Marga, una storia da raccontare
Marga è nata nel 1973 a Berat, una cittadina dell’entroterra albanese. All’età di 27 anni è stata costretta a un matrimonio combinato con un uomo di Clirim, una zona rurale vicino Fier, e si è trasferita lì. A quel tempo, una donna della sua età era considerata già “grande” per non essere ancora sposata, e non ha avuto scelta. Dal matrimonio sono nati due figli, oggi di 22 e 16 anni, che vivono con il padre. Marga è divorziata e vive da sola da circa 9 anni, ma il divorzio l’ha richiesto l’ex marito.
Fin dall’inizio, il matrimonio si è rivelato violento e sofferto. Marga non è mai stata accettata dalla famiglia dell’ex marito, influente nella zona. Per anni ha subito soprusi e violenze domestiche, fino a un episodio di circa 9 anni fa, quando è stata picchiata per l’ennesima volta e cacciata di casa. Senza avere un posto dove andare, è fuggita in Sicilia dalla sorella, che però, essendo affetta da una disabilità mentale, non ha potuto darle alcun supporto economico. Mentre era in Italia, il marito aveva richiesto il divorzio e l’aveva denunciata per abbandono dei figli. Il processo si è svolto in sua assenza, e dopo sei mesi, Marga è stata costretta a tornare in Albania perché non riusciva a ottenere i documenti necessari per rimanere legalmente in Italia.
Tornata in Albania, ha scoperto che l’uomo, oltre al divorzio, aveva già ottenuto l’affidamento dei figli e lei non aveva più alcun diritto su di loro. Senza soldi e senza conoscere i propri diritti, non è riuscita a fare ricorso. La corruzione e le pressioni nei tribunali sono ancora diffuse in Albania, e Marga ha spiegato che “lui e la sua famiglia hanno conoscenze, non c’era niente che potessi fare”. Oltre al mancato ricorso, Marga non ha mai denunciato le violenze subite dall’ex marito né richiesto un ordine di restrizione, per paura di eventuali ritorsioni. “Sarebbe stata una causa persa, cinque contro zero,” dice la rassegnazione di chi sa di non poter contare su niente e nessuno. Marga riesce ancora a vedere i suoi figli. Il più grande l’ha anche aiutata economicamente con qualche lavoro occasionale, ma nessuno dei due ragazzi ha attualmente un impiego stabile: svolgono lavori saltuari, spesso non a regola. Marga dovrebbe versare il mantenimento per i figli, ma essendo disoccupata, non riesce a contribuire. Vive da sola in una baracca sul terreno della famiglia dell’ex marito, una struttura fatiscente che un tempo veniva usata come spogliatoio per i contadini. Le condizioni igienico-sanitarie sono precarie, ma non ha altre opzioni abitative e vive lì da 8 anni. Marga è disoccupata da marzo e fatica a trovare un nuovo impiego. Essendo una donna di mezza età senza istruzione e con poca esperienza lavorativa, si barcamena tra lavoretti saltuari come pulizie o raccolta di frutta e verdura.
Ha chiesto più volte all’ufficio comunale del lavoro un sussidio di disoccupazione, ma non le è mai stato concesso perché risulta ancora titolare di una partita IVA, che l’ex marito aveva aperto a suo nome per evitare problemi legali. Marga non riesce a chiuderla a causa della lentezza burocratica e questo le impedisce di accedere ad aiuti statali. Inoltre, lo stato albanese non ha meccanismi di supporto adeguati per persone in situazioni di indigenza come la sua. Per 10 mesi, Marga ha beneficiato di una borsa lavoro, supportando l’agronoma nelle attività dell’incubatore per la trasformazione alimentare di frutta e verdura che si trova nella zona rurale di Clirim. L’abbiamo conosciuta all’inizio del nostro anno di servizio e siamo rimaste subito colpite dalla sua leggerezza e dalla sua sagace ironia, nonostante la sua situazione, di cui eravamo parzialmente a conoscenza. A febbraio, come parte di un’attività che coinvolgeva studenti di una scuola professionale, siamo andati in visita a un Centro Trasferimento Tecnologico nella zona di Korca e abbiamo visitato la città, distante circa 4 ore da Fier. Per Marga era la prima volta lì, e una delle prime volte fuori da Fier, ed è stata felice dell’esperienza (foto).
Con la produzione e le attività dell’incubatore ora sospese, e la struttura in fase di passaggio al Comune di Fier, i fondi per le borse lavoro sono esauriti. Tuttavia, ENGIM Albania sta spingendo per far sì che Marga venga assunta dal Comune all’incubatore, una volta che il passaggio sarà completato.
Raccontare la storia di Marga non è solo importante ma urgente: perché significa portare con la sua storia anche quella di tutte le ragazze e le donne che sono state “silenziate”. Secondo un sondaggio UN circa il 53% delle donne albanesi è vittima di almeno un tipo di violenza domestica nel corso della vita e un terzo dichiara di non sentirsi sicura nella propria casa, spesso a causa di un contesto culturale che normalizza la violenza domestica come unica realtà da accettare per preservare la famiglia. Nel distretto di Fier (278.413 abitanti, di cui 138.810 donne) nel 2022 sono stati segnalati 270 casi di violenza contro le donne. Tuttavia questo numero non riflette la realtà poiché molti casi non vengono denunciati per paura, stigma sociale, pregiudizi, timore di ritorsioni, mancanza di informazioni e risorse sui propri diritti e sui servizi disponibili. A Fier, nonostante sia una delle città più grandi in Albania, manca un centro antiviolenza e i casi riportati all’ufficio sociale del comune, vengono reindirizzati ad altre strutture.
Il Comune di Fier ed Engim avevano deciso di presentare un progetto con l’obiettivo di creare un centro antiviolenza con personale specializzato che potesse diventare un punto di riferimento per la zona ma poche ore dalla scadenza il Comune si è rifiutato di firmare il progetto che di conseguenza non è stato consegnato. Non è chiaro cosa sia successo ma è evidente che per le istituzioni la costruzione del centro antiviolenza non sia una priorità. ll progetto avrebbe potuto colmare un vuoto significativo, ma di fronte alla mancata presentazione sorge spontanea una domanda: se questa non è un’istanza prioritaria, quale lo è? Se la protezione delle donne vittime di violenza e la creazione di servizi per la loro reintegrazione socio-economica non sono riconosciuti come bisogni fondamentali della comunità, allora vengono svuotati di significato e rimangono “in sospeso”.
C’è una comunità sotterranea e non riconosciuta, composta da tutte quelle donne che rimangono invisibili, per le istituzioni, per la società. Eppure, questo “non visto” è paradossale, perché in realtà “tutti sanno”. Queste donne vivono in una condizione oltre l’invisibilità: sono intrappolate in uno stato di opacità, dove la violenza è conosciuta ma taciuta, trascurata, normalizzata, accettata.
Noi Marga l’abbiamo conosciuta, abbiamo trascorso del tempo con lei, l’abbiamo ascoltata l’abbiamo vista e vogliamo che la vediate anche voi. E soprattutto Marga è tante cose, ha spirito, sagacia, allegria, ha un cuore grande e la battuta sempre pronta.
Marta Passerini e Alessia Lega, Corpi Civili di Pace con Engim a Fier, Albania.