immagine La guerra in Ucraina e i risvolti (positivi) sulle politiche ambientali (economiacircolare.com)
Ufficio Policy Focsiv – Negli ultimi mesi abbiamo dato notizie sul rapporto tra guerra e distruzione ambientale (Spesa militare e crisi climatica – FOCSIV; Decarbonizzare i militari: imporre controllo delle emissioni – FOCSIV), su come il complesso industriale-militare sia tra i principali emettitori di gas serra senza alcun controllo e piano di riduzione, e su come distolga enormi risorse dall’investire per la mitigazione, l’adattamento e il rimborso di perdite, mentre al contrario risulta essere un investimento che genera emissioni, distrugge e peggiora le capacità di adattamento, causa ancor più perdite e danni.
La guerra è il peggiore e più pervasivo attentato dell’uomo sull’uomo e la natura. Non ha alcuna giustificazione ormai. E’ una assurdità che pretende con urgenza un nuovo modo di abitare i conflitti: la resistenza nonviolenta appare come l’unica vera soluzione su cui investire per salvare la nostra casa comune.
Abbiamo tradotto e sintetizzato di seguito un articolo recente tratto dal The Guardian, che fa il punto sull’impatto della guerra in Ucraina: The ‘silent victim’: Ukraine counts war’s cost for nature | Ukraine | The Guardian. Il bilancio è ovviamente disastroso.
Fumi tossici, fiumi contaminati, terreni avvelenati, alberi ridotti a ceppi carbonizzati, riserve naturali piene di crateri: il tributo ambientale della guerra tra Russia e Ucraina, descritto in dettaglio in una nuova mappa, un tempo poteva essere considerato incalcolabile. Il ministero dell’Ambiente ucraino ha istituito una linea telefonica diretta per i cittadini per segnalare i casi di “ecocidio” russo, che finora sono 2.303, e trasmette aggiornamenti settimanali del conteggio. L’ultima edizione stima che nell’ultimo anno:
- L’Ucraina ha dovuto assorbire o neutralizzare l’impatto di 320.104 ordigni esplosivi.
- Quasi un terzo del Paese (174.000 kmq) rimane potenzialmente pericoloso.
- I detriti comprendono 230.000 tonnellate di rottami metallici provenienti da 3.000 carri armati russi distrutti e altre attrezzature militari.
- Centosessanta riserve naturali, 16 zone umide e due biosfere sono a rischio di distruzione.
- Un numero “elevato” di mine nel Mar Nero minaccia la navigazione e gli animali marini.
- Seicento specie di animali e 880 specie di piante sono a rischio di estinzione.
- Un terzo della terra ucraina è incolto o non disponibile per l’agricoltura.
- Fino al 40% dei terreni coltivabili non è disponibile per la coltivazione.
Complessivamente, le perdite dovute all’inquinamento della terra, dell’acqua e dell’aria ammontano a 51,4 miliardi di dollari, ha stimato Oleksandr Stavniychuk, vicecapo del dipartimento per il controllo e la metodologia ambientale.
In parte, si tratta di un’efficace propaganda di guerra. Ma le implicazioni dell’apertura di questo nuovo fronte giuridico-ambientale sono di più ampia portata. È anche parte di una battaglia più ampia e moderna che mira a sfruttare la ricerca scientifica, la tecnologia dell’informazione, le strategie di comunicazione e le cause legali innovative in modo da attribuire alla natura un valore superiore a quello che la maggior parte delle nazioni ha riconosciuto finora. Si tratta quasi certamente del bilancio più dettagliato sulla distruzione ambientale in tempo di guerra mai realizzato. Nella guerra del Golfo, l’attenzione si è concentrata sull’incendio dei pozzi di petrolio.
Ma non c’è stato nulla con la stessa portata e ambizione delle valutazioni in corso da parte della società civile, delle università e del governo. Le persone coinvolte in questa operazione di intelligence collettiva non sarebbero normalmente classificate come combattenti, ma gran parte del loro lavoro richiede un notevole coraggio. Il compito consiste nel prendere campioni dai crateri delle bombe e fotografare i danni ambientali nei parchi nazionali. I campioni vengono inviati a un laboratorio dove vengono analizzati per verificare la presenza di sostanze chimiche tossiche, come il fosforo bianco.
Tra le distruzioni ambientali più scioccanti c’è il bombardamento di antichi pendii di gesso, un ecosistema unico nel parco nazionale della Montagna Sacra. Quando si vedono i crateri, si capisce che il paesaggio non tornerà ad essere mai più quello di prima. I pendii di gesso si sono formati nell’arco di 100 milioni di anni e sono stati distrutti in un anno di guerra.
I danni peggiori non sono sempre visibili. L’Environmental People Law, organizzazione che riunisce scienziati e avvocati sta costruendo insieme al governo ucraino cause legali contro la Russia presso la Corte penale internazionale, in base all’articolo otto dello Statuto di Roma, che copre i crimini ecologici. Inoltre, la Convenzione di Ginevra proibisce “metodi o mezzi di guerra che sono destinati a causare o si può prevedere che causino danni diffusi, durevoli e gravi all’ambiente naturale”.
Alcuni studiosi di diritto e ambientalisti sperano che l’Ucraina possa fare un ulteriore passo avanti nel diritto internazionale, ottenendo il riconoscimento dell'”ecocidio per i crimini contro il mondo naturale vivente. L’ufficio del procuratore generale sta trattando 11 procedimenti penali ai sensi dell’articolo 441 sull’ecocidio del Codice penale ucraino.
Utilizzando immagini satellitari, hanno misurato ed evidenziato i maggiori impatti fisici. Tra questi, gli attacchi a centri industriali come Odesa, Donetsk e Lviv, che hanno rilasciato nuvole di benzopirene, monossido di carbonio, ossidi di azoto e altre sostanze chimiche tossiche. La guerra ha anche scatenato vasti incendi boschivi, in particolare nell’oblast’ di Luhansk, dove 17.000 ettari di foresta sono stati bruciati.
La cartina indica quali sono i principali hotspot di crimini ambientali.
La più grande preoccupazione, almeno per gli esseri umani, è la centrale nucleare più grande d’Europa a Zaporizhzhia, che ha subito incendi, danni alle linee elettriche e ora si trova ad affrontare una minaccia incombente per il suo sistema di raffreddamento a causa del basso livello dell’acqua nel bacino di Kakhovka, controllato dalla Russia.
Entrambe le parti hanno causato danni ai sistemi idrici, ma la Russia è stata l’aggressore iniziale e si è spinta molto oltre prendendo di mira impianti industriali e aree residenziali. Sono stati distrutti oltre 2 milioni di ettari di foreste, distruggendo gli ecosistemi e mettendo a rischio rare specie endemiche come il fiordaliso perlato, che si trova solo nelle steppe sabbiose alla periferia di Mykolaiv, o l’albero spoglio, che cresce in una ristretta area della riserva delle Tombe di Pietra a Donetsk.
La guerra ha fatto capire alla gente il valore della natura in modo nuovo. Oltre a fornire servizi ecosistemici come acqua dolce, aria pulita e suolo fertile, il paese ha apprezzato maggiormente i benefici per la sicurezza di luoghi come la Polissia – la più grande riserva di natura selvaggia d’Europa – che è una barriera protettiva naturale di centinaia di migliaia di chilometri quadrati di foreste, paludi, pianure alluvionali, laghi e prati umidi.
Altri impatti sono indiretti. Le lobby dell’industria e dell’agricoltura stanno sfruttando la crisi per spingere ad allentare le protezioni per la natura e ad aprire più terreni per lo sviluppo. La produzione di missili e di altre armi provoca inquinamento ed emissioni di anidride carbonica, così come le esplosioni e gli incendi che si innescano. La guerra è stata finora responsabile di 33 milioni di tonnellate di CO2 e si stima che la ricostruzione post-bellica ne genererà altri 48,7 milioni.
Questo smentisce l’idea spesso affermata che la natura tragga vantaggio dalle disgrazie dell’umanità. Ma non c’è questo vantaggio in un conflitto caldo. Anche l’antico status di santuario di Chornobyl è stato eroso. Le truppe russe hanno scavato trincee nella zona, sollevando il timore di aver portato alla luce terreno radioattivo. La maggior parte degli abusi sulla natura non viene riportata dai media.