L’inclusione va in scena
Non manca molto alla fine della mia esperienza qui in Marocco e ciò significa che di cose da raccontare ce ne sarebbero davvero tante. Non finirò mai di essere grato alle persone che mi hanno permesso di partire, e nemmeno a me stesso per essermi aperto a questa possibilità.
Ora però ci tengo a condividere una vicenda accaduta due settimane fa (rispetto a quando sto scrivendo), ossia fra il 6 e l’8 marzo. In questi tre giorni sono stato a Guercif, un paese della regione orientale sulla linea ferroviaria che va a Oujda, a circa centocinquanta chilometri dal confine con l’Algeria. Il mio scopo lì era accompagnare Abderrahmane Guermaze, sceneggiatore e collaboratore locale di Handifilm Festival di Rabat, una manifestazione cinematografica che OVCI sostiene e accompagna fin dalla sua nascita, nel 2007, e che si propone di promuovere una nuova cultura della disabilità attraverso la comunicazione cinematografica.
Nelle 7 ore e mezza di treno prima di arrivare, ebbi modo di constatare che Abderrahmane è un uomo molto gentile, con una sensibilità tutta sua, potrebbe sembrare ottuso a primo impatto, ma inviterei chiunque dopo questo viaggio con lui a non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Ecco, non aveva ancora mostrato una spiccata intelligenza, organizzativa o di riflessione, sembrava perso un po’ nel suo mondo, ma restava comunque una persona piacevole con cui fare conversazione.
Avremmo dovuto tenere delle lezioni in una classe di liceo 1° BAC, l’equivalente della 3° superiore in Italia, con la quale doveva scrivere la trama per un cortometraggio sul tema della disabilità.
Incominciamo dal primo giorno. Incontrammo subito il direttore dell’istituto, che non appena scoprì che sono Italiano mi ricoprì di complimenti, baci, abbracci, sicuramente apprezzati anche se apparentemente immotivati. Dopo di che ci indicarono la classe, feci una piccola presentazione del lavoro in francese, e iniziammo la lezione.
Fu subito chiaro chi fosse interessato e chi no fra gli alunni, anche per me che non parlo darija. Su venti ragazzi quelli che seguivano erano 6, gli altri, trascinati da due o tre elementi di disturbo erano più propensi a bighellonare. Abderrahmane non era molto entusiasta di questa situazione, aveva solo 2 lezioni per scrivere la sceneggiatura, quindi per il secondo giorno adottò una tecnica diversa.
Divise la classe in piccoli gruppi di 5 o 6 persone dando compiti diversi ad ognuno ma mettendo i ragazzi che volevano lavorare in un solo gruppo tutti insieme. La sua attenzione era rivolta soprattutto a loro, creando una sorta di “élite”, facendoli scrivere alla lavagna e chiedendo loro di esprimere le loro idee. Piano piano, i ragazzi degli altri gruppi si sono accorti di essere stati esclusi, e uno ad uno incominciarono ad avvicinarsi alla lavagna, alzando la mano, volendo dire la loro e ascoltando, finché gli unici a non seguire rimasero quei 3 che fin dal primo giorno disturbavano l’intera classe.
Abderrahmane finì il secondo giorno tutta la sceneggiatura, il lavoro era stato portato a termine nei tempi e includendo idee provenienti da quasi tutti i ragazzi.
Non credo che ci fosse qualche contorto principio educativo, anche perché non capendo quasi niente di quello che si diceva è difficile capire esattamente come abbia fatto a riattrarre a sé la classe, secondo me voleva solo fare in fretta, ma mi ha colpito l’effetto che ha provocato sugli alunni.
Handifilm si occupa di sensibilizzazione, che è una parola che a mio parere serve solo a coprire lo scopo educativo dei temi che tratta. Infatti la sensibilità si educa, non si insegna. Guermaze ha dato una lezione importante a quei ragazzi, li ha educati (dal latino educere, “trarre fuori”) a esprimere la loro idea e la loro opinione, senza forzarli, senza condizionarli nei contenuti, solo mettendoli nella condizione di voler dire la loro, facendogli abbandonare il nido dell’ozio e dell’indifferenza in cui i compagni distratti li volevano trattenere.
Giona De Iusi, Casco Bianco in Marocco con OVCI
foto e articolo da ovci.org