Migrazioni? Business as usual

Niente di nuovo sul fronte delle politiche migratorie. Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016, che ha visto la partecipazione del nuovo presidente del consiglio italiano, Paolo Gentiloni, si è risolto con nessun nuovo accordo per risolvere la mancanza di solidarietà interna tra i paesi membri, per condividere l’accoglienza dei rifugiati. Viceversa continua in modo frenetico l’attivismo dell’Alto Rappresentante Europeo per gli Affari Esteri, Mogherini, della Commissione europea e dei ministri di stati europei per convincere i paesi africani a fermare le migrazioni. In questi ultimi mesi si contano oltre 20 visite politiche di alto livello dall’Etiopia al Senegal.
Sul versante interno continua lo stallo sulla riforma del regolamento di Dublino e sulla misura di ricollocazione dei rifugiati. Nonostante gli appelli a una maggiore solidarietà e la pressione del governo italiano per suddividere il peso dell’accoglienza, i paesi dell’Europa orientale, in particolare l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Polonia, resistono sulle loro posizioni di blocco dei ricollocamenti, mentre gli altri paesi certo non eccellono nel far crescere il numero dei rifugiati che dalla Grecia e dall’Italia dovrebbero entrare nei loro sistemi di accoglienza: poche migliaia rispetto ai 160 mila previsti. Anzi, si apprestano da marzo del 2017 a far tornare in Grecia migliaia di persone a cui è stato negato il rifugio, come annunciato dalla Commissione europea. La situazione in questo paese, ma anche in Italia, non migliorerà: sempre più migranti saranno tenuti in campi sovraffollati, in attesa di avere una risposta alla loro domanda di rifugio. Molti abbandonati a sé stessi. Incancrenendo quindi le tensioni sociali, in balia delle strumentalizzazioni politiche e di un crescente sentimento contrario all’accoglienza.
Mentre la dimensione interna nel governo delle migrazioni non trova una soluzione positiva, la dimensione esterna di controllo e freno dei flussi continua e accelera. Le numerose visite di rappresentanti politici e ministeriali premono sui governi di Niger, Mali, Senegal, Nigeria ed Etiopia affinché acconsentano a introdurre misure per fermare le migrazioni sui loro territori, con maggiori controlli alle frontiere, e a far tornare indietro i migranti. Secondo l’Alto Rappresentante Mogherini i flussi dal Niger sono crollati da 70mila persone a 1500 in pochi mesi. Il nuovo patto della Commissione con il governo del Niger sembra funzionare. D’altra parte la stessa Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che gestisce il centro di transito di Agadez con i soldi della Commissione, avverte che questi numeri sono dubbi. Perché sono una stima fondata su poche osservazioni e perché non tengono conto di possibili altre rotte che si stanno aprendo a fianco di quelle controllate. Negli stessi mesi sono stati rimpatriati dal Niger verso altri paesi africani di origine circa 4400 persone, e dai paesi europei verso i paesi africani 2700 migranti.
Il rimpatrio è la carta su cui vuole giocare forte la Commissione europea nei prossimi mesi, per dare un segnale inequivocabile a chi volesse partire verso l’Europa dai paesi africani: in Europa non c’è più posto.
E quindi occorre aiutarli in casa loro affinché non vengano da noi. La Commissione aumenta le risorse del Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa di altri 500 milioni di euro. In un anno ha finanziato 64 programmi per la creazione di occupazione (e il controllo delle frontiere) per un miliardo di euro. Nel 2017 sono previsti altri 726 milioni di euro per nuovi progetti sulle migrazioni. Il piano di investimenti esterni dovrebbe mobilitare altri miliardi di euro. Ma queste sono misure che avranno impatto (se tutte le condizioni saranno positive, in paesi ad alto rischio di conflitti, tensioni, disastri ambientali) nel medio-lungo termine. Dopo che le politiche locali e internazionali hanno fondato lo sviluppo africano sull’estrazione delle risorse naturali, sulle monoculture, sull’accaparramento delle terre, espellendo contadini. I migranti continueranno ad essere oggetto degli affari dei trafficanti, ad essere sospesi nel limbo e confinati in campi profughi, centri di transito e centri di detenzione Ai margini, esclusi, espulsi. Oppure possono tonare nei loro paesi, nella loro condizione di sopravvivenza, senza alternative.
Di fronte a un‘Europa cinica, chiusa e miope, che non scommette in nuove visioni di sviluppo umano e sostenibile condiviso, nonostante tutti i begli impegni presi con l’Agenda 2030.
A cura di Andrea Stocchiero, Coordinamento Concord Italia – Focsiv