Migranti per lo sviluppo delle aree interne? Dipende dalla politica

Fonte immagine Migranti e montagna – Civiltà Appennino (civiltaappennino.it)
Ufficio Policy Focsiv – Le migrazioni possono aiutare a migliorare l’adattamento al cambiamento climatico delle aree rurali montane interne, ripopolando i territori e sviluppando attività economiche e sociali capaci di rigenerare la resilienza. Questo è il risultato di uno studio realizzato recentemente in Italia, da ricercatori del Gran Sasso Science Institute, grazie al sostegno dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. Lo studio si può scaricare da The migration, environment and climate change nexus: exploring migrants’ contribution in addressing climate change challenges in Italy’s mountain areas | IOM Publications Platform.
Questa analisi potrebbe valere in altri contesti, ma ha bisogno di ulteriori approfondimenti e valutazioni. Certo che, il contributo delle migrazioni per l’adattamento climatico dipende fondamentalmente da un cambiamento radicale delle politiche: politiche migratorie che vedano i migranti come soggetti liberi (quanti migranti in accoglienza nelle aree rurali montane interne scelgono di rimanervi?) e attivi, partecipi allo sviluppo sostenibile dei territori assieme alle comunità locali, e su cui investire di più e meglio in termini di coesione sociale ed economica, e di crescita delle competenze, abbandonando la narrativa e la politica di carattere securitario; e politiche di adattamento climatico con investimenti di importanti risorse dal livello infrastrutturale a quelle di manutenzione e salvaguardia del suolo, dell’acqua, della biodiversità, della resilienza economica e sociale. Se non vi è questo cambiamento politico coerente, il nesso positivo tra migrazioni e adattamento climatico sarà solo una delle diverse opportunità di riscatto perse.
Di seguito si riporta l’executive summary della ricerca.
Il nesso migrazione, ambiente e cambiamento climatico: esplorare il contributo dei migranti nell’affrontare le sfide del cambiamento climatico nelle aree montane italiane.
La migrazione in un clima che cambia può essere sia una reazione agli impatti ambientali negativi sia un motore di resilienza e adattamento ai cambiamenti climatici. Nelle aree rurali e fragili del Nord globale, la migrazione può contribuire a mitigare gli effetti socioeconomici dello spopolamento, dell’invecchiamento demografico e del declino economico, e a contrastare il degrado ambientale derivante dall’abbandono delle terre.
Lo studio esplora il contributo della migrazione nell’affrontare le sfide del cambiamento climatico in tre aree interne dell’Italia centrale e meridionale (Valle Subequana, Alta Irpinia e Madonie). Basato su un’analisi di tipo misto, lo studio fornisce dati sulla mobilità interna, sui rischi ambientali e sulla percezione sociale di entrambi, evidenziando il contributo positivo della migrazione in questi territori. Riconoscendo il ruolo cruciale delle autorità locali, lo studio fornisce a esperti, politici e operatori del settore buone pratiche e raccomandazioni politiche per valorizzare il potenziale della migrazione nelle politiche di adattamento ai cambiamenti climatici e di coesione sociale.
Oggi, la relazione tra migrazione, ambiente e cambiamenti climatici è riconosciuta come una relazione multicausale. I fattori ambientali sono spesso interrelati con fattori economici, politici, culturali e sociali. Nonostante l’importanza di questa tematica e la rilevanza che questo fenomeno ha nel prossimo futuro, ci sono poche prove o dati affidabili su questo tema in Europa.
Riconoscendo la mancanza di dati e di ricerche sul legame tra cambiamento climatico, migrazione e adattamento nelle aree montane europee, il presente lavoro è il primo studio di scoping sul caso dell’Appennino italiano. Basato su dati originali, questo studio non solo illustra le evidenze della ricerca ma offre un approccio innovativo al nesso migrazione-cambiamento climatico, che potrebbe informare le politiche territoriali che fanno leva sulla migrazione per sostenere l’adattamento nelle aree montane.
Il presente lavoro si propone di rispondere alle seguenti tre domande di ricerca:
(i) Qual è l’impatto della migrazione sulle aree fragili, in particolare nelle regioni montane italiane dell’Appennino centro-meridionale?
(ii) Come le comunità locali percepiscono gli effetti del cambiamento climatico, migrazione e la fragilità territoriale negli Appennini?
(iii) Come i cambiamenti climatici influenzano i migranti nelle regioni montane dell’Italia meridionale?
Per raggiungere questi obiettivi, il presente studio adotta un approccio di tipo misto che comprende analisi quantitative e qualitative. A causa della limitata disponibilità di dati secondari, si basa principalmente su dati primari raccolti tra dicembre 2021 e febbraio 2022. Il focus territoriale del lavoro sono le aree interne dell’Appennino centrale e meridionale. Le aree interne sono aree rurali caratterizzate dalla distanza dai principali centri di servizi per l’istruzione, la salute e la mobilità, come definito dalla Strategia Nazionale Italiana per le Aree Interne.
Il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione sono più pronunciati in questi territori rispetto al resto dell’Italia, anche se sono controbilanciati da un aumento dell’immigrazione (che è raddoppiata nell’ultimo decennio in tutte le regioni). Data la natura periferica delle aree interne, in molti casi queste aree si sovrappongono perfettamente con le zone montane dell’Italia dell’Appennino italiano. Le regioni oggetto di questo studio sono Lazio, Marche, Toscana, Umbria, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia.
L’analisi prevede tre fasi. In primo luogo, è stato sottoposto un sondaggio ad hoc a un campione statisticamente rappresentativo della popolazione residente nelle regioni in analisi. In secondo luogo, sono state realizzate delle interviste semi-strutturate con un campione mirato di soggetti rilevanti (sindaci, attivisti, migranti, imprenditori e così via) in tre aree interne selezionate. In terzo luogo, utilizzando lo stesso campione di soggetti rilevanti, sono stati condotti tre focus group. I tre casi di studio sono la Valle Subequana, in provincia di L’Aquila (Abruzzo), e la Valle Subequana L’Aquila (Abruzzo), l’Alta Irpinia, in provincia di Avellino (Campania), e le Madonie, in provincia di Palermo. Sono stati identificati utilizzando alcuni criteri: alta vulnerabilità ai cambiamenti climatici, rilevante presenza di migranti, classificazione come aree montane.
L’analisi contestuale iniziale mostra che il Lazio, la Toscana e l’Umbria hanno le quote più alte di migranti. La presenza di migranti internazionali è più bassa nelle regioni meridionali. In particolare, Sicilia e Puglia mostrano i livelli più bassi. A livello comunale, è interessante notare che i primi 10 comuni con le quote più alte di migranti internazionali non sono città metropolitane ma piccoli comuni. Se si considera la migrazione interna di cittadini e non cittadini, gli ultimi dati disponibili (dal 2020) mostrano che la maggior parte degli spostamenti avviene all’interno della stessa provincia (59,7%). Seguono gli spostamenti tra regioni diverse (24,7%), e poi da spostamenti all’interno della stessa regione ma in province diverse (15,7%, ISTAT, 2023). La maggior parte di questi movimenti sono rappresentati per la maggior parte da cittadini che spostano la loro residenza (82,4%), mentre i cittadini stranieri che spostano la propria residenza sono solo una parte residuale (17,6%). A causa dello storico divario nord/sud che caratterizza l’Italia, le regioni del nord ricevono il maggior numero di migranti interni, mentre il sud e le isole rappresentano le regioni di origine più frequenti.
Lo stesso divario può essere identificato anche analizzando la dimensione geofisica e la fragilità ambientale delle regioni italiane. Mentre i rischi sono relativamente diffusi in tutto il Paese, la resilienza e la vulnerabilità seguono il classico schema nord/sud, con la parte meridionale dell’Italia che Italia mostra un livello più alto di vulnerabilità e un livello più basso di resilienza.
In questo contesto, è stata condotta la prima indagine sul nesso tra migrazione e cambiamenti climatici.I risultati dell’indagine dimostrano che il problema del cambiamento climatico è percepito come rilevante e globale dalla maggior parte degli intervistati.
Le aree montane dell’Appennino sono viste – dalla maggior parte degli intervistati – come luoghi colpiti dal cambiamento climatico. Tra i fattori legati ai cambiamenti climatici che attualmente influenzano, o influenzeranno in futuro, la qualità della vita degli intervistati, troviamo il dissesto idrogeologico, gli eventi estremi, carenza di acqua e ondate di calore. Solo una bassa percentuale di intervistati considera il cambiamento climatico come un’opportunità. Queste persone nominano come le opportunità più rilevanti (1) la creazione di nuove opportunità di lavoro, (2) nuove opportunità nel settore agricolo, (3) l’aumento del numero di associazioni legate al cambiamento climatico, (4) l’aumento delle attività legate al turismo e (5) l’aumento della cura del territorio.
Per quanto riguarda la percezione dell’immigrazione, un’ampia fetta della popolazione intervistata (60% o più) ha risposto che gli immigrati avrebbero competenze rilevanti per il territorio, contribuirebbero al ripopolamento, a sostenere la cura e la manutenzione di queste aree e a promuovere il settore agricolo. Questi risultati sono coerenti anche se il campione viene suddiviso in abitanti nazionali e non nazionali.
Tra le persone che considerano l’immigrazione come una risorsa per l’adattamento al cambiamento climatico, molti vedono nella diversità etnica e culturale un mezzo per raggiungere questo obiettivo. Inoltre, un maggior numero di residenti in aree piccole e rurali potrebbe aumentare il numero di servizi e di risorse per prevenire gli eventi estremi.
Osservando il sottocampione degli immigrati internazionali (13% degli intervistati), si può notare che le principali motivazioni per spostarsi sono il lavoro e la famiglia. Queste risposte sono diverse da quelle del campione totale, dove la prima motivazione è la famiglia.
I risultati emersi dall’analisi qualitativa mostrano che le persone nelle tre aree interne selezionate non sono pienamente consapevoli delle conseguenze negative del cambiamento climatico, anche se queste sono già presenti a livello locale – in alcuni luoghi più che in altri. Alcuni comuni hanno iniziato a essere colpiti dai primi effetti negativi del cambiamento climatico (come siccità, scarsità di piogge, incendi e frane) solo in tempi recenti, e pochissime politiche o attività per prevenire e affrontare gli effetti del cambiamento climatico sono state portate avanti fino ad ora. Le poche iniziative per affrontare il cambiamento sono recenti e, in alcuni casi, non hanno ancora prodotto risultati tangibili.
Tuttavia, alcune aree (più di altre) hanno avviato alcune interessanti iniziative volte a ridurre il rischio ambientale e gli effetti del cambiamento climatico. Tra queste, vale la pena di citare Foresta Modello della Valle dell’Aterno e il Contratto di Fiume, che mirano principalmente ad affrontare il rischio idrogeologico che interessa tutte e tre le aree.
In conclusione, il presente documento sottolinea l’importanza del ripopolamento delle aree appenniniche, tenendo conto di entrambe le componenti: le persone, in particolare i giovani, che decidono di rimanere in questi luoghi e gli immigrati che decidono di trasferirsi in queste aree. Il legame tra la demografia e la capacità di adattamento alle sfide ambientali e sociali poste dal cambiamento climatico è considerato fondamentale dai partecipanti a questo studio. Sulla base dei dati raccolti, è stato stilato un elenco di raccomandazioni politiche rivolte alle autorità nazionali, alle autorità locali, IOM e le istituzioni accademiche, oltre ad alcune buone pratiche rilevate. In generale, queste raccomandazioni riguardano i seguenti principi guida:
(a) Rafforzare la coerenza delle politiche, riconoscendo il nesso tra politiche migratorie e ambientali;
(b) Integrare le politiche ambientali, di ripopolamento e di coesione;
(c) Promuovere campagne di informazione;
(d) Definire canali di finanziamento adeguati;
(e) Adattare l’acquisizione di nuove competenze alle esigenze di ciascun territorio;
(f) Promuovere l’avanzamento delle conoscenze e lo scambio di buone pratiche.