Migrazione e cooperazione per manodopera qualificata: un nuovo asse del Piano Mattei?
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Ufficio Policy Focsiv- Il Piano Mattei intende mettere assieme e coniugare le diverse politiche italiane verso l’Africa. Tra queste la politica migratoria e di cooperazione allo sviluppo rappresentano un asse importante (oltre a quella delle filiere per l’approvvigionamento di energia e materie critiche). La creazione di canali regolari di migrazione è una necessità, e il Piano Mattei ne può prevedere l’attuazione, soprattutto nel momento in cui le migrazioni possono rappresentare un interesse nazionale, ovvero una risposta alla carenza di manodopera. L’importazione di capitale umano da paesi dove gli investimenti dell’istruzione sono carenti ha però bisogno di risorse per i governi locali, anche per non generare fenomeni come quello della fuga dei cervelli. In tal senso la politica migratoria deve andare di pari passo con la politica di cooperazione allo sviluppo.
A tale riguardo è utile guardare a quello che sta accadendo da anni nel Regno Unito e nel rapporto con i paesi africani, ma che sta in parte già avvenendo anche in Italia con riferimento al personale infermieristico.
Negli ultimi anni, il Regno Unito ha registrato un significativo aumento della migrazione extra-UE, con un notevole afflusso di operatori sanitari provenienti dalla Nigeria. Il reclutamento di infermieri nigeriani è stato possibile grazie all’introduzione, da parte del governo, di un nuovo percorso di “visto sanitario e assistenziale“. La decisione di aprire il visto agli operatori sociali è stata adottata per affrontare la carenza di personale sanitario nel Regno Unito. Questa politica ha portato a un aumento dei visti rilasciati ai nigeriani per lavorare come infermieri, passando da 47.194 visti concessi tra luglio 2021 e giugno 2022 a 121.290 nel giugno 2023, con un incremento del 157%.
La carenza di personale sanitario è un problema diffuso non solo nel Regno Unito, ma coinvolge molti altri paesi europei, tra cui l’Italia. Questo deficit è causato da diversi fattori, tra cui l’invecchiamento della popolazione e il saldo negativo tra nuove assunzioni e pensionamenti nel settore infermieristico. Di conseguenza, molti paesi europei stanno cercando soluzioni per affrontare questa carenza, adottando politiche che possono includere il reclutamento di professionisti stranieri nel settore e l’implementazione di misure per aumentare la disponibilità di lavoratori qualificati.
In Italia, oltre il 10% degli infermieri che lavorano sono stranieri. La carenza di infermieri è un problema significativo, con almeno 65.000 professionisti mancanti secondo la Ragioneria di Stato. Tuttavia, per raggiungere la media OCSE di quasi 10 infermieri per mille abitanti, sarebbero necessari altri 45.000 infermieri. Il saldo negativo tra nuovi laureati e pensionamenti peggiora ulteriormente la situazione, con solo 10-11.000 nuovi laureati all’anno rispetto ai 13.000 pensionamenti. Per affrontare questa carenza, l’Italia ha reclutato circa 12.000 operatori sanitari dall’estero negli ultimi quattro anni. Tuttavia, a causa della pandemia di COVID-19, le verifiche dei titoli di studio per gli operatori sanitari stranieri sono state sospese, generando incertezza sulla qualità e l’affidabilità del personale “importato”.
La richiesta di personale qualificato dall’estero stato generando una competizione nel mercato del lavoro internazionale e ha come ricaduta il fenomeno della fuga di cervelli verso paesi più sviluppati, una tendenza globale che coinvolge diversi stati africani. Questo fenomeno non è nuovo ma si sta incrementando e genera serie preoccupazioni poiché priva i paesi d’origine di risorse umane cruciali per lo sviluppo, accentuando le disuguaglianze globali e frenando il progresso socio-economico dei paesi di origine. Paesi che vedono gli investimenti sul capitale umano svanire dal perimetro nazionale, a meno che non si crei deliberatamente una “industria dedicata alla esportazione di capitale umano qualificato” per generare maggiori rimesse e quindi consumo e investimenti nel paese di origine, compensando così le spese per la formazione.
E che negli accordi di “esportazione” del capitale umano si preveda che il paese di destinazione investa nella formazione e in generale nello sviluppo del paese di origine in modo da generare più competenze che rimangano anche nel Paese con un miglioramento delle condizioni di lavoro. Insomma si tratta di integrare la cooperazione migratoria nella cooperazione allo sviluppo.
In questo senso sembra che stia andando anche la politica migratoria italiana. Il Piano Mattei prevede investimenti nella formazione di capitale umano in Africa per poi importarlo in Italia date le carenze del nostro mercato del lavoro. Si veda a tal riguardo il Migranti nuovo protocollo Italia-Tunisia per migrazioni sicure e controllate (stranieriinitalia.it), e le intenzioni di alcune regioni tra cui la Lombardia (leggi più avanti).
In generale in un contesto in cui la manodopera scarseggia nei paesi ricchi mentre c’è disoccupazione nei più poveri, la migrazione regolare offre vantaggi sia ai paesi ospitanti che ai migranti stessi. I paesi con carenza di personale sanitario possono beneficiare dall’arrivo di operatori stranieri, migliorando l’accesso ai servizi sanitari e alleggerendo il carico di lavoro. Inoltre, la diversità culturale può essere un valore aggiunto perché contribuisce a un sistema sanitario più diversificato e sensibile alle diverse culture.
I migranti, a loro volta, ottengono opportunità di sviluppo professionale e personale, migliorando le condizioni socioeconomiche sia per loro stessi che per le loro comunità d’origine. Mentre, per i paesi d’origine, la migrazione regolare può ridurre la disoccupazione, offrendo un’alternativa alla migrazione irregolare. Inoltre, gli investimenti dei paesi “importatori” previsti dagli accordi bilaterali portano diversi benefici per i paesi d’origine, tra cui l’aumento del capitale umano, il mantenimento del personale sanitario nel proprio paese, il potenziamento del sistema sanitario locale, con conseguente miglioramento delle prospettive economiche e occupazionali.
Questo sembra un classico schema “win-win” tra migrazioni e sviluppo, tutti ci guadagnano. Ma perché ciò avvenga è necessaria la soddisfazione di diverse condizioni, su cui occorre riflettere di più e bene, altrimenti la competizione per le risorse umane non fa che generare ancor più disuguaglianze.
- Regno unito: fuga di cervelli dall’Africa
Negli ultimi anni, il Regno Unito ha registrato un significativo aumento della migrazione extra-UE. La crescita è in parte determinata dalla decisione del Regno Unito di aprire il visto agli operatori sociali. Questa decisione è avvenuta a metà del 2020, quando il governo ha istituito un nuovo percorso di “visto sanitario e assistenziale” per consentire agli operatori di venire nel Regno Unito.
Ad oggi, Nigeria, Zimbabwe e Ghana sono i paesi con il maggior numero di visti concessi, con la Nigeria al secondo posto dietro l’India. Il rilascio del visto è concesso a condizione che ci sia un’offerta di lavoro, una qualifica riconosciuta, e un livello minimo di conoscenza della lingua inglese.
Secondo i dati riportati dal governo del Regno Unito, tra luglio 2021 e giugno 2022 sono stati concessi 47.194 visti sanitari e assistenziali; nel giugno 2023, la cifra annuale ammontava a 121.290 visti, con un aumento del 157%. Tra l’inizio del 2021 e il 2022, il numero di infermieri nigeriani iscritti al registro infermieristico del Regno Unito è più che quadruplicato.
Allo stesso tempo, la Nigeria ha registrato un picco di nuovi laureati in infermieristica a seguito delle modifiche ai visti nel Regno Unito. Il numero dei candidati nigeriani che hanno superato l’esame infermieristico nazionale è aumentato di 2.982, un numero sufficiente per sostituire coloro che erano partiti per il Regno Unito.
Recentemente, il consiglio infermieristico del Regno Unito ha rilevato una truffa di più di 700 infermieri che avrebbero falsificato l’esame di equivalenza professionale per poter emigrare nel Regno Unito. Tuttavia, grazie alle indagini del consiglio infermieristico del Regno Unito si sta facendo chiarezza sulla vicenda. Questo non dovrebbe scoraggiare completamente l’immigrazione, ma sottolinea l’importanza di una stretta cooperazione tra le autorità britanniche e nigeriane.
- La teoria del capitale umano
Secondo la teoria del capitale umano di Becker, l’investimento individuale nel capitale umano è motivato dalle aspettative di guadagno che ci si attende da tale investimento. Se i lavoratori qualificati potessero accedere a salari più alti, ciò dovrebbe incentivare più persone a investire nel proprio sviluppo professionale e nell’acquisizione di abilità specifiche.
Questa teoria è stata confermata nel caso delle Filippine: gli infermieri emigrati negli Stati Uniti hanno ottenuto salari molto più alti, portando a un forte aumento del numero di filippini che stanno intraprendendo la formazione per diventare infermieri, con l’obiettivo di ottenere uno stipendio più alto. Per ogni infermiera che ha sfruttato il nuovo visto per emigrare negli Stati Uniti, altre dieci hanno ricevuto formazione e sono rimaste a casa. Sebbene ci siano stati alcuni impatti negativi, come una diminuzione del numero di infermieri che hanno superato l’esame di licenza, nel complesso le Filippine si sono ritrovate con più infermieri rispetto all’inizio.
Nel caso della Nigeria, la teoria del capitale umano di Becker suggerirebbe che questo aumento dei salari potenziali guadagnati nel Regno Unito dagli infermieri formati in Nigeria dovrebbe portare ad un aumento dei nigeriani che scelgono di formarsi come infermieri. Ma, i dati disponibili mostrano una correlazione tra i due fenomeni, ma non una relazione causale diretta. Non possiamo determinare se la crescita delle iscrizioni infermieristiche in Nigeria sia causata dall’esistenza del visto sanitario e assistenziale senza condurre uno studio approfondito simile a quello effettuato nelle Filippine.
- Il fenomeno in Italia: quanti sono? da dove vengono? come sono distribuiti nel territorio?
La presenza di infermieri stranieri in Italia rappresenta una risorsa importante per il settore sanitario, contribuendo ad affrontare la carenza di personale e a soddisfare la domanda di servizi sanitari. Nel 2010, la Fnopi (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) ha condotto uno studio per esaminare il numero, le origini e la distribuzione degli infermieri stranieri in Italia. Secondo i dati, su un totale di 375.000 infermieri, circa il 10% (38.000) è costituito da infermieri stranieri, con la maggioranza proveniente principalmente da Romania e Albania.
La percentuale di infermieri stranieri varia geograficamente, con una maggiore concentrazione nel Nord, in particolare nel Nord-Ovest, dove rappresentano il 30,7% del totale, seguito dal Nord-Est e dal Centro con poco più del 25%. La Lombardia e il Lazio insieme assorbono quasi un terzo degli infermieri stranieri nel paese (32,8%). Mentre, la presenza di stranieri nel Mezzogiorno, anche se in aumento, è invece ancora poco significativa, con Regioni come la Basilicata, la Campania, la Puglia e la Sicilia, nelle quali gli stranieri non rappresentano più del 3-4% degli infermieri in attività.
Ad oggi, secondo i dati della Fnopi (la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche), ci sono25mila infermieri stranieri su 398mila infermieri attivi in Italia. Negli ultimi anni, l’Italia ha reclutato altri 12.000 operatori sanitari giunti dall’estero, ma a causa della pandemia sono state sospese le verifiche dei titoli previste in precedenza. Le deroghe introdotte durante l’emergenza Covid sono state estese fino alle fine del 2025.
Per praticare come infermieri in Italia, i cittadini extracomunitari con titolo estero devono avere un permesso di soggiorno valido e un decreto di riconoscimento del titolo di studio abilitante all’esercizio della professione infermieristica, rilasciato dal Ministero della Salute del loro paese di origine.
Sospensione delle verifiche in Italia
La sospensione delle verifiche dei titoli di studio per operatori sanitari stranieri solleva preoccupazioni sulla qualità del personale e sull’affidabilità del sistema sanitario nazionale. Le critiche giungono soprattutto dai sindacati degli infermieri. Secondo Antonio De Palma, presidente del Nursing Up, lo scandalo recente nel Regno Unito, dove centinaia di infermiere e ostetriche nigeriane sono accusate di falsificare i risultati degli esami di idoneità, evidenzia il rischio simile che l’Italia potrebbe affrontare. Un altro aspetto problematico è la questione linguistica, ma come ricorda Giancarlo Go, coordinatore nazionale degli infermieri per la Fp Cgil, in questo settore non è importante la nazionalità dell’operatore, quanto la sua professionalità e la sua capacità di comunicare.
Differenze culturali
Nello studio condotto dalla Fnopi, sono emerse delle differenze significative tra gli infermieri italiani e quelli stranieri. In primo luogo, si nota una ridotta presenza maschile: solo il 15,5% degli iscritti nel 2010 erano uomini, rispetto al 31,2% tra gli italiani. In secondo luogo, emerge una minore esperienza lavorativa rispetto ai colleghi italiani: l’anzianità di servizio degli stranieri è di appena 7,6 anni contro i 15,9 degli italiani.
Un terzo dato riguarda la percentuale di stranieri che conseguono nel proprio Paese di origine il titolo, che si attesta al 73,5%. Infine, un fattore importante di differenziazione è l’età di uscita degli stranieri, con una media di circa 41 anni, decisamente più bassa rispetto agli italiani (oltre 55 anni).
- Il vuoto dell’organico riguarda tutta l’Europa
Il problema della carenza di personale sanitario riguarda tutta l’Europa, nello specifico in Italia, secondo la Ragioneria di Stato, mancano almeno 65 mila infermieri nel paese, e per raggiungere la media Ocse di quasi 10 infermieri per mille abitanti, sarebbero necessari altri 45 mila infermieri. Questo deficit è aggravato dal saldo negativo tra i neo-laureati in Infermieristica e i pensionamenti, con solo 10-11 mila nuovi laureati all’anno contro i 13 mila pensionamenti. Barbara Cittadini, presidente dell’associazione degli ospedali privati (Aiop), sottolinea che il reclutamento di professionisti stranieri non è solo inevitabile, ma anche essenziale per garantire la salute dei cittadini. Questa situazione riguarda sia gli ospedali privati che quelli pubblici.
Soluzioni
Barbara Mangiacavalli, la presidente dell’associazione Fnopi, ha chiarito che nel decreto Bollette è prevista un’intesa tra il ministero competente, gli ordini professionali e la Conferenza Stato-Regioni per ripristinare le procedure di verifica dei titoli, semplificandole rispetto a quelle precedenti, che richiedevano in media due anni prima della pandemia.
Una possibile soluzione al problema delle licenze senza verifiche potrebbe essere l’introduzione di una certificazione delle competenze professionali e linguistiche per regolarizzare gli infermieri stranieri in Italia.
Inoltre, in Lombardia l’assessore al Welfare Guido Bertolaso sta studiando accordi bilaterali con Paesi come Argentina, Paraguay e Uruguay per fornire formazione agli infermieri stranieri nei loro paesi d’origine e successivamente importarli negli ospedali pubblici lombardi.
Anche nel Regno Unito una soluzione per bilanciare la fuga di Cervelli potrebbe essere un accordo bilaterale sul lavoro (BLA) tra Regno Unito e Nigeria, che incoraggi il paese di destinazione a fornire ulteriori investimenti al paese di origine. Il Regno Unito potrebbe sviluppare un accordo di questo tipo con la Nigeria, simile a quello con il Kenya, investendo nel reclutamento e nel mantenimento degli operatori sanitari in patria, con un impatto significativo sul miglioramento del sistema sanitario locale. Pertanto, la Nigeria dovrebbe accettare e gestire la migrazione degli infermieri per massimizzare i benefici, tra cui l’aumento dello stock di capitale umano, gli investimenti esteri previsti dagli accordi bilaterali, migliorando così le prospettive economiche e occupazionali nel paese.
- Analisi costi-benefici della migrazione extra-UE
La grave carenza di infermieri in Italia e nel Regno Unito rappresenta un grave problema che riguarda tutta l’Europa. Da diversi anni, la carenza di manodopera nei paesi ricchi coesiste con la disoccupazione nei paesi più poveri, e molti altri paesi stanno aprendo percorsi di migrazione infermieristica. Ma la fuga di cervelli potrebbe mitigare qualsiasi potenziale guadagno di capitale umano, ostacolando lo sviluppo economico e sociale dei paesi africani.
Per fermare la fuga di cervelli, il governo nigeriano ha deciso di adottare delle restrizioni all’emigrazione; nello specifico, le nuove linee guida vincolano gli infermieri a lavorare per due anni e mezzo prima di poter andare all’estero. Tuttavia, queste restrizioni si sono dimostrate inefficaci, come dimostra il programma simile adottato dal Ghana, che è stato abbandonato perché non era in grado di assorbire tutti i suoi tirocinanti infermieri a casa.
I benefici
Il reclutamento di operatori sociali stranieri può portare benefici sia ai paesi ospitanti che ai migranti stessi. Nel caso del Regno Unito e dell’Italia, due paesi con un grave deficit di personale sanitario, il reclutamento di infermieri stranieri può rappresentare una soluzione ottimale per colmare questo deficit, oltre a fornire un sollievo al personale sanitario esistente, spesso sottoposto a carichi di lavoro eccessivi. Questo contribuisce direttamente a migliorare la qualità e l’accesso ai servizi sanitari per i cittadini locali, garantendo un sistema sanitario più efficiente ed efficace.
Per i migranti, l’opportunità di lavorare all’estero non solo offre un miglioramento delle condizioni socioeconomiche individuali, ma anche opportunità di sviluppo professionale e personale. Difatti, gli infermieri nigeriani possono aumentare i loro guadagni in modo considerevole, passando da una media di £37-£64 al mese in Nigeria a circa £2.300 al mesenel Regno Unito. L’opportunità di lavorare all’estero permette di acquisire nuove competenze e conoscenze che possono essere utili anche al loro ritorno nei loro paesi d’origine. Inoltre, considerando che il 15% dei loro redditi viene inviato alle loro comunità d’origine, questo può contribuire a sostenere l’economia locale in Nigeria, per non parlare dell’impatto di più ampi trasferimenti di competenze.
Le migrazioni regolari extra-UE possono aiutare a ridurre la disoccupazione nei paesi d’origine, offrendo un’alternativa alla migrazione irregolare. Un sistema di migrazione basato su accordi bilaterali può massimizzare i benefici per tutte le parti coinvolte. Gli investimenti esteri previsti dagli accordi bilaterali di cooperazione comportano diversi benefici, tra cui l’aumento dello stock di capitale umano, il mantenimento del personale sanitario nel proprio paese, il potenziamento del sistema sanitario locale, migliorando così le prospettive economiche e occupazionali nel paese.
Inoltre, la diversità dei paesi di provenienza può portare a una maggiore varietà di esperienze e competenze nel sistema sanitario nazionale. Gli infermieri stranieri, se ben integrati nell’ambiente di lavoro, possono essere una risorsa preziosa per aiutare i colleghi a comprendere e considerare gli aspetti culturali specifici dei pazienti, migliorando così la qualità dell’assistenza e l’integrazione in una comunità diversificata.
In conclusione, è importante ricordare la teoria del capitale umano in questo contesto, che sottolinea l’importanza degli investimenti nell’istruzione e nella formazione per lo sviluppo economico e sociale dei paesi di origine. Pertanto, considerare la teoria del capitale umano ci aiuta a valutare in modo più completo gli impatti della migrazione sulle economie e sulle società dei paesi d’origine.
Fonti
Lee Crawfurd-Helen Dempster, “Il reclutamento di infermieri nigeriani nel Regno Unito può essere vantaggioso per tutti”,,Center for Global Development, 19 febbraio 2024.
Alessandra Corica,”Sanità: Falsi infermieri stranieri nel Regno Unito, ma il rischio coinvolge anche l’Italia,” Repubblica, 21 febbraio 2024.
Ennio Fortunato, “GLI INFERMIERI STRANIERI IN ITALIA: QUANTI SONO, DA DOVE VENGONO E COME SONO DISTRIBUITI”, Rivista L’Infermiere N° 1 – 2012.
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