Prospettive
Perché hai scelto di partire per il Servizio Civile Universale in Senegal?
Le motivazioni per cui ho scelto di partire sono molteplici. Innanzitutto era il momento adatto, avendo appena terminato l’università volevo staccare un po’ dagli studi e vivere un’esperienza di vita vissuta. Mi ha sempre affascinato l’Africa e desideravo conoscerne le persone e la cultura, inoltre ero anche interessato ad approcciarmi al mondo della cooperazione internazionale. Infine, ci sono anche delle motivazioni più pratiche: conoscere già il francese mi ha indirizzato verso un paese francofono ed anche il numero di candidature a questa sede ha, in piccola parte, influenzato la mia scelta.
Di che progetto fai parte? Di che si tratta e qual è il tuo ruolo?
Partecipo a un progetto socio-educativo che mi vede impegnato all’interno delle scuole pubbliche e delle scuole coraniche, le daara. Due volte a settimana intervengo nelle scuole pubbliche sia come per sostenere l’insegnante a cui sono stato affiancato, sia con lezioni da me programmate di francese, matematica, arte ed ecologia. Invece nelle scuole coraniche, il mercoledì, svolgo assieme a due colleghi locali un corso che comprende varie materie che alterniamo tra francese, matematica, agricoltura, allevamento, arte e mestieri. Il giovedì programmiamo un pasto all’interno della daara e passiamo del tempo assieme ai bambini, le donne e il marabout, ovvero il capo religioso della daara, nonché insegnante d’arabo e del Corano.
Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare?
La principale sfida è stata riuscire a stabilizzarmi in un contesto di vita diverso, sia a livello personale che a livello culturale. Appena arrivato a Kaffrine mi ci è voluto del tempo per crearmi dei punti di riferimento e una nuova quotidianità. Poco alla volta, iniziando a conoscere gli abitanti del luogo, i nuovi colleghi, le attività e gli spazi della città ho cominciato ad ambientarmi e a immergermi in questa realtà, che, essendo totalmente differente dall’Italia, inizialmente disorienta. Questa prima fase la ricordo comunque con piacere, in quanto la curiosità e la novità di trovarsi in un posto sconosciuto mi ha comunque spinto a reinventarmi e a mettermi in gioco.
Highlights di quest’esperienza. Qual è la prima immagine/situazione che ti viene in mente pensando al Servizio Civile svolto finora?
Mi viene in mente la festa del “Grand Magal” di Touba in cui abbiamo vissuto per tre giorni in un clima surreale di festa, con un sacco di persone in giro per la città e nella casa in cui eravamo ospiti, pasti buonissimi e super abbondanti, mangiati a orari impossibili; poi conoscere persone nuove e usanze insolite, il tutto inserito in un’occasione di raccoglimento religioso.
Cosa ti ha colpito dell’ambiente in cui ti trovi?
L’aspetto più affascinante è sicuramente il modo di vivere in comunità, in tutte le azioni quotidiane c’è sempre l’incontro e l’unione tra le persone, sia che siano membri della famiglia o esterni. Sono esemplari il modo di mangiare, tutti assieme dallo stesso grande piatto; o il modo in cui vivono le famiglie, con tutti i membri nella stessa casa; o ancora il fatto che le strade durante il giorno diventino luoghi d’incontro per prendere il tè o per discutere. Lo si nota anche dall’aiuto reciproco e lo scambio costante che c’è tra le persone, anche se non si conoscono.
Tre parole significative?
Adattamento. Questa esperienza ti proietta al di fuori della tua cultura, della tua nazione e delle tue abitudini e ti richiede adattamento a una serie di novità, come la convivenza con gli altri civilisti, che all’inizio sono degli sconosciuti, o i ritmi di vita e di lavoro senegalesi, il grande caldo, il cibo, l’assenza di alcuni servizi e i modi di fare e di interpretare la vita completamente differenti.
Esplorazione. Questa nuova dimensione in cui ti ritrovi immerso ti spinge inevitabilmente a essere curioso e quindi a conoscere le persone, l’ambiente e le usanze che ti circondano, per riuscire realmente a comprenderle. Questo vale anche in una dimensione interiore, in quanto per riuscire a trovare un nuovo equilibrio bisogna ripensare a diversi aspetti di sé, a molti pensieri e idee a cui si è legati.
Riposizionarsi. In continuità con le altre due parole, alla fine ci si ritrova in una nuova condizione per cui non puoi più comportarti, pensare e lavorare come sei abituato in Europa, ma devi necessariamente “riposizionarti” in un nuovo equilibrio per comprendere e vivere l’insieme di novità che ti circondano.
C’è qualcos’altro che vuoi condividere sull’esperienza del Servizio Civile o sul Senegal? Qualcosa che desideri passi e che si sappia?
Credo che sia importante non farsi aspettative di alcun tipo, sia prima della partenza che una volta stabiliti, perché in qualsiasi cosa, grande o piccola che sia, il Senegal sa sempre sorprenderti. Capita di trovarsi in situazioni impensabili, come viaggiare in una macchina con un montone nel bagagliaio, oppure che un lavoro programmato e organizzato da tempo non si riesca a realizzare per degli imprevisti per noi inconcepibili, come una semplice dimenticanza o eventi religiosi o culturali che prendono il sopravvento. Quindi ci vuole del tempo per entrare nelle dinamiche e nelle tempistiche del posto che, soprattutto inizialmente, metteranno alla prova la tua pazienza e la tua incredulità, però saranno proprio queste situazioni a regalare delle emozioni e delle esperienze indimenticabili.
Alessandro Ramires, Casco Bianco a Kaffrine, in Senegal con COMI
Perché hai scelto di partire per il Servizio Civile Universale in Senegal?
Mi ha parlato di quest’esperienza una mia collega di università: mi ha spiegato le attività che svolgeva e l’esperienza in generale e ho subito deciso di candidarmi.
Di che progetto fai parte? Di che si tratta e qual è il tuo ruolo?
“Caschi bianchi per lo sviluppo rurale in Senegal”. Io sono un medico veterinario, per cui mi occupo di seguire la parte tecnica dei progetti rurali. Attualmente sto seguendo un’attività denominata “Capre ed asini fase 2” che si occupa di trovare modalità per aumentare la produzione di latte delle capre, soprattutto durante la stagione secca, e di migliorare il benessere degli asini, che qui non sono considerati nient’altro che oggetti da lavoro. L’altra si chiama “Una Sola Salute e uguaglianza di genere” ed è un progetto pilota per lo studio delle zoonosi (ossia le malattie infettive che possono passare dagli animali all’uomo), al fine di capire quali siano i rischi principali, quali siano quelle più diffuse e come poter attuare delle tecniche per diminuirne la diffusione; questo progetto ha come beneficiari principalmente donne e ragazze, sempre più esposte alle infezioni
Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare?
Le due sfide principali sono state l’adattamento a una cultura totalmente diversa e la lingua. Per quanto riguarda quest’ultima la situazione è nettamente migliorata, grazie a uno studio personale e, soprattutto, alle conversazioni quotidiane. La cultura, invece, è una continua sfida: ci sono molte differenze, ma col tempo ho imparato ad apprezzare lo stile di vita senegalese, anche se a volte è più dura del solito. La concezione del tempo, per esempio, è molto diversa dalla nostra, ma solo lavorando insieme si può riuscire a trovare un punto d’incontro.
Highlights di quest’esperienza. Qual è la prima immagine/situazione che ti viene in mente pensando al Servizio Civile svolto finora?
Il Thiebu Thien: è il piatto nazionale, oltre che patrimonio dell’Unesco. È il protagonista di tutte le cerimonie e dei momenti di condivisione; è particolare in quanto si mangia tutti insieme dallo stesso piatto e quasi sempre con le mani. Rappresenta appieno il simbolo della condivisione, della comunità e dell’accoglienza senegalese.
Cosa ti ha colpito dell’ambiente in cui ti trovi?
Le case di tutti sono sempre aperte: credo sia una peculiarità rappresentativa della cultura locale, tutti sono amici e parenti di tutti e quando una persona ha un problema si cerca tutti insieme di risolverlo. Una delle frasi che ho sentito più spesso pronunciare è “On est ensamble”, siamo insieme: ogni volta che ringrazio mi viene detta questa frase, sottintendendo che non devo ringraziare perché, aiutando me, l’altra persona sta aiutando la propria comunità e quindi anche se stessa.
Tre parole significative?
Calore. Sia nel senso di temperature molto calde, che nel senso di accoglienza. Le persone qui sono veramente calorose, a tutti piace parlare e condividere le proprie esperienze e conoscere quelle degli altri. I colleghi ci hanno subito fatto sentire accolti e parte della loro comunità, mai degli estranei.
Fissare. Nel senso di tradurre le conoscenze che già avevo a livello puramente tecnico in azioni e pratiche tangibili grazie al lavoro sul campo, fissandole in mente nella loro multidimensionalità.
Scoprirsi. Riferito principalmente all’attività con i talibés: non ho mai apprezzato particolarmente la compagnia dei bambini in passato, invece sorprendentemente qui l’attività che preferisco è quella in Dahara con i talibés.
C’è qualcos’altro che vuoi condividere sull’esperienza del Servizio Civile o sul Senegal? Qualcosa che desideri passi e che si sappia?
Vorrei assolutamente consigliare a chiunque abbia una mezza intenzione di affrontare quest’esperienza di buttarsi e tentarla: non si sarà mai pronti per quello che accadrà e si vivrà, perché i racconti non possono descrivere tutte le sensazioni assurde che si provano, ma ne varrà assolutamente la pena.
Graziana Falasco, Casco Bianco a Kaffrine in Senegal con COMI
Perché hai scelto di partire per il Servizio Civile Universale in Senegal?
La risposta è da dividere in due parti: ho scelto il Servizio Civile per dedicare un anno della mia vita soltanto a me e a chi avrei conosciuto durante l’esperienza, per riflettere e riposare, ma anche crescere. Ho scelto nello specifico il Senegal perché sin da quando sono bambino ho desiderato scoprire l’Africa e la sua cultura; questo progetto, poi, unisce le mie conoscenze agronomiche a miei interessi personali.
Di che progetto fai parte? Di che si tratta e qual è il tuo ruolo?
Faccio parte di un progetto sullo sviluppo rurale, in particolare mi occupo di supportare e monitorare le attività agricole svolte all’interno di orti comunitari della regione di Kaffrine. Da agronomo è molto stimolante scoprire nuove tecniche di coltivazione e cercare assieme alla persone del luogo una soluzione per migliorare le produzioni.
Quali sono state le principali sfide che hai dovuto affrontare?
La prima sfida è stata sicuramente lo scoglio linguistico, sia con il francese in città sia col wolof nei villaggi, il che mi ha obbligato a lavorare sempre con un interprete. Anche il piano culturale mi ha messo in seria difficoltà all’inizio: abituato ad altri ritmi di vita e a lavorare diversamente, adeguarsi e comprendere è stato complicato, ma mese dopo mese ho compreso molto meglio come comunicare e interagire.
Highlights di quest’ esperienza. Qual è la prima immagine/situazione che ti viene in mente pensando al Servizio Civile svolto finora?
Io che mi trovo nel dietro di un pick-up assieme a dei volontari senegalesi mentre trasportiamo piante di mango e papaya da donare alla popolazione di un villaggio. Una volta arrivati è cominciata una festa, con pranzo infinito di benvenuto e danze tradizionali. Ho ballato anche io. Emozione indescrivibile.
Cosa ti ha colpito dell’ambiente in cui ti trovi?
La capacità di rimanere sempre stupito e sorpreso di ciò che accade intorno a me. Ho imparato a non dare più nulla per scontato e a emozionarmi costantemente.
Tre parole significative?
Stupore. L’essere continuamente spiazzato dalla realtà che mi circonda, nel bene e nel male.
Conoscere. Continua conoscenza e scoperta del contesto culturale e di me stesso
Inshallah. Rappresenta a pieno il modo di lavorare locale. A volte si traduce in un lavoro sbrigativo, che però per le persone di qui è perfetto: se Allah vuole così, va bene. Un po’ come il migliore dei mondi possibili di Leibniz
C’è qualcos’altro che vuoi condividere sull’esperienza del Servizio Civile o sul Senegal? Qualcosa che desideri passi e che si sappia?
Ci saranno momenti difficili, in cui la lontananza da casa si farà sentire, ma la soddisfazione che ti donano le persone senegalesi è talmente intensa che ne vale assolutamente la pena. Tornando indietro rifarei tutto. Non fermatevi davanti agli ostacoli, sono quelli che a fine esperienza vi ricorderete con più gioia.
Niccolò Rotoloni, Casco Bianco a Kaffrine in Senegal con COMI