Misurare la coerenza delle politiche di sviluppo
Fonte: https://www.cgdev.org/cdi#/
Uffico Policy Focsiv – La coerenza delle politiche è un argomento poco noto ma sempre più di grande rilevanza. Man mano che cresce la consapevolezza dell’interdipendenza dei fenomeni (interconnessioni tra ambiente-economia-società-politica …) e l’esigenza di assumere un pensiero aperto alla complessità, si comprende come sia necessario che le politiche settoriali si parlino tra di loro in un quadro di riferimento comune, oggi, lo sviluppo sostenibile. Chi si occupa di politica di cooperazione allo sviluppo è da diversi anni che ha assunto il tema essenziale della coerenza delle politiche, tanto che è uno dei principi anche della legge italiana 125/14 sulla politica di cooperazione. E dal 2015 si parla di coerenza delle politiche di sviluppo sostenibile nella Agenda 2030, tra i bersagli dell’obiettivo 17 sul partenariato internazionale. Ma questo approccio e principio finora non è stato mai applicato.
Una buona notizia è la recente approvazione della nuova strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (https://asvis.it/notizie-sull-alleanza/19-17803/asvis-finalmente-approvata-la-strategia-nazionale-per-lo-sviluppo-sostenibile) che contiene il Piano per la coerenza delle politiche (https://www.focsiv.it/approvare-la-strategia-per-lo-sviluppo-sostenibile-e-il-piano-di-coerenza/). Per la prima volta in Italia, ma anche rispetto ad altri paesi europei, si applicherà, speriamo al più presto, uno schema istituzionale e partecipativo per analizzare la coerenza delle politiche e portare i correttivi necessari. Per fare questo è necessario definire un sistema di analisi, un insieme di indicatori per misurare assieme le diverse politiche e i loro impatti, in modo da correggerle se contradittorie.
A questo proposito presentiamo di seguito la recentissima analisi del Centro per lo Sviluppo Globale che da tempo ha creato un sistema di indicatori per misurare la coerenza delle politiche dei paesi più ricchi nei confronti di quelli più poveri il Commitment Development Index (CDI): https://www.cgdev.org/cdi#/. L’indice è composto, ovvero comprende diversi indici che misurano l’impegno degli stati ricchi per lo sviluppo dei paesi impoveriti in otto politiche, da quella della finanza per la cooperazione, all’ambiente, alle migrazioni, alla sicurezza e altre.
La visione d’insieme consente di capire come vi siano politiche più avanti o più indietro per questo impegno, e quanto di conseguenza vi sia tra loro coerenza o meno. Per dire, se a fronte di una importante finanza per la cooperazione si attua una politica commerciale molto protezionista e poco trasferimento tecnologico, il risultato di coerenza sarà basso. Gli indici usati possono essere criticati e migliorati, ciò che è importante è aprire anche in Italia un confronto e un lavoro di misurazione.
Secondo l’indice del Centro di Sviluppo Globale, l’Italia è al 21° posto su 39 paesi analizzati tra i più ricchi ed emergenti (la graduatoria comprende anche la Cina, l’India, l’Indonesia, …). I risultati migliori si registrano nelle componenti investimenti e ambiente, dove l’Italia si colloca rispettivamente all’8° e all’11° posto. Ha il maggior margine di miglioramento nelle componenti tecnologia e salute, dove si colloca nella metà inferiore della graduatoria. In particolare, l’Italia dovrebbe ridurre il consumo di antibiotici e promuovere maggiormente la collaborazione nella ricerca con gli accademici dei Paesi più poveri. Se valutiamo l’Italia rispetto alle aspettative basate sul suo livello di reddito, la sua posizione sale al 17° posto (ovvero, considerato il suo reddito fa meglio di altri paesi con il reddito più alto). Per una spiegazione del metodo e degli indici utilizzati si veda il sito sopra indicato.
L’Italia si colloca al 15° posto per quanto riguarda la componente dei finanziamenti allo sviluppo. In termini quantitativi l’Italia fornisce lo 0,23% del suo Reddito nazionale lordo come finanziamento per la cooperazione allo sviluppo, al di sotto della media del CDI dello 0,29% e al 19° posto. L’Italia si comporta relativamente bene per quanto riguarda la qualità di questi finanziamenti, per i quali si colloca all’11° posto. Si colloca al primo posto per quanto riguarda la trasparenza di questi finanziamenti, poiché fornisce informazioni a livello di progetto attraverso il Creditor Reporting System dell’OCSE. È anche tra i primi 10 Paesi per l’erogazione di finanziamenti allo sviluppo in linea con le priorità dei Paesi partner. Il finanziamento allo sviluppo dell’Italia si rivolge anche ai Paesi più poveri e fragili, con particolare attenzione all’Africa.
Rispetto alla graduatori del CDI misurata nel 2021, l’Italia ha migliorato il grado di apertura dei suoi contratti di finanziamento alla concorrenza di imprese di qualsiasi nazionalità, posizionandosi ora al primo posto per quanto riguarda gli aiuti non vincolati. Per migliorare ulteriormente questa componente, l’Italia dovrebbe aumentare l’ammontare dei finanziamenti allo sviluppo erogati (si veda a proposito la Campagna 070: https://campagna070.it/).
L’Italia si colloca all’ottavo posto per quanto riguarda la componente “investimenti“, il suo più alto livello tra le diverse componenti. L’Italia ottiene un buon punteggio nella nuova misura di allineamento delle aliquote fiscali sulle società, con le sue aliquote fiscali superiori al minimo del 15% concordato a livello globale, e alla media dei Paesi in via di sviluppo del 24,5%. L’Italia ottiene buoni risultati anche per quanto riguarda la limitazione del segreto finanziario, posizionandosi tra i primi cinque posti, con punteggi particolarmente buoni per le norme che regolano l’antiriciclaggio e per l’obbligo per le aziende di fornire relazioni paese per paese sulle loro attività. L’Italia si colloca inoltre al primo posto in materia di imprese e diritti umani per la partecipazione a revisioni paritetiche delle normative sulle imprese multinazionali e per l’adozione di un Piano d’azione nazionale per le imprese e i diritti umani.
L’Italia si colloca al 16° posto nell’indicatore delle risorse naturali: pur partecipando al Processo di Kimberley per la prevenzione del commercio dei cosiddetti diamanti insanguinati, non sostiene né attua l’Iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive. L’Italia ha anche margini di miglioramento per quanto riguarda il grado di spazio per le politiche di sviluppo che lascia ai Paesi partner nei suoi trattati bilaterali di investimento.
L’Italia si colloca al 20° posto nella componente migratoria. Nonostante la sua posizione geografica nell’Europa meridionale e la sua vicinanza ad alcuni “hotspot migratori” in Nord Africa, da cui partono molti rifugiati verso l’Europa, l’Italia ospita 5,0 rifugiati ogni 1.000 persone, un numero inferiore alla media del CDI, che è di 9,7, e riceve anche meno migranti (non rifugiati) dai Paesi più poveri rispetto alla sua popolazione rispetto alla media dei Paesi CDI. L’Italia ha migliorato la percentuale di migranti di sesso femminile: dal 45% del CDI nel 2021 al 49%, ora superiore alla media CDI del 46%.
L’Italia si colloca al secondo posto per la sua partecipazione alle convenzioni internazionali sulla migrazione, avendo ratificato entrambe le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro per le quali il CDI dà credito, ma non ha ancora completato la revisione volontaria nell’ambito del Global Compact for Migration delle Nazioni Unite. L’Italia è anche nella metà superiore della classifica per le sue politiche interne di integrazione dei migranti.
L’Italia si colloca al 17° posto per quanto riguarda la componente commerciale, che sale al 13° quando il suo punteggio viene aggiustato per il reddito. Insieme ad altri membri dell’UE, l’Italia si colloca al 4° e al 7° posto rispettivamente negli indicatori delle medie tariffarie e dei picchi tariffari (linee tariffarie con aliquote del 15% o più), grazie a tariffe UE generalmente basse e con diverse esenzioni per i Paesi a basso reddito. Tuttavia, l’Italia ha un significativo margine di miglioramento per quanto riguarda la restrittività del commercio dei servizi, dove si colloca al 28° posto, anche a causa di restrizioni particolarmente severe sul commercio dei servizi di trasporto aereo e di ingegneria. L’Italia si colloca a metà classifica per quanto riguarda la logistica commerciale, e dovrebbe inoltre ridurre i sussidi all’agricoltura che distorcono il commercio, e che sono pari al 12,2% della produzione agricola, pari a circa la mediana del CDI.
L’Italia si colloca all’11° posto per la componente ambientale. Ha ratificato tutti gli accordi sulla biodiversità e sull’ambiente per i quali il CDI dà credito, ma dovrebbe produrre un rapporto più aggiornato sull’attuazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatiche minacciate di estinzione. L’Italia si classifica al 12° posto per i bassi livelli di produzione di combustibili fossili, in quanto non produce carbone e poco petrolio e gas. Inoltre, le emissioni dirette di gas serra dell’Italia da energia, rifiuti, agricoltura e industria sono inferiori alla media CDI, con 6,4 tonnellate di CO2 equivalente per persona (la media CDI è di 9,6).
L’Italia ha il maggior margine di miglioramento per quanto riguarda il sostegno finanziario alla produzione e al consumo di combustibili fossili e i sussidi alla pesca che contribuiscono all’esaurimento degli stock globali, con un 29° posto per ciascuno di essi. I sussidi alla pesca dannosi che fornisce valgono l’11,3% del valore della produzione, più della media CDI del 7,6%.
L’Italia si colloca al 29° posto per la componente salute. L’Italia è nella metà superiore della classifica per la sua regolamentazione relativamente severa del commercio internazionale di tabacco. In linea con la sua posizione di sostenitore di lunga data della sicurezza alimentare globale e sede di diverse agenzie delle Nazioni Unite (l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura, il Programma Alimentare Mondiale, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo), l’Italia ottiene buoni risultati per il numero ridotto di restrizioni all’esportazione di prodotti alimentari e sanitari (insieme ad altri Stati membri dell’UE).
L’Italia è anche al primo posto per la partecipazione a tutti i trattati, codici e adesioni per i quali la CDI dà credito, compresi i moduli sul consumo e sulla resistenza del Sistema globale di sorveglianza dell’uso e della resistenza antimicrobica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Tuttavia, l’Italia ha politiche di responsabilità relativamente scarse per quanto riguarda la resistenza agli antimicrobici, con un consumo particolarmente elevato di antibiotici negli animali da allevamento. Inoltre, non ha completato una valutazione esterna congiunta con l’OMS, che migliorerebbe i suoi punteggi sia sulla governance della resistenza antimicrobica che sulla preparazione alle pandemie, per le quali è all’ultimo posto.
L’Italia si colloca al 21° posto per quanto riguarda la componente sicurezza, ma sale di sei posizioni fino al 15° posto quando si aggiusta per il suo livello di reddito. L’Italia ha ratificato tutti i trattati internazionali di sicurezza per i quali il CDI dà credito, classificandosi al primo posto dell’indicatore. L’Italia ha ottenuto risultati relativamente buoni anche per quanto riguarda la protezione delle rotte marittime, fornendo navi per un valore pari allo 0,015 per cento del RNL, rispetto a una mediana CDI dello 0,001 per cento.
Sebbene l’Italia si collochi tra i primi 10 posti per il valore dei contributi finanziari e di truppe alle missioni di pace (sia alle missioni ONU che a quelle non ONU), la quota di truppe femminili fornite alle missioni ONU è bassa, inferiore al 5%, rispetto alla media CDI dell’11%.
L’Italia ha anche un significativo margine di miglioramento per quanto riguarda la percentuale di esportazioni di armi che invia ai Paesi più poveri, più militaristi e meno democratici (come il Qatar, il Kuwait e l’Egitto), dato che è significativamente superiore alla media del CDI.
L’Italia si colloca al 38° posto per quanto riguarda la componente tecnologica, si tratta della sua posizione più bassa. Il governo italiano sostiene direttamente la ricerca e lo sviluppo (R&S) per un valore pari allo 0,50% del suo RNL, inferiore alla media del CDI (0,58%). L’Italia si colloca anche nella metà inferiore dei Paesi per quanto riguarda gli incentivi fiscali che fornisce alla R&S privata, che valgono solo lo 0,09% del RNL, quasi la metà della media del CDI.
In termini di politiche per incoraggiare il trasferimento e la diffusione della tecnologia, l’Italia accetta meno studenti stranieri provenienti dai Paesi più poveri rispetto alla maggior parte dei Paesi CDI, posizionandosi al 33° posto dell’indicatore, sebbene il 53% di questi studenti sia di sesso femminile (più alto della media CDI del 49%). L’Italia ha il maggior margine di miglioramento per quanto riguarda la collaborazione nella ricerca, che indica come i ricercatori italiani abbiano meno probabilità di collaborare con ricercatori di Paesi a basso reddito rispetto ai ricercatori della maggior parte degli altri Paesi CDI. Insieme ad altri Paesi dell’UE, gli accordi commerciali dell’Italia sono molto restrittivi in materia di proprietà intellettuale, andando oltre gli standard dell’Organizzazione mondiale del commercio. Questo può impedire la diffusione di conoscenze utili ai Paesi a basso reddito.