Migrazione e adattamento al cambiamento climatico
Ufficio Policy Focsiv- Le Nazioni Unite nel quadro del Global Compact sulle Migrazioni (GCM) stanno promuovendo una serie di incontri tra i paesi e i diversi attori della società civile per trovare delle vie pragmatiche al governo delle migrazioni. Uno di questi incontri si è tenuto agli inizi di settembre riguardo il rapporto tra cambiamento climatico e migrazioni a cui Focsiv ha partecipato: Draft Concept Note GCM Talk –Migration and adaptation in the context of climate change- a pragmatic approach towards removing barriers and enhancing opportunities.pdf. Difatti, una delle ragioni purtroppo sempre più comuni per cui le persone migrano è l’impossibilità di resistere alle trasformazioni ambientali che mettono in pericolo le loro condizioni di vita (Agire sulle migrazioni climatiche).
La “nota concettuale” dell’incontro considera che la migrazione non è sempre una scelta obbligata, ma quando il cambiamento climatico si fa duro è una conseguenza reale. Le opere di adattamento al cambiamento climatico (come le infrastrutture per governare saggiamente i sistemi idrici o per proteggere gli insediamenti umani) aiutano a prevenire le migrazioni, e le stesse migrazioni possono costituire una misura di adattamento.
Perché parliamo di migrazione come adattamento ai cambiamenti climatici?
Le misure di adattamento tradizionali di gestione del territorio potrebbero contribuire a ridurre il rischio della migrazione forzata. Ci sono varie forme di migrazione: piani di evacuazione, in alcuni casi di ricollocazione, sfollamenti e migrazioni transfrontaliere, ecco perché gli strumenti politici sono importanti. In molti dei contesti in cui gli impatti dei cambiamenti climatici si accentuano sono presenti le persone più vulnerabili, ed è necessario che la pianificazione e il modello di adattamento considerino soprattutto questi migranti in situazione di vulnerabilità.
Il problema è riconosciuto in molti quadri politici globali. Ad esempio, il global compact prevede politiche per ridurre il rischio di dislocazione in caso di disastri, allo stesso tempo tutti i quadri politici globali riconoscono che in determinate circostanze la migrazione potrebbe anche contribuire all’adattamento, ma non se ne sente parlare spesso.
Qual è lo stato delle conoscenze sui benefici e le sfide della mobilità umana nel contesto dell’adattamento?
L’adattamento riguarda il rischio, e cioè la prevenzione, la gestione e la risposta ai rischi dei disastri e delle trasformazioni di medio e lungo periodo (come la desertificazione e l’innanlzamento del livello dei mari) che il cambiamento climatico produce, e la migrazione è centrale. Quando ci occupiamo di migrazione o di mobilità nel contesto del cambiamento climatico, è fondamentale garantire alle persone la possibilità di scegliere di spostarsi in un luogo sicuro e in modo regolare, in modo da ridurre il rischio di deprivazioni, ma di avere anche il diritto di rimanere (molte volte non migra tutta la famiglia ma i figli, che con le loro rimesse sostengono il reddito della propria famiglia e quindi la sua capacità e il suo diritto a restare). E’ necessario dunque facilitare una migrazione sicura e regolare. Vi è anche un problema di immobilità e di mobilità involontaria: le persone possono desiderare di rimanere nel luogo d’origine ma, a causa dei rischi legati al cambiamento climatico, perdono le risorse per farlo, vengono lasciate in una situazione di vulnerabilità o sono costrette ad una mobilità involontaria.
Per quanto riguarda la migrazione regolare la politica di cooperazione allo sviluppo tedesca, ad esempio, sostiene i Paesi partner con l’obiettivo di contribuire a rendere la migrazione e la mobilità internazionale sicure e regolari; nel quadro del GCM, progettano la migrazione in modo che vada a beneficio dei Paesi e delle comunità migranti. Le persone devono poter scegliere se restare o spostarsi.
Il governo della Giamaica invece, si è reso conto dell’importanza della diaspora non solo in termini di contributo al reddito, ma anche in termini di competenze in momenti di emergenza come gli uragani o disastri ambientali, e di applicazione di particolari abilità in aree che ne hanno bisogno.
La migrazione climatica non riguarda solo i Paesi che stanno cercando di mobilitarsi. Vi è infatti bisogno di una strategia regionale (ad esempio nel Pacifico) per rialloggiare sulla terraferma quella grande percentuale di persone che tra cinquant’anni non avrà più una casa a casa dell’innalzamento dell’oceano, a causa del grave cambiamento climatico e delle sue ripercussioni sull’ambiente. E’ importante riconoscere un interesse comune dal livello locale a quello nazionale e regionale.
Come può un Paese affrontare il cambiamento climatico considerando le migrazioni?
Innanzitutto occorre che ogni paese riconosca che c’è un interesse comune, collettivo, nell’affrontare il cambiamento climatico e governare le migrazioni. E’ necessario cercare il miglior risultato possibile in termini di cooperazione tra gli Stati. Un compito fondamentale è quello di sostenere la resilienza dell’agricoltura dall’aggressività del clima per garantire il diritto a restare.
Esistono iniziative per regolare le migrazioni in collegamento con l’azione per il clima e potrebbero essercene di nuove in futuro. In molti Paesi partner della Germania c’è un forte interesse a facilitare la cooperazione in materia di migrazione regolare; i centri per la migrazione e lo sviluppo, implementati in nove Paesi partner: preparano e informano le persone su quello di cui potrebbero avere bisogno per affrontare la mobilità in modo più sicuro.
Infine, guardando alla indispensabile politica per la mitigazione delle emissioni, si ricorda un’importante citazione del presidente del Kenya, secondo cui: “non siamo solo una miniera di risorse, siamo la riserva energetica per risolvere molti problemi mondiali e portarci verso l’obiettivo delle emissioni zero”.