Non sono persone ingenue
La consapevolezza che i piccoli gesti possono fare la differenza nel costruire un mondo migliore, più giusto. L’intervento di Gianfranco Cattai – presidente Focsiv su Vita Pastorale, luglio 2020.
La liberazione della giovane volontaria Silvia Romano in Somalia, dopo 18 mesi di prigionia, e le polemiche sollevate
sull’opportunità della cooperazione internazionale, suggeriscono di rileggere quanto scritto nella Legge italiana 125/14, all’articolo 1: «La cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace, è parte integrante e qualificantedella politica estera dell’Italia. La sua azione, conformemente al principio di cui all’articolo 11 della Costituzione, contribuisce alla promozione della pace e della giustizia e mira a promuovere relazioni solidali e paritarie tra i popoli, fondate sui princìpi di interdipendenza e partenariato». L’articolo 2, poi, chiarisce che «la cooperazione allo sviluppo, riconosce la centralità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria […]». È in questo quadro che si collocano le associazioni conosciute come Ong: sono organizzazioni di cittadinanza attiva organizzata, impegnate nel concretizzare, nei tanti Paesi impoveriti del mondo, iniziative e progetti di giustizia sociale e di tutela dei diritti umani a beneficio della persona, in partenariato con persone ed enti con le quali cercano di camminare insieme.
In Italia le Ong vigilano perché le politiche attuate dai Governi siano coerenti e non cadano nell’errore di dare aiuti conuna mano e prendere diecivolte tanto con l’altra. Ma, soprattutto, le Ong sono impegnate nell’educazione alla reciprocità. Sono soggetti che tentano di concretizzare, in modo coerente, quello che il nostro Paese ha deciso che si dovrebbe fare e il più delle volte non realizza. In questo scenario chi sono i volontari?
Sono forse persone ingenue – come qualcuno vuole far credere –, persone un po’ folli, illuse di poter cambiare il mondo? Rispondiamo prendendo a prestito parole che la volontaria Eva Pastorelli (già impegnata nel Servizio civile universale in Perù e oggi nella sede romana di Focsiv) indirizzò a Silvia Romano, lo scorso 5 dicembre, in occasione della Giornata internazionale del volontariato.
«Abbiamo scelto di prestare volontariato in Paesi dilaniati dai conflitti sociali, nei quali la dignità umana è costantemente lesa da sfruttamento, discriminazioni, corruzione e ingiustizie. E in questi luoghi abbiamo visto la determinazione di chi continua a lottare nonostante gli ostacoli appaiono insormontabili; abbiamo goduto della generosità di chi vive con poco e darebbe tutto ciò che ha pur di farti sentire a casa; grazie all’incontro con diverse culture e tradizioni abbiamo affrontato le nostre debolezze e scoperto nuovi punti di forza. Ci siamo arricchite interiormente, grazie all’incontro con una realtà diversa dalla nostra e alla condivisione di un percorso con chi quella realtà la vive. […] E non siamo delle “ingenue, un po’ folli, illuse di poter cambiare il mondo”. Siamo donne generose e tenaci, consapevoli che i piccoli gesti possono fare la differenza nel costruire un mondo migliore, per tutte e tutti. Siamo donne che hanno scelto consapevolmente, in autonomia e supportate da chi ci conosce da sempre».
Ogni esperienza di volontariato è una scelta personale e, certamente, non è solo una questione personale. È una scelta di valore condivisa con l’Organismo di appartenenza che ha delle responsabilità precise, come quello di garantire la priorità della sicurezza personale. Per la Federazione Focsiv (riunisce 87 Ong e in 48 anni ha gestito 27 mila volontari all’estero) la sicurezza dei giovani è al primo posto. Ogni viaggio, ogni esperienza di servizio civile internazionale o di volontariato in cooperazione è un investimento per la vita. E Focsiv si prende a carico ciascun volontario, assumendosi ogni responsabilità.
Evidentemente le diverse condizioni dei luoghi nei quali si va a operare comportano attenzioni diverse. In alcuni casi, nelle situazioni più critiche, neppure i più esperti partono mai da soli. In questi giorni, nonostante le incertezze dettate dal coronavirus, molti dei nostri volontari espatriati, d’intesa con le proprie organizzazioni, hanno deciso di restare con gli ultimi nelle tante periferie del mondo. Queste persone con le loro associazioni sono i nostri ambasciatori, dei quali essere orgogliosi, sono lì nella ricerca del bene comune, sono espressione di quella “Chiesa in uscita” tanto voluta da Francesco: un’esperienza per la quale vale la pena spendersi e che caratterizzerà tutta la vita. Non importa quello che ciascuno sarà chiamato a fare in futuro ma come lo farà: il sindaco del proprio comune, il funzionario delle Nazioni Unite, il direttore del proprio organismo di appartenenza o il catechista volontario in parrocchia.
A tal fine, è importante la formazione già prima della partenza. Bisogna dare senso al sentimento del prendersi cura degli altri e a lavorare con i partners locali. È necessario per ciascuno prepararsi e formarsi a vivere in contesti culturali diversi dai nostri. Formarsi a contesti culturali differenti significa approfondire cultura e comportamenti sia degli altri che di sé stessi.
E prepararsi e contribuire al dialogo tra le religioni, per valorizzare, in tal modo, il loro apporto allo sviluppo della persona umana.
In breve: il volontariato internazionale organizzato è una scelta di valore per proporre modelli sociali carichi di speranza.