QUAL È IL DISEGNO POLITICO PER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ALLO SVILUPPO CHE VOGLIAMO?
Un ministero ad hoc per la cooperazione o un Ministero Affari Esteri e della Cooperazione? Agenzia o no? Quali sono gli attori protagonisti? Quali le parole chiave? Ma soprattutto qual è il disegno politico di cooperazione? L’incontro promosso dall’Associazione delle ONG italiane, Link 2007 e CINI, lo scorso 20 settembre, si è soffermato molto sulle prime questioni e poco sulle seconde, che sono quelle fondanti.
Paolo Dieci, direttore del CISP, a nome degli organizzatori, ha sottolineato due concetti di fondo del documento presentato:
la cooperazione italiana deve essere posta al centro dell’agenda politica come modo di essere nel mondo contemporaneo anche se la strada è in salita e le risorse sono poche;
la cooperazione non è un lusso ma un’urgenza e un’opportunità per il sistema paese per acquisire rilevanza internazionale.
Sono 7 le priorità trasversali individuate per realizzare una cooperazione di qualità: la coerenza, la relazione di partenariato, l’affermazione della ownership democratica, l’efficacia, la trasparenza, la garanzia di un finanziamento pluriennale, la professionalità. La cooperazione italiana deve essere più incisiva laddove si definiscono le scelte politiche, a livello europeo e multilaterale.
La novità del Ministero della cooperazione introdotta da questo governo è positiva per collocare l’agenda dello sviluppo al centro della politica, e si apprezza l’accelerazione della discussione parlamentare per la riforma della legge. A questo proposito vi è la necessità di un alto riferimento politico dedicato alla cooperazione allo sviluppo: un ministro o un viceministro; di un comitato interministeriale per definire indirizzi pluriennali e la coerenza delle politiche, di un fondo unico, di una agenzia attuativa. Ovviamente l’architettura istituzionale dipende dalla disponibilità risorse, che è da accrescere nei prossimi anni per allinearsi al quadro internazionale. Infine, il documento delle ONG non vuole essere una rivendicazione corporativa ma riconosce la valorizzazione della pluralità.
Al di là di una condivisione generale sul documento presentato sono state poste alcune questioni sia di contenuto che di architetture istituzionali con particolare riferimento alla riforma della legge sulla cooperazione allo sviluppo. Un primo giro di opinioni ha coinvolto rappresentanti di alcuni attori della cooperazione.
Vi è chi ha sottolineato l’esigenza anche per le ONG di tenere maggiormente in conto il ruolo dei diversi attori, tra cui in particolare quello degli enti locali. Victor Majar per l’Anci ha evidenziato come molti comuni, grandi e piccoli, si trovino oggi ad operare assieme alle associazioni dei diversi territori nel creare partenariati con comunità locali del Sud. La “promiscuità” è una caratteristica diffusa della cooperazione territoriale che crea relazioni tra società e autorità locali. Questa caratteristica italiana deve essere riconosciuta nella riforma della legge sulla cooperazione, che deve passare dal concetto tradizionale di cooperazione allo sviluppo a quello più aperto, bidirezionale e comprensivo di cooperazione internazionale.
Se non la promiscuità, l’importanza della sussidiarietà nella cooperazione è stata fortemente sostenuta da Andrea Olivero per il Forum del Terzo Settore. Contro la tendenza alla chiusura in tempi di crisi, la cooperazione della società civile è fondamentale per favorire “un salto culturale e una visione internazionale”. Accanto alle competenze e alla professionalità delle ONG serve un “forte radicamento della cooperazione nella società per trasformare l’Italia e le sue relazioni internazionali”. Occorre un quadro legislativo coerente e uno stato non dirigista per la solidarietà e lo sviluppo.
Anna Rea, Segretario Confederale UIL, a nome dei sindacati ha sottolineato la centralità di una cooperazione per “la crescita sostenibile attraverso la green economy, da lancia nel quadro di una Europa solidale e federata”. Il partenariato è un principio e strumento fondamentale nel quale anche il sindacato ha un ruolo importante da giocare e ha avanzato l’idea di un sottosegretario per la cooperazione presso la Presidenza del Consiglio per garantire un approccio trasversale nelle diverse politiche.
Un’altra versione è stata proposta da Di Gaetano per Confindustria che legge la “cooperazione come contributo alla competitività”, soprattutto nei confronti dei paesi emergenti. Vi è bisogno di chiare linee guida e di un motore, un’agenzia, capace di renderle efficaci con strumenti e metodi che sappiano valorizzare il ruolo del settore privato.
A loro volta i rappresentanti dei partiti che stanno seguendo l’iter della riforma, condividendo in generale la posizione delle ONG, hanno evidenziato alcuni punti specifici di riflessione.
Il senatore Tonini ha sottolineato l’esigenza di sostenere una legge dove si prefiguri una maggiore “intenzionalità politica, più discussione pubblica, un miglior utilizzo delle risorse in modo non disordinato e con maggiori sinergie” perché “la cooperazione è collettiva”. Per questo la responsabilità politica deve essere chiara, e ci si deve dotare di un fondo unico e di un’agenzia leggera moderna “2.0” capace di coordinare i diversi attori.
A proposito dell’intenzionalità politica, Sabino Pezzotta per l’UDC ha sostenuto l’idea di un ministro della cooperazione con portafoglio e ha indicato la delicatezza della questione sulla condivisione della politica di cooperazione tra istituzioni e attori sociali nel momento in cui il governo ha scelto di abbandonare il metodo della concertazione. Comunque, il disegno di legge deve procedere dal senato alla camera anche se non perfetto, visti i tempi strettissimi. Di opinione diversa è invece Lapo Pistelli (PD). Proprio in considerazione dei tempi, è necessario blindare un buon testo di legge per evitare la “navetta” tra senato e camera.
Alberto Borin (IDV) ha, da un lato evidenziato l’importanza del tema dell’economia solidale nella cooperazione e, dall’altro, la necessità di stabilire regole chiare e precise che facilitino le ONG a superare le diverse criticità gestionali, aumentando anche le loro capacità manageriali.
Francesco Martone (SEL) infine ha condiviso l’esigenza di dotarsi di un “hardware” forte con un ministro della cooperazione ma anche di un “software” capace di entrare nel merito di questioni come l’adozione di modelli di sviluppo alternativi, e la pericolosa commistione tra civili e militari negli interventi in scenari di conflitto.
Hanno chiuso l’incontro due rappresentanti governativi,il Consigliere Giro per il Ministero della Cooperazione e la sottosegretaria Dassù per il Ministero Affari Esteri. Giro ha affermato che la “cooperazione è parte integrante della società civile in Italia”. E’ una realtà sociale complessa e ricca che però ha bisogno di superare la frammentazione con l’opera di facilitatori, soprattutto vi è bisogno di superare un clima diffuso di prostrazione, rassegnazione e senso di declino, dal quale la società civile, da sola, non sembra in grado di saper uscire.
Il Forum della cooperazione ha lo scopo di creare una costituency della cooperazione, una dinamica di reti e di corpi intermedi, e di lanciare una battaglia culturale capace di sostenere che “la cooperazione serve” e che “un paese che non coopera declina”. Per questo vi è bisogno di formulare un grande disegno e di mobilitare risorse.
La sottosegretaria Dassù ha ripreso la necessità di dotarsi di risorse adeguate per dare credibilità a una riforma della cooperazione, così come di delineare un disegno politico. E proprio in questo senso ha offerto in modo schematico una visione geopolitica dove la cooperazione è la politica estera di un paese di frontiera come l’Italia. Un paese esposto che ha bisogno di cooperare nel Mediterraneo e con l’Africa a livello sociale, economico e politico, per superare gli squilibri e creare sicurezza. Se la cooperazione è politica estera ha senso mantenere una direzione unica evitando la divisione in due ministeri, peraltro con pochi strumenti e risorse, con una agenzia ad hoc per la gestione. A ciò si potrebbe accompagnare la creazione di un fondo unico pubblico e privato per la democrazia e lo sviluppo, capace di dare un senso collettivo alla pluralità della cooperazione.
Al di là del consenso o meno sui contenuti, l’intervento della Dassù, così come quello ad esempio di Martone, hanno posto la questione fondamentale del senso politico della cooperazione che deve essere declinato in una visione, in un disegno, in priorità. Senso che determina scelte e di conseguenza strumenti e risorse. Anche l’Unione europea si sta interrogando sulla direzione da prendere: global o regional power? Mentre la sua carica normativa, a favore dei diritti umani e del multilateralismo, si sta depotenziando a causa della crisi.
E’ questo il dibattito anche per la rinascita delle ONG e di una società civile organizzata disorientata.