Nei panni dell’Ecuador
“Non è facile mettersi nei panni del Paese, comprendere, entrare a fondo nelle questioni economiche e politiche, districarsi tra le informazioni che circolano dopo durante queste giornate di fuoco”. La testimonianza umana di Valentina Vipera, Responsabile dei Volontari SCU e CCP FOCSIV in Ecuador.
“Non è facile districarsi tra notizie vere e notizie false, tra la tragicità di alcuni video di scontri e gomme di auto bruciate, e un’ informazione dalla stampa ufficiale talmente debole che destabilizza mentre dall’altra ci sono gli attivissimi social, che di certo non rassicurano (con meme che circolano in rete ironizzando sulla crisi “Questa protesta non funziona, bloccano male le strade: mia suocera è già a casa mia!”).
12 ottobre. È sabato siamo al nono giorno in cui il Paese si sveglia scosso, il quotidiano vociare e il fermento classico di una capitale dell’America Latina è stato interrotto da un assordante silenzio e dal ronzare di qualche elicottero sopra la città. Mi arriva un messaggio di testo sul cellulare, mittente: la Presidenza, informa che il coprifuoco prima indetto dalle 20.00 alle 5.00 sarà dalle 15.00 e che verrà militarizzata l’aria del DM di Quito.
Sono una espatriata e mi riesce difficile empatizzare con la classe dei lavoratori, coloro che guadagnano meno dello stipendio medio ($394.00 al mese), che non vivono a due chilometri a piedi dal proprio ufficio come me, che in questi giorni per andare a lavorare hanno camminato due ore, e che solitamente per fare lo stesso tragitto prendono due o tre autobus. Mi riesce difficile da straniera, e quindi privilegiata, prevedere grandi penalizzazioni sul mio portafogli in base al “Paquetazo“ previsto dal Presidente dell’Ecuador per rilanciare l’economia del paese e sanare il suo debito con il FMI (Paquetazo = misure economiche, pacchetto in italiano, “suggerite” dal FMI per restituire il debito, a discapito dei lavoratori pubblici e della parte di popolazione più povera). Lenin Moreno non ha avuto bisogno dell’approvazione dell’Assemblea Nazionale per proseguire all’eliminazione del sussidio statale sul costo del combustibile quindi detto fatto dal 3 ottobre è quasi raddoppiato il costo della benzina (il diesel ha subito un aumento del 123%) e sono iniziati gli scioperi e il malcontento generale. L’aumento della benzina ha un effetto domino: aumenta il biglietto del trasporto pubblico, aumentano I prezzi di mercati e supermercati, il mezzo chilo di patate passa da $0,35a $0,50.
E chi sarà a pagare questi lievi “aggiustamenti”? Chi non ha molta disponibilità economica per considerarli lievi e chi si muove con i mezzi di trasporto urbano, sicuramente non la classe privilegiata.
Io non posso entrare nella mente di una donna indigena che ha camminato tre giorni per manifestare sotto il palazzo presidenziale di Quito arrabbiata perché le misure neo liberali adottate per risollevare le sorti economiche del Paese vanno a discapito delle categorie più vulnerabili. Gli indigeni che cercano di non fasi inghiottire dal modello dominante, dal consumismo incalzante continuando a preservare valori come il rispetto della natura e delle loro tradizioni ancestrali. Una delle categorie di popolazione che il Governo dovrebbe proteggere dagli aumenti dei prezzi e non renderla la più penalizzata economicamente.
Non posso immedesimarmi con un manifestante che deve mantenere la sua famiglia quando il costo della vita è sempre più alto e gli stipendi rimangono gli stessi, anzi i dipendenti pubblici con contratti instabili secondo le prossime riforme si vedranno ridurre del 20% la paga mensile, mentre tutti i lavoratori statali dovranno “regalare” un giorno del proprio stipendio mensile allo Stato e si vedranno ridurre I giorni di ferie da 30 a 15.
Leggo gli ultimi aggiornamenti sugli scontri nel centro storico, sul condono che lo Stato ha concesso alle grandi imprese indebitate con l’istituzione finanziaria pubblica SRI, all’incirca 4.6 miliardi di dollari, quasi lo stessa somma del debito che il Governo ha con il FMI e che vuole riscuotere dalle tasche della classe media e lavoratrice dell’Ecuador tramite il pacchetto di riforme previste.
Inevitabilmente non mi sento direttamente colpita ma da essere umano trovo profondamente ingiusto che a pagare siano sempre i più deboli e che i grandi interessi economici valgono più della qualità della vita delle persone, spesso della stessa esistenza dei più poveri. La politica è sempre più la marionetta nelle mani del potere economico globale e invece di garantire il benessere dei propri cittadini, cosa che gli spetterebbe, si allontana sempre di più dalle loro esigenze, lasciandoli soli e trattandoli come nemici dell’interesse comune.
Nelle relazioni di tutti I livelli e di tutti I tipi quando c’è disaccordo per poter superare la controversia esiste il compromesso, il dialogo, scendere a patti con l’altro, questo dovrebbe fare la politica, questo dovrebbe fare a mio avviso un Presidente con il suo popolo.
È vero sono europea, la considero “una botta di fortuna” essere nata e cresciuta in Italia. Indubbiamente è difficile per me entrare nella mente della classe povera e media ecuatoriana come anche in quella del Presidente di questo Paese, ma mi piace ancora sperare che le dinamiche della violenza e dell’ingiustizia possano essere superate con il dialogo e il rispetto reciproco e ipotizzare un modello di crescita globale che sia sostenibile e smetta una volta ancora di violare I diritti dei più vulnerabili per il privilegio di pochi.
Questo è un ideale: che succede invece oggi in Ecuador? Si sospendono i diritti dei cittadini, si censura la stampa, si dichiara il coprifuoco, si militarizza la città e il Presidente si trasferisce a Guayaquil, i manifestanti e la loro lotta vengono minimizzati come “vandali” “correisti” “corrotti” “infiltrati” che vogliono solo destituire il Governo in carica;approfittando dell’immagine della parte disonesta dei manifestanti che distrugge, brucia e con questo movente attaccare gli innocenti, fare di tutta l’erba un fascio e reprimere. Intendiamoci, la violenza non deve essere mai giustificata, neanche se adoperata per far valere I propri diritti, recare danno alla città, ai monumenti, ad altre persone, alla polizia è passare automaticamente dalla parte del torto.
Dalla mia posizione incolume posso solo evitare di lamentarmi se per qualche giorno ho avuto qualche disagio negli spostamenti e se oggi dalla finestra di casa c’è un forte odore di bruciato.
E posso dare voce all’idea che se anche se non riusciamo a metterci nei panni degli altri, il buon senso e la giustizia sono universali e dovrebbero valere per tutti gli esseri umani indipendentemente dalle tasche, dalle posizioni sociali, dalle nazionalità o dalla “fortuna”.
Valentina Vipera