Le disuguaglianze nel vertice sui sistemi alimentari
Di Andrea Stocchiero, FOCSIV per la Campagna Chiudiamo la forbice
Nei giorni scorsi si è tenuto il pre-vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari, ospitato presso la FAO a Roma. L’evento è stato enfatizzato da diversi media nazionali, come un appuntamento importante in vista del vertice che si terrà a New York a fine settembre. La retorica ovviamente si spreca quando si parla di combattere la fame e con essa fenomeni planetari come il cambiamento climatico che stanno rendendo ancor più difficile assicurare il diritto al cibo per tutti e tutte.
Sono sorte tuttavia delle critiche da parte di reti di contadini, popoli indigeni e società civile su questo vertice: un vertice che si dice voluto su spinta del Forum economico mondiale e fortemente influenzato da grandi multinazionali e organismi filantropici.
Il vertice è stato indetto dalle Nazione Unite per fare il punto sulla denutrizione in vista del raggiungimento dell’obiettivo 2 degli obiettivi dello sviluppo sostenibile sullo sradicamento della fame nel mondo. Il vertice vuole trovare soluzioni per affrontare il problema della fame[1].
Può essere utile quindi fare il punto sulla situazione della denutrizione nel mondo, e a questo proposito proprio poco prima del pre-vertice è stato pubblicato il rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo a cui qui attingiamo[2].
Il rapporto stima che tra 720 e 811 milioni di persone nel mondo hanno affrontato la fame nel 2020. Circa 118 fino a 161 milioni di persone in più hanno dovuto affrontare la fame nel 2020 rispetto al 2019. L’indice di insicurezza alimentare era già in lento aumento dal 2014, ma nel 2020 l’incremento stimato è stato pari a quello dei cinque anni precedenti messi insieme. Quasi una persona su tre nel mondo (2,37 miliardi) non ha avuto un accesso ad un’alimentazione adeguata nel 2020.
Le cause principali dell’insicurezza alimentare sono da ricercarsi nei conflitti, nella variabilità e negli eventi climatici estremi, nelle crisi economiche (ora esacerbate dalla pandemia COVID-19), fattori questi che molte volte si combinano assieme. Traversale è la questione della disuguaglianza: i conflitti, l’impatto del cambiamento climatico, le crisi economiche colpiscono di più le persone, le donne, i bambini, e i ceti sociali maggiormente vulnerabili ed esposti.
A livello globale, il divario di genere è peggiorato a causa della pandemia COVID-19: l’insicurezza alimentare delle donne è cresciuta del 10% rispetto a quella degli uomini nel 2020, andando oltre il 6% registrato nel 2019.
Le cause di cui sopra assieme all’alto costo delle diete salutari e ai persistenti alti livelli di disuguaglianza di reddito, mettono le diete sane fuori dalla portata di circa 3 miliardi di persone, soprattutto i poveri, in ogni regione del mondo. Un numero che è aumentato nella maggior parte delle regioni nel 2020 a causa della pandemia di COVID-19.
Nuove proiezioni confermano che la fame non sarà sradicata entro il 2030, a meno che azioni coraggiose siano intraprese per affrontare le cause suddette, e specialmente per affrontare la disuguaglianza nell’accesso al cibo.
Il rapporto indica quali azioni dovrebbero essere perseguite: integrare le politiche umanitarie, di sviluppo e di costruzione della pace nelle aree di conflitto; aumentare la resilienza climatica nei sistemi alimentari; rafforzare la resilienza dei più vulnerabili alle avversità economiche; intervenire lungo le catene di approvvigionamento alimentare per abbassare il costo degli alimenti nutrienti; affrontare la povertà e le disuguaglianze strutturali, garantendo che gli interventi siano a favore dei poveri e inclusivi di tutti e tutte; cambiare il comportamento dei consumatori per promuovere modelli alimentari con un impatto positivo sulla salute umana e sull’ambiente.
Il rapporto sottolinea che “La coerenza nella formulazione e nell’implementazione delle politiche e degli investimenti tra i sistemi alimentari, sanitari, di protezione sociale e ambientali è essenziale per costruire sinergie verso sistemi alimentari più efficienti ed efficaci, per fornire diete sane e accessibili, in modo sostenibile e inclusivo.”
Tra tutte queste indicazioni manca una questione fondamentale che è la necessità di cambiare le culture e le strutture di potere patriarcali, mentre occorrerebbe approfondire di più il problema delle disuguaglianze strutturali, che significa ad esempio tutelare il diritto alla terra e alla vita delle comunità contadine e dei popoli indigeni, e con esse sistemi produttivi come l’agroecologia. Aspetti questi che FOCSIV con molte altre organizzazioni e movimenti sociali sostiene da tempo.
Di fronte a questa situazione mondiale di insicurezza alimentare, e alle cause citate, il vertice delle Nazioni Unite cerca di trovare delle soluzioni articolandole su cinque grandi temi che sono: assicurare l’accesso a un cibo sano e nutriente per tutti; passare a modelli di consumo sani e sostenibili; sostenere una produzione di cibo positiva per la natura su larga scala; portare avanti condizioni di vita e una distribuzione del valore eque; costruire la resilienza agli shock, stress e vulnerabilità[3].
Nel documento delle Nazioni Unite che seleziona le proposte che hanno il maggiore potenziale di cambiamento dei sistemi alimentari (più di 100 azioni), gran parte delle azioni previste vertono sulla trasformazione tecnologica e produttiva sostenibile, mentre sono poche le azioni che cercano di affrontare le cause più importanti della fame. Sui conflitti è prevista solo un’azione concreta per stabilire una linea finanziaria per i paesi coinvolti in guerre che metta assieme la cooperazione umanitaria, per la costruzione della pace e per lo sviluppo; e una iniziativa per la resilienza del Sahel.
Per eliminare la disuguaglianza si propone di integrare negli interventi un approccio trasformativo che metta al centro le questioni di genere, e un’azione generale e generica per cambiare le relazioni di potere nell’accesso alle risorse. Solo un’azione è rivolta a sostenere il diritto alla terra dei contadini e dei popoli indigeni. Diritto che continua ad essere minacciato come evidente anche nell’ultimo rapporto delle FOCSIV dedicato all’accaparramento delle terre: https://www.focsiv.it/online-il-iv-rapporto-i-padroni-della-terra/
Un’analisi più dettagliata delle azioni finora proposte al vertice è stata presentata, come contributo allo stesso vertice, dal Global Hub sui sistemi alimentari dei popoli indigeni[4] che esprime chiaramente le proprie preoccupazioni: “Finora, il Vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari del 2021 non ha prestato sufficiente attenzione ai sistemi alimentari e alla conoscenza dei popoli indigeni. I popoli indigeni sfidano l’attuale concettualizzazione dei sistemi alimentari del Vertice, che non è rappresentativa delle loro realtà, credenze, mezzi di sussistenza e sistemi alimentari.”[5]
Il documento indica per ogni azione prevista gli elementi positivi e quelli negativi, e avanza una serie di raccomandazioni per chiedere di riconoscere politicamente i popoli indigeni, di ascoltare la loro voce, di sostituire l’approccio antropocentrico ai sistemi alimentari con quello biocentrico e agroecologico, di definire regole per controllare il settore privato con riferimento anche alla questione dell’accaparramento delle risorse, di assicurare il loro diritto alla terra contro i privilegi che sono accordati agli attori più potenti.
A sua volta il cardinale Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale del Vaticano, è intervenuto al pre vertice di Roma, affermando che bisogna stabilire “un dialogo di conoscenza permanente con i popoli indigeni/tradizionali di tutto il mondo che permetta di disegnare politiche pubbliche globali che valorizzino i piccoli produttori indigeni e tradizionali come protagonisti di un’azione globale di lotta alla povertà alimentare”. Per questo è necessario “il ripristino di sistemi efficaci di gestione delle risorse bioculturali in tutto il mondo, (che) deve includere il mantenimento, e in alcuni casi il ristabilimento, di istituzioni indigene a più livelli”. Gli “agroecosistemi” dei popoli indigeni sono utili soprattutto “nei paesi con sistemi agricoli sensibili al cambiamento climatico (ad esempio, per la variabilità delle precipitazioni, la temperatura, la siccità, le inondazioni)”, mentre l’agricoltura commerciale con l’introduzione di specie straniere, accompagnate da fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, “compromette gravemente la vitalità e la resilienza delle colture e delle specie alimentari indigene”[6].
I contenuti del vertice soffrono dunque di strabismo e miopia politica. Se da un lato il rapporto sullo stato della sicurezza alimentare evidenzia in modo chiaro quali sono le cause principali di questo dramma, indicando nelle disuguaglianze una questione fondamentale, d’altra parte il vertice previsto per fine settembre raccoglie centinaia di idee ma come abbiamo visto poco è finalizzato a contrastare le ragioni principali della fame. Le questioni più difficili e complicate sono lasciate a parte. E’ facile quindi prevedere che questo vertice aprirà pochi spazi per un reale cambiamento e per il raggiungimento dell’obiettivo fame zero nel 2030. Con il pericolo di sostenere approcci che continuano ad essere fondati sul paradigma tecno-economico denunciato più volte da papa Francesco; approcci che sono tra le cause della fame.
Il vertice è contestato perché non mette al centro i veri protagonisti del cambiamento dei sistemi alimentari che possono risolvere la tragedia della fame, che sono le comunità contadine e i popoli indigeni. Oltre 1000 organizzazioni di base e il Meccanismo della società civile collegato al Comitato mondiale delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare hanno organizzato un contro vertice per chiedere una vera democrazia del cibo e l’adozione di politiche e azioni per l’agroecologia e il diritto alla terra[7].
Si contesta un vertice che è nato in accordo con il forum economico mondiale delle grandi multinazionali e con le grandi filantropie, con scarsa trasparenza e pochi meccanismi per rendere conto di quanto si andrà a fare. In effetti non è chiaro se e come le azioni che vengono proposte andranno a modificare gli impegni dei governi e delle stesse Nazioni Unite, e a favore di chi. Non è chiaro se e quante risorse finanziarie vi saranno per realizzare le azioni.
Un vertice che dimentica come le stesse Nazioni Unite abbiano un organismo che già da anni lavora in modo democratico per trovare soluzioni, il Comitato per la sicurezza alimentare[8], e le cui linee guida, di grande importanza per cercare di risolvere i problemi della fame, come quelle sui regimi fondiari[9], non sono rispettate. Non è chiaro se e come il vertice andrà a modificare e a indebolire il ruolo del Comitato, quando invece questo dovrebbe essere rafforzato.
Insomma, il vertice invece di promuovere un cambiamento politico profondo per lottare contro la fame, sembra confondere le acque. Invece di proporre la lotta alle disuguaglianze quale principale questione di insicurezza alimentare, sembra ancorato esso stesso sulle diseguaglianze tra i grandi poteri e i movimenti di base.
[1] Si vedano le motivazioni del summit in: https://www.un.org/en/food-systems-summit/about
[2] Il rapporto può essere scaricato da https://sdgs.un.org/events/state-food-security-and-nutrition-world-2021-sofi-33052
[3] Le proposte di azioni possono essere lette in https://www.un.org/en/food-systems-summit/action-tracks
[4] Qui la presentazione del Global Hub: http://www.fao.org/indigenous-peoples/global-hub/en/
[5] FAO. 2021. The White/Wiphala Paper on Indigenous Peoples’ food systems. Rome, in https://doi.org/10.4060/cb4932en
[6] Si veda in https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-07/pre-vertice-onu-sistemi-alimentari-indigeni-turkson-ecologia.html
[7] Vedi la contro mobilitazione in https://www.csm4cfs.org/hundreds-of-grassroots-organizations-to-oppose-the-un-food-systems-summit/
[8] Si veda in http://www.fao.org/cfs/en/
[9] Vedi in http://www.fao.org/tenure/voluntary-guidelines/en/