Quale blocco navale sui migranti?
Ufficio Policy Focsiv – Mentre il Consiglio europeo di Granada ha approvato l’accordo sulla gestione delle crisi migratorie e la strumentalizzazione dei migranti, come spiega Schiavone in Migranti, accordo Ue sulla gestione della crisi: facciamo chiarezza (vita.it), la Commissione europea dovrebbe procedere nell’applicazione del suo piano in 10 punti per rispondere alla situazione in Lampedusa, dove figura il rilancio di una missione navale (vedi Migration: Commission 10-point plan for Lampedusa (europa.eu))
A questo proposito abbiamo tradotto l’editoriale di Catherine Woollard, Direttore del European Council on Refugees and Exiles (ECRE) Editorial: Be Careful What You Wish For: EU and SAR in the Med | European Council on Refugees and Exiles (ECRE), che illustra i diversi motivi di preoccupazione e i pochi punti di azione positiva. Oltre a questo editoriale si può leggere qui (Lampedusa: 10 years of wrong 10 point-plans – JRS Europe ) la dichiarazione del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati.
Dopo la visita di Ursula Von Der Leyen a Lampedusa, sono circolate voci secondo cui l’UE starebbe considerando una nuova missione navale nel Mediterraneo. Anche prima dei recenti arrivi, l’Italia aveva chiesto l’intervento dell’UE, a fronte di una situazione difficile e della perenne mancanza di sostegno da parte degli altri Stati membri. “Esplorare le opzioni per espandere le missioni navali nel Mediterraneo” figura al punto 5 del piano in 10 punti della Commissione per rispondere alla situazione di Lampedusa
L’ECRE sostiene da tempo la necessità di ampliare le operazioni navali dell’UE, dapprima come parte dei suoi piani per un approccio collettivo alle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) e alla ricollocazione nel 2018 e, più recentemente, nei suoi commenti sulla (mancanza di) progressi nel Gruppo di contatto SAR dell’UE e in risposta al naufragio di Pylos, con il continuo rifiuto di alcuni Stati di adempiere ai loro obblighi SAR come fattore di fondo costante e gli attacchi agli sforzi SAR guidati dalle ONG come problema crescente. Una maggiore capacità SAR sotto l’egida dell’UE potrebbe assumere la forma di una nuova missione delle politica di sicurezza e difesa (PSDC) con il mandato SAR, anche se un’opzione molto più realistica e fattibile nel breve termine sarebbe il ripristino di livelli adeguati di mezzi navali nelle missioni e operazioni UE esistenti, sia nell’ambito delle politiche esterne che di quelle interne (rispettivamente missioni PSDC e operazioni Frontex). È inoltre essenziale la mediazione di accordi tra gli Stati costieri sulla divisione delle responsabilità per lo sbarco e con gli Stati non costieri sulla ricollocazione. Per quanto riguarda il primo aspetto, la decisione della Germania di interrompere la ricollocazione in un momento di grande necessità è inspiegabile e spregevole.
L’idea che sia in discussione una missione navale dovrebbe essere motivo di festa, ma come spesso accade c’è un colpo di scena. Piuttosto che salvare le persone, la missione di cui si parla dovrebbe mettere in atto un blocco navale per impedire alle imbarcazioni di arrivare in Europa. Come si possa istituire una missione dell’UE con un mandato palesemente illegale non è ancora stato spiegato: a prima vista, bloccare le coste e stare ad assistere mentre imbarcazioni inconsistenti affondano e le persone annegano, sembrerebbe violare numerose disposizioni del diritto internazionale.
Anche se il mandato fosse meno palesemente illegale, ad esempio un blocco che impedisse alle imbarcazioni di lasciare le acque tunisine o libiche, interrompesse gli sforzi di salvataggio delle ONG e chiamasse le guardie costiere libiche e tunisine a soccorrere le persone, non sarebbe comunque in grado di superare i tribunali o i vari servizi legali delle istituzioni europee. Nessun Paese del Nord Africa può essere considerato un luogo di sicurezza ai fini del diritto internazionale del mare, e un blocco navale che cooperi strettamente con le guardie costiere costituirebbe un “esercizio di controllo” e comporterebbe responsabilità per l’UE e per i singoli Paesi che dispiegano mezzi ed equipaggi. È probabile – e auspicabile – che l’opzione venga “esplorata” nel tentativo di placare l’Italia senza che possa emergere nulla di concreto.
Tuttavia, altre forme di cooperazione con le guardie costiere e altre agenzie continuano, e sono incluse tra i 10 punti, così come l’attuazione del losco accordo con la Tunisia al punto 10. Sono stati annunciati finanziamenti a sostegno del Memorandum d’intesa, anche se da un’analisi più attenta emerge che la maggior parte di questi non sono nuovi fondi.
Questo nonostante il fatto che l’accordo non solo stia fallendo, ma sembra essere stato controproducente: mentre la situazione in Tunisia peggiora, sempre più persone cercano di partire. Esiste un legame diretto con l’accordo, poiché la giustificazione fornita dal governo per le sue azioni dure, tra cui pestaggi ed espulsioni, è la necessità di impedire che le persone partano per l’Europa, e l’attenzione si concentra su Sfax, un punto di partenza. Come molti altri accordi simili, questo sembra rafforzare gli elementi più repressivi all’interno dello Stato.
L’accordo stesso inizia a sembrare un’iniziativa disonesta, con forti critiche espresse da alcuni Stati membri, che a quanto pare hanno provato “incomprensione” al momento dell’annuncio del memorandum d’intesa, dall’Alto rappresentante, dal Parlamento europeo, che ne ha denunciato il contenuto, il processo e il formato, e dal Mediatore europeo, che ha avviato un’indagine. Il sostegno alla Tunisia è essenziale, date le necessità e la precarietà della situazione nel Paese, ma deve rientrare in un approccio ben ponderato e a lungo termine, non in politiche estere parallele da cowboy volte a servire gli interessi europei (per lo più percepiti) in materia di migrazione.
Dei 10 punti, circa 2,5 vanno nella giusta direzione di sostenere l’Italia nella gestione della situazione, tra cui l’ampliamento del sostegno dell’Agenza europea per l’asilo al punto 1 (purché sia per la registrazione e l’accoglienza), il trasferimento di persone da Lampedusa, anche utilizzando il meccanismo di solidarietà dell’UE al punto 2, e un piccolo riferimento alle alternative, tra cui le rotte sicure al punto 8, altrimenti poco utile. Come già detto, il riferimento alle opzioni navali al punto 5 potrebbe andare in entrambe le direzioni. A questi punti si potrebbe aggiungere anche il sostegno con finanziamenti di emergenza.
Tra i restanti 10 punti, ci sono alcuni riferimenti prevedibili al rimpatrio e alla prevenzione delle partenze, ma ci sono anche elementi nuovi molto preoccupanti e potenzialmente dannosi. Il primo è il riferimento, al punto 7, al ruolo delle autorità europee per l’asilo nel sostenere procedure rapide, tra cui l’uso del concetto di Paese terzo sicuro, il rifiuto di domande manifestamente infondate e l’emissione di divieti d’ingresso, il che suona come una sperimentazione di misure che fanno parte dei negoziati per la riforma del diritto d’asilo dell’UE e che devono ancora essere adottate, oltre a trovare modi per aggirare la valutazione individuale delle domande d’asilo. È preoccupante anche il punto 9, in cui si sostiene un “approccio basato sul percorso”, un codice per consentire all’Europa di deviare le proprie responsabilità altrove – da qualche parte lungo il “percorso” (cioè in Tunisia o in Libia o in Niger, luoghi molto sicuri).
In generale, invece di pensare a blocchi illegali e accordi loschi, nel breve termine l’UE deve urgentemente concentrarsi sul sostegno all’Italia per accogliere le persone in arrivo e gestire la situazione. Sarebbe più fruttuoso ed efficace, in tutti i sensi, di alcuni degli sforzi compiuti finora.