Per una transizione energetica giusta, fondata sui diritti umani e non estrattivistica
Foto. Vast: la miniera Luwow scavata in una montagna nella remota regione di Masisi, ricca di minerali, nella RDC orientale © Roland Hoskin
La seguente lettera è un appello da parte di movimenti e organizzazioni della società civile, tra cui CIDSE di cui FOCSIV è membra, per esortare la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e gli Stati membri a promuovere attivamente l’energia rinnovabile responsabile posizionando i diritti umani al centro dei piani climatici, affinché abbiano successo e siano sostenibili a lungo termine.
Un appello alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e agli Stati membri che si incontreranno alla COP27
La crisi climatica è tra le questioni più critiche e complesse che il nostro pianeta e le popolazioni devono affrontare. Il rispetto dei diritti umani e l’azione per il clima sono sempre più indivisibili e la necessità di passare a energie più pulite non è mai stata così urgente. Eppure, questa transizione sarà destinata a fallire se si concentrerà esclusivamente sull’essere veloci e non anche sull’essere giusti.
Rappresentiamo una vasta gamma di movimenti e organizzazioni della società civile che lavorano per la giustizia climatica, i diritti umani, i diritti del lavoro e la responsabilità aziendale. Il modello estrattivo guidato dal profitto che è alla base del modello energetico globale, non ha fornito i benefici economici o lo sviluppo promessi a molti paesi. Ha invece rafforzato le disuguaglianze esistenti, tra cui l’accesso all’energia e le disuguaglianze di genere. Questo modello deve essere trasformato. La COP27 offre un momento decisivo per accelerare la transizione dai combustibili fossili e impostare risolutamente la bussola della transizione energetica. Per affrontare questa immensa sfida è necessaria un’azione globale rapida e coordinata, nonché il reindirizzamento degli investimenti privati e pubblici verso progetti di energia rinnovabile.
Ignorare i diritti delle comunità locali e delle popolazioni indigene nella corsa a un’economia decarbonizzata entro il 2050, in particolare di quelle colpite dal boom dell’estrazione dei minerali necessari alla transizione ecologica e dai progetti di energia rinnovabile ad alto consumo di suolo, è poco lungimirante. Si tradurrà in numerose violazioni dei diritti umani e nel fallimento della responsabilità dei governi nel proteggere i diritti umani, come stabilito dai Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Tutto ciò sta già causando un diffuso abuso della terra, dell’acqua e dei diritti dei popoli indigeni: dal 2010 sono state tracciate 495 denunce di violazioni dei diritti umani in relazione all’estrazione di minerali per la transizione ecologica. Ciò continuerà anche ad alimentare opposizioni, conflitti e a sfociare in ritardi della transizione, e nel mancato raggiungimento degli obiettivi globali sul clima e degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG). Tali conflitti hanno già provocato almeno 369 attacchi contro attivisti per i diritti umani, sindacali e ambientali in tutto il mondo dal 2015, di cui 98 omicidi legati a progetti di energia rinnovabile e 148 attacchi, tra cui 13 omicidi, legati all’estrazione di minerali per la transizione.
Sono anche chiari i limiti degli approcci non legislativi e basati sul mercato per migliorare il rispetto aziendale dei diritti umani: il 78% delle 1000 aziende più influenti, in 68 paesi e 26 settori, ha ottenuto un punteggio zero su tutti gli indicatori che misurano i propri passi volontari per il rispetto dei diritti umani. La due diligence obbligatoria sui diritti umani è necessaria per colmare il divario di responsabilità. Affinché si realizzino progressi reali alla COP27, i leader mondiali devono promuovere attivamente l’energia rinnovabile responsabile.
Riconoscere che i diritti umani sono centrali nella risposta al clima. Il modello estrattivo guidato dal profitto ha radicato ed esacerbato la disuguaglianza contribuendo a generare conflitti, danni ambientali, attacchi alle comunità, svolgendo contemporaneamente un ruolo significativo nelle emissioni di gas serra. Una transizione energetica basata su questo modello fallirà. I governi devono posizionare i diritti umani al centro dei loro piani climatici affinché abbiano successo e siano sostenibili a lungo termine. Ciò significa che, accanto agli impegni per espandere la produzione di energia rinnovabile, i contributi a livello nazionale (NDC) per mitigare l’emissione dei gas serra devono includere disposizioni specifiche per garantire che i diritti alla terra, in particolare i diritti alla terra delle donne, siano protetti, i diritti dei popoli indigeni siano radicati nel rispetto del loro diritto all’auto- determinazione, i benefici dei progetti siano equamente condivisi con le comunità emarginate e direttamente interessate.
Adottare nuove ambiziose politiche ecologiche e quadri normativi che proteggano i lavoratori, le comunità locali e le popolazioni indigene dirigendo i flussi di investimenti esteri e nazionali verso infrastrutture responsabili per l’energia rinnovabile: occorre prestare particolare attenzione al rispetto del diritto delle popolazioni indigene al consenso libero, preventivo e informato, nonché dei diritti individuali e collettivi dei titolari di diritti fondiari consuetudinari; e alla sicurezza dei difensori dei diritti umani e dell’ambiente.
Legiferare per porre fine agli abusi aziendali più eclatanti attraverso l’introduzione di una due diligence obbligatoria in materia di diritti umani, ambientali e di genere.
Sostenere un’equa transizione energetica garantendo che lo sviluppo dell’energia rinnovabile si traduca in un accesso equo a un’energia pulita, affidabile e conveniente per le popolazioni, anche per i capifamiglia di sesso femminile.
Adottare politiche per dare priorità alla riduzione della domanda di energia e materiali da parte dei paesi più ricchi, nonché a una maggiore efficienza, progettazione responsabile dei prodotti, e riciclaggio dei minerali per ridurre al minimo l’impatto ambientale e umano delle attività minerarie, e allontanarsi dal modello di produzione dall’estrazione all’esaurimento delle risorse.
Inoltre, sosteniamo le richieste della Dichiarazione del 2021 sull’estrazione mineraria e la transizione energetica, incluso il focus sui diritti umani dei popoli indigeni, delle comunità in prima linea e dei lavoratori lungo la catena produttiva delle energie rinnovabili.
È tempo di ripensare a come la transizione energetica può essere utilizzata per far avanzare l’agenda sui diritti umani. Un’agenda climatica derivante dalle riforme neoliberiste che mantengono i modelli industriali esistenti apre le porte a investimenti non sostenibili, e continua a vedere la natura semplicemente come un oggetto di consumo o da sfruttare come risorsa economica. Un’agenda climatica iniqua fa sì che le comunità che hanno contribuito meno alla crisi climatica sopportino il peso maggiore della transizione, senza trarne vantaggio e senza essere in grado di plasmarla. Questa agenda non può affrontare la sfida di ridurre le emissioni di gas serra per soddisfare gli impegni climatici di Parigi: continuerà a subire resistenze, ritardi e alla fine potrebbe ritorcersi contro. Sul tema si veda anche il seguente articolo: Transizione energetica in Europa, conquista di minerali in Africa (jpic-jp.org)