QUASI UN’ANNO IN BURUNDI
Testimonianza di Laura ed Emanuele, volontari VISPE in Burundi.
Oramai è passato quasi un anno e tra pochi giorni rientreremo in Italia per fare un mese di vacanza!
Quando si pensa all’Africa tante, varie e contrastanti sono le immagine che vengono in mente: immense pianure, animali selvaggi, splendidi paesaggi ancora incontaminati, villaggi formati da capanne, case di terra, case di paglia, case sperdute tra i bananeti, bambini ovunque, sempre sorridenti, bambini malnutriti, bambini con il pancione, bambini che giocano e che ti salutano da ogni angolo, bambini talmente sporchi da confondersi con le strade polverose, mercati super affollati, caos, odori, colori forti, fiori meravigliosi, cieli infiniti, blu, città incasinate, donne con la zappa in mano ed il bambino sulla schiena, risate di donne, vestiti sgargianti, denti bianchi su visi scuri, foreste, colline, cascate, canti che risuonano ogni dove, strade impercorribili, strade immense di terra rossa, strade scavate dalle colonie di formiche, insetti enormi, deserti sconfinati, antiche civiltà, pietre su pietre, musica tamburi e ancora musica, frutti gustosi e dal sapore ancora “originario”, gusti intensi, mani e piedi nella terra, piedi in cammino, piedi immersi nei campi, scalpiccio di ciabatte, mani callose, mani invecchiate troppo presto, mani da stringere.
Ed eccoci qui, noi siamo qui, arrivati in Africa, in Burundi, in questo Burundi forse un po’ per caso, forse seguendo delle intuizioni, ma sicuramente scegliendo come coppia, di esserci, di partire, di volere insieme provare quest’esperienza soprattutto di vita e lavorativa, in un altro mondo, con altra gente. Siamo venuti qui per una proposta fattaci sull’altare, siamo qui perché qualche amico ha voluto aiutarci a realizzare un nostro sogno e siamo qui perché qualcuno ha avuto fiducia in noi. Abbiamo preso una scelta che ci ha portati qui ma che avrebbe potuto portarci ovunque, il mondo è davvero grande, abbiamo fatto una scelta di coppia prima che una scelta geografica.
Ecco l’Africa che abbiamo scoperto, in un anno che è nulla rispetto al tempo infinito che qui scorre ad una velocità diversa rispetto a quella del resto del mondo. Un’Africa bella difficile, impegnativa, incasinata, divertente, che da un lato non fa passare giorno senza stupirti, ma allo stesso tempo ti ripresenta le stesse situazioni, che in un modo o nell’altro si ripetono ciclicamente. Abbiamo scoperto anche un’Africa che cerca di migliorare ma anche un’Africa che è ferma ,seduta, in attesa, perché tanto un aiuto arriva sempre. Abbiamo incontrato persone meravigliose, che davvero donano la loro esistenza con coscienza e capacità, per ridare una speranza a questi popoli, ma abbiamo anche conosciuto chi qui in Africa ha trovato “L’isola che non c’è”.
Abbiamo a poco a poco smantellato le idee che ci hanno messo in testa. Basta con “ poverini”, bisogna cambiare mentalità, cambiare idee, ridare dignità, restituire il valore alla persona. Arrabbiarsi quando serve. Trattarli da nostri pari. Dargli davvero la canna e non sempre il pesce. Vorremmo che si imparasse ad ascoltare i loro desideri e le loro vere esigenze, senza proporre/imporre progetti inconcludenti che non mirano ad una vera autonomia. Ci piacerebbe che tutti diventassero dei veri promotori del “progetto valigia”: che ci voglia un anno, due, cinque o dieci, ma “si resta per andarsene”, con una valigia piena di magone ma anche di felicità..sicuri che qualcuno sta provando a riprendersi la propria dignità!
E allora il progetto diventa utile e vero quando finalmente inizi a sentirti di troppo.
Suor Bruna dice che “Per insegnare a danzare devi danzare anche tu!” e allora danziamo, giochiamo, lavoriamo insieme! Sorridiamo insieme, scopriamo nuove vie, aiutiamoci ad imparare ad usare i mezzi che abbiamo e le nostre capacità. E crediamoci per davvero. Tante volte ci siamo sentiti dire “Urafise ubwenge” (Tu sei intelligente), ma la differenza è forse solamente la voglia e la curiosità di imparare sempre e sfruttare al meglio i propri talenti. Questo dobbiamo fare. Esserci ed educare a che SI PUO’ vivere meglio, SI PUO’ migliorare la propria vita, SI PUO’ fare tutto da soli.
E poi lasciare che questa terra cammini con le sue splendide gambe.
Cosa ci portiamo a casa di più grande?
Sicuramente le tante difficoltà, che aiutano a crescere; il nostro essere due, un forte senso che c’è bisogno di giustizia, onestà e chiarezza nel mondo. Tra le varie riflessioni scritte e pensieri fatti in questi 12 mesi abbiamo percepito tante volte una vita a misura d’uomo, tutto scorre lentamente, e sembra che il ritmo qui in Burundi sia perfetto per vivere serenamente e rilassati. Qualche settimana fa però ci siamo “scontrati” con un bambino in carrozzella, Samuele, ha solo dieci anni ed è paralizzato dalla vita in giù.
Pensate è stato ricoverato circa quattro anni all’ospedale di Mutoyi ed ora che la sua situazione è stabile è qui al dispensario di Bugenyuzi perché a casa non riceve le cure adeguate. Ha piaghe croniche che vanno tenute pulite costantemente, va cambiato e pulito spesso…ed allora ci chiediamo questa vita africana che tanto rispetta il ritmo dell’uomo, di fronte a questi casi cosa fa? Perché la legge di madre natura che il più forte sopravvive qui è così palese? Perché anche se ci potrebbero essere i mezzi si fa fatica a prendersi cura anche di queste persone (malati, bambini, anziani)? Ovviamente questo è solo un esempio, non va generalizzato, ma situazioni simili le incontriamo spesso nella quotidianità e chiaramente lasciano il segno. A noi fa paura, pensare che l’attaccamento alla vita che da noi è quasi esagerato qui invece alla volte è impercettibile, si lascia molto al “fato”, “Bizimana” (Lo sa Dio) e “Biko bigenda kw’isi” (Così van le cose sulla terra), la sensazione che le persone in difficoltà siano più un peso che una ricchezza, ci mette a disagio.
Terra di contraddizioni è questo Burundi, dove gli stessi problemi che ci sono anche da noi, qui sono tanto più grandi in una terra tanto più piccola.
Non abbiamo risposte, ma ancora tante riflessioni e tanti punti di domanda.
È una terra che ti interroga, e ti chiede tanto. Che ti mette in crisi, come persona, come cittadino.
Pensate, qui in Burundi alla gente vengono proposte delle ore settimanali da donare gratuitamente per il bene del proprio Paese (opere sociali, mettere apposto le strade, acquedotti..); ai genitori dei bambini che vanno a scuola viene chiesto di partecipare alla costruzione delle nuove aule per i loro figli; e allora in un certo senso una voglia di lavorare insieme, di tenere concretamente a quella che è la propria terra e di volerne avere cura come un bene prezioso si può percepire anche se deve ancora crescere tanto.
E noi invece? Anche noi siamo bravi a pretendere..ma il nostro impegno concreto verso la società, verso la nostra Terra, qual’è?
Adesso ci aspetta un mese di vacanza, e poi torneremo a continuare il nostro lavoro, con la voglia di crescere ed imparare tanto assieme a queste persone. Abbiamo voluto condividere con voi queste riflessioni, forse anche un po’ inusuali rispetto al solito, perché solo riflettendo insieme si può trovare la giusta strada per un mondo migliore.
Ciao a presto
Laura ed Emanuele