L’accoglienza dei rifugiati: il caso giordano
L’articolo di Andrea Stocchiero, FOCSIV, Aurora Ianni e Mattia Giampaolo, CeSPI[1] per la Campagna Chiudiamo la forbice.
Il 20 Giugno sarà la giornata dell’ONU dedicata ai rifugiati. Sono persone perseguitate per motivi politici e sociali, perché parte di minoranze oggetto di violenza e sopraffazione. Sono vittime di discriminazioni, risultato di disuguaglianze e di conflitti. Sono persone che in Europa e in Italia vengono accolte con difficoltà a causa di una narrativa che li considera con fastidio, o peggio invasori (proprio loro che fuggono da guerre!), o con razzismo.
Tutto ciò senza tenere conto che l’Italia non è certo tra i paesi che accolgono più rifugiati, anzi. I paesi con più rifugiati sono solitamente quelli vicini agli scenari di guerra: Turchia, Uganda, Pakistan, Iran, Libano … Giordania. Paesi questi che già vivono situazioni difficili, di povertà e tensioni. E’ per questo motivo che l’articolo si concentrerà sul caso Giordano, per mostrare la rilevanza della presenza dei rifugiati in questi paesi e le principali sfide, che avrebbero bisogno di una maggiore cooperazione internazionale.
Se invece dovessimo adottare un principio, un criterio di equità, per stabilire quali paesi dovrebbero accogliere più rifugiati, potremmo concordare che dovrebbero essere quelli che ne hanno maggiori possibilità, i più ricchi, e anche più responsabilità, come i maggiori venditori di armi. Ecco che allora la classifica dei paesi di accoglienza dovrebbe vedere ai primi posti gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna …. E anche l’Italia. L’unico paese ricco che ha fatto uno sforzo significativo per l’accoglienza dei rifugiati è la Germania come si evince dal grafico.
Comunque, torniamo alla Giordania.
Negli ultimi 70 anni, la Giordania ha affrontato molte sfide legate all’instabilità del Medio Oriente. Dal primo conflitto arabo-israeliano alle più recenti crisi irachena e siriana, la Giordania è diventata la patria di un numero enorme di rifugiati che hanno perso sia la casa che i mezzi per sopravvivere nei loro paesi d’origine. Oggi ci sono quasi 2 milioni di palestinesi in Giordania, più del 18% vive in campi profughi sparsi in tutto il paese. Secondo i dati dell’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ci sono 89 rifugiati ogni 1.000 abitanti. Tuttavia, ad oggi, la maggior parte dei rifugiati che vivono in Giordania provengono dalla Siria. La crisi siriana, entrata nel suo nono anno, ha generato più di 5 milioni di rifugiati. Secondo il censimento del 2015, il numero di siriani in Giordania ha raggiunto 1,3 milioni di persone e, dal 2018, la Giordania è diventata il secondo Paese al mondo per numero di rifugiati in proporzione alla sua popolazione, che è pari a 9,5 milioni di persone.
Per essere riconosciuti come rifugiati occorre una “prova di registrazione nei campi ufficiali” o un “certificato di richiedente asilo” se risiedono in comunità ospitanti. Senza una registrazione valida, i rifugiati siriani si trovano di fronte a barriere che impediscono loro di rimanere legalmente nel loro attuale luogo di residenza, di accedere ai servizi pubblici e all’assistenza umanitaria, e di registrare nascite, decessi e matrimoni. Centinaia di migliaia di rifugiati siriani non registrati in Giordania perdono i loro diritti all’aiuto umanitario e rischiano la deportazione perché hanno lasciato i campi profughi ufficiali o non si sono registrati presso l’UNCHR o le autorità giordane.
La prima sfida per l’accoglienza riguarda l’assistenza sanitaria e l’istruzione. Secondo i dati dell’UNHCR, 223.585 (30%) rifugiati siriani hanno un’età compresa tra i 18 e i 35 anni, mentre 359.945 (48%) hanno un’età compresa tra 0 e 17 anni. Questo ha portato il governo giordano e le organizzazioni internazionali a sviluppare politiche per garantire l’istruzione a tutti. Il Piano strategico per l’istruzione 2018-2022 del governo giordano è uno dei principali programmi che mirano a fornire un’istruzione di base ai bambini rifugiati. Secondo il Ministero dell’Istruzione giordano, più di 140.000 studenti siriani rifugiati sono iscritti nelle scuole giordane. Gli studenti siriani rappresentano il 25,1% della popolazione studentesca ad Amman, il 25,1% a Mafraq, il 22,2% a Irbid e il 17,4% a Zarqa.
L’assistenza sanitaria per i rifugiati è diventata la questione principale che deve essere gestita dal governo. Il costo dei servizi è aumentato, mentre il governo giordano ha tagliato l’assistenza sanitaria gratuita e, come risposta, circa il 21% dei rifugiati si è rivolta ai servizi gratuiti delle ONG. Inoltre, i rifugiati siriani provengono da un drammatico contesto di guerra e il loro accesso ai servizi sanitari richiede spesso di più. L’8% dei rifugiati siriani in Giordania sono stati registrati come disabili e hanno bisogno di assistenza specialistica per svolgere le attività quotidiane. Il 15% dei rifugiati siriani ha una malattia cronica e il 17% delle donne è incinta. Queste esigenze specifiche richiedono di essere seguite di più e, nonostante i servizi delle organizzazioni internazionali, il sistema non riesce a rispondere a tutti i bisogni. Come ha sottolineato l’UNHCR, i servizi forniti non beneficiano dei fondi necessari.
L’accesso al mercato del lavoro è un’altra sfida fondamentale per i rifugiati siriani in Giordania. A questo proposito, mentre le preoccupazioni sulla supposta competizione dei rifugiati siriani rispetto ai giordani nel mercato del lavoro sono state mitigate dai diversi profili di competenze tra le comunità di accoglienza e quelle dei rifugiati, questioni più profonde hanno portato a crescenti tensioni socio-politiche e a una crescente discriminazione nei confronti dei rifugiati. Secondo un sondaggio sull’opinione pubblica rappresentativo a livello nazionale condotto dall’Istituto Repubblicano Internazionale nel marzo 2015, i giordani hanno identificato il crescente costo della vita, la disoccupazione e l’afflusso di rifugiati come i tre maggiori problemi che la Giordania deve affrontare. Il panorama economico della Giordania (stagnazione economica e disoccupazione) ha amplificato questi sentimenti. In questo senso, le politiche mirano a sostenere l’occupazione sia per i rifugiati che per la popolazione locale che li ospita, mentre sono richiesti più reinsediamenti di rifugiati in Europa, Canada e Stati Uniti.
Da queste note emerge come lo sforzo della cooperazione internazionale, dalle Nazioni Unite all’Unione europea ai singoli Paesi “donatori”, sia palesemente insufficiente, nonostante le Conferenze per raccogliere nuovi fondi. Mentre, d’altra parte, crescono le spese militari, arrivate 1,9 trilioni di dollari nel 2019[1], e si erigono muri contro i migranti. E’ evidente che “qualcosa non torna”. Forse è facile, semplificatorio?, ed utopico, affermare che occorre fermare le guerre e creare ponti e cooperazione per la pace e la solidarietà. Ma questa appare come la strada maestra per cercare di rispondere sensatamente alla crisi dei rifugiati.
[1] https://www.agi.it/estero/news/2020-04-27/aumento-record-spese-militari-8447813/
[1] L’articolo è tratto dal Background document n.4 su “L’accoglienza delle migrazioni nei paesi terzi: il caso Giordano”, realizzato dalla FOCSIV nel quadro del progetto Volti delle Migrazioni sostenuto dall’Unione europea. Vedi: https://www.focsiv.it/news/laccoglienza-dei-profughi-in-giordania/