L’accordo Unione Europea-Turchia e la detenzione dei migranti in Grecia
Fonte immagine Greece opens 1st detention center-like migrant camp on Samos | Daily Sabah
Ufficio Policy Focsiv – Nel quadro dell’attenzione verso la politica di esternalizzazione europea del controllo e contenimento dei migranti, pubblichiamo di seguito la seconda parte dell’articolo di Martina Riccardi, laureanda in Politics and Policy Analysis presso l’università Bocconi, estratto dalla sua tesi intitolata: “Human Rights vs Border Security Outsourcing: the Cascade Effect of the EU-Türkiye Deal”.
La prima parte ha riguardato L’accordo Unione Europea – Turchia lede i diritti umani – Focsiv, questa seconda parte guarda al caso della Grecia.
Gli effetti negativi dell’Accordo UE-Turchia sui diritti umani dei migranti non riguardano soltanto la Turchia, ma coinvolgono anche l’Unione Europea. Infatti, per citare un esempio, si pensi ai casi documentati di detenzione arbitraria e assenza di salvaguardie legali in Grecia, il paese maggiormente coinvolto in questo accordo e spesso usato dall’Europa come capro espiatorio.
La propensione alla detenzione ha caratterizzato le isole greche. Prima dell’entrata in vigore dell’Accordo UE-Turchia, le isole greche si trovavano già a dover affrontare sfide significative nel fornire condizioni di vita adeguate ai migranti in arrivo. La situazione è peggiorata drasticamente dopo l’entrata in vigore dell’Accordo UE-Turchia, il 18 marzo 2016. I centri di accoglienza sulle isole sono stati svuotati per fare spazio ai nuovi arrivi e quelli che vi soggiornavano in precedenza sono stati trasferiti sulla terraferma. Questi centri sono stati in seguito trasformati in strutture di detenzione per ospitare i nuovi arrivati, nell’ambito del cosiddetto “approccio hotspot“. L’approccio mira a identificare, registrare e rilevare rapidamente le impronte digitali dei migranti e dei rifugiati in arrivo negli “hotspot” o nei punti di arrivo designati, facilitando così il trattamento rapido dei richiedenti asilo e l’espulsione degli individui non idonei all’asilo. Ciò avrebbe dovuto garantire una migliore gestione e distribuzione dei migranti e dei rifugiati nell’Unione europea. Tuttavia, gli hotspot si sono spesso trasformati in centri di detenzione, soprattutto dopo l’accordo UE-Turchia.
In risposta alle nuove detenzioni obbligatorie, diverse organizzazioni internazionali, tra cui UNHCR, MSF e Save the Children, hanno sospeso le loro attività sulle isole. Il sovraffollamento è diventato presto un problema e i servizi essenziali come cibo, servizi igienici e cure mediche sono stati gravemente inadeguati, creando condizioni di vita al di sotto degli standard per i detenuti. I gruppi vulnerabili, come i neonati e le persone con disabilità o malattie gravi, sono stati particolarmente colpiti da queste condizioni. Secondo i dati di fine anno del 2016, almeno 15.000 persone sono rimaste a lungo bloccate in condizioni al di sotto degli standard sulle isole. L’assenza di assistenza legale, unita alla detenzione indiscriminata di tutti i nuovi arrivi irregolari, ha sollevato dubbi sulla legalità di queste azioni in base al diritto internazionale e dell’UE.
Il Piano d’azione congiunto del Coordinatore dell’UE ha esortato le autorità greche a mantenere queste restrizioni geografiche, intrappolando essenzialmente migliaia di migranti e richiedenti asilo in condizioni inaccettabili come misura per facilitare il loro potenziale ritorno in Turchia. Tali politiche non sono solo disumane, ma anche discutibili in termini di legalità. I rapporti di Human Rights Watch evidenziano le condizioni insalubri e le crisi di salute mentale che affliggono i detenuti, portando a un aumento dei casi di autolesionismo e dei tentativi di suicidio, in particolare tra coloro che sono detenuti per periodi prolungati. Si tratta di una violazione della dignità umana e del divieto di trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
D’altra parte, la Turchia non è l’unico Paese a non garantire tutele legali ai migranti. Nelle isole greche, infatti, si registra una generale mancanza di garanzie procedurali e di accesso a un processo di asilo equo. Secondo il rapporto 2018 di Legal Centre Lesbos, “il diritto di appello di molti individui è messo a repentaglio da vari ostacoli istituzionalizzati e sistematici, tra cui la mancanza di assistenza legale, commissioni d’appello che non esaminano adeguatamente le richieste, spese processuali proibitive e politiche coercitive che incoraggiano gli individui a rinunciare al diritto di appello”. Inoltre, la Grecia continua a violare il diritto a un processo equo limitando l’accesso all’assistenza legale durante la fase di appello. Il programma di rimpatrio volontario assistito e reintegrazione (AVRR) dell’OIM, in vigore dal 2017, limita ulteriormente il diritto a un processo equo. Il programma costringe i richiedenti asilo a scegliere tra l’esercizio del diritto di presentare ricorso contro un caso respinto e la rinuncia a tale diritto per usufruire dei benefici del programma.
Inoltre, le persone detenute nelle isole greche incontrano notevoli ostacoli alla giustizia nella gestione delle loro domande di asilo. Spesso non sono informati sui loro diritti fondamentali, tra cui il diritto all’appello e il diritto a ricevere informazioni sul loro caso in una lingua comprensibile. L’accesso a un’assistenza legale efficace è ulteriormente compromesso, poiché hanno poco o nessun accesso a informazioni in una lingua a loro comprensibile e la polizia limita il tempo che i detenuti possono trascorrere con gli avvocati e spesso interrompe le consultazioni riservate. Nel 2017 Amnesty International ha riportato diverse occasioni in cui ciò è accaduto e l’anno successivo Legal Centre Lesbos ha documentato diversi altri abusi messi in atto sia da Frontex che dalle autorità greche, tra cui: l’impossibilità di fare ricorso a causa della detenzione, l’impossibilità di mettere in discussione la legalità delle procedure che devono affrontare davanti ad autorità giudiziarie qualificate e la deportazione in attesa del ricorso o di altre richieste di protezione internazionale.
Pertanto, considerando che una delle categorie di richiedenti asilo a poter essere rimpatriata, secondo le autorità greche e la Commissione, è quella che è stata respinta “in prima istanza se il richiedente non ha presentato ricorso contro la decisione di prima istanza” e “coloro che non hanno presentato domanda di asilo o hanno comunicato il desiderio di farlo”, i rimpatri dei richiedenti asilo dalla Grecia alla Turchia ai sensi dell’accordo sono spesso effettuati senza procedure legali adeguate o senza l’opportunità di chiedere asilo, e senza assicurare garanzie procedurali o sui diritti umani.
Sitografia
- Amnesty International. (2017). “A blueprint for despair: Human rights impact of the EU-Turkey deal”. Disponibile online: https://www.amnesty.org/en/documents/eur25/5664/2017/en/.
- International Rescue Committee. (2020, December). “The cruelty of containment: The mental health toll of the EU’s ‘hotspot’ approach on the Greek Islands”. Disponibile online: https://www.rescue.org/eu/report/cruelty-containment-mental-health-toll-eus-hotspot-approach-greek-islands.
- International Rescue Committee. (2022). “What is the EU-turkey deal?”. A Disponibile online: https://www.rescue.org/eu/article/what-eu-turkey-deal.
- Legal Centre Lasbos. (2018, June 1). “Legal Centre Lasbos: June 2018 Report on Human Rights Violations in Lesvos”. Disponibile online: http://legalcentrelesvos.org/wp-content/uploads/2019/04/Legal-Centre-Lesbos-Report-on-Human-Rights-Violations.pdf.
- Terry, K. (2021). “The EU-Turkey deal, five years on: A frayed and controversial but enduring blueprint”. Migration Policy Institute. Available at: https://www.migrationpolicy.org/article/eu-turkey-deal-five-years-on.